Recensione: Throne Of The Depths

Di Daniele D'Adamo - 25 Dicembre 2010 - 0:00
Throne Of The Depths
Band: Drautran
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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85

Incredibile incrocio trasversale fra i Bathory dell’epopea viking e gli Emperor del periodo symphonic black metal, i tedeschi Drautran (non a caso nati nel 1996…) sono rappresentativi di quelle band inspiegabilmente relegate nell’underground più profondo, ove soltanto gli instancabili appassionati degli abissi trovano i rari e gustosi bocconi con cui sfamarsi.

Certo, “Throne Of The Depths” non è un manifesto all’innovazione e all’originalità. Al contrario è un album che, lasciando stare le pruriginose voglie di progressione, scatena tutta la forza compositiva dei musicisti nella creazione di uno sterminato Mondo parallelo in cui le canzoni ne sono i vasti continenti.
Di questo Pianeta, il gruppo di Kiel ne disegna il magmatico nucleo con la terrificante energia di una mostruosa forma di black metal, unione scellerata fra la trance ipnotica del fast black metal e la scabrezza del raw black metal.
Il ciclopico cozzo prodotto dai riff delle chitarre sprizza lava incandescente a fiotti che, solidificandosi, forma picchi dalle vertiginose altezze e abissi dalle orride profondità. I folli blast-beats della batteria spazzano l’atmosfera sulfurea come venti dalle velocità aliene, tracciando così il sound dei Drautran. Rifinito in modo rude dalle rombanti linee di basso. Blutaar si erge infine a cantore delle epiche gesta dei Nostri devastando l’etere con il suo disperato screaming senza fine.
Un sound che possiede una rara bellezza, visionario come un sogno, dalla travolgente forza di un fiume in piena o di un tornado in azione.
Una volta terminata la granitica formazione dell’extraterrestre superficie, gli inserti ambient e le ricche cascate alimentate dalle note delle tastiere badano a solcare gli alvei dei corsi d’acqua, a dar vita a un’impenetrabile vegetazione perennemente intrappolata in una fitta bruma; così come agli oceani ricchi di abissi fra i quali, uno, è quello Blu. Quello in cui, cioè, secondo la mente immaginaria di H.P. Lovecraft alberga da eoni il dominatore dell’Universo, capo della blasfema stirpe degli innominabili Antichi.
Cthulhu.
La forte capacità di generare nelle menti di chi ascolta immagini da leggenda solo e soltanto con la forza della musica, implica la descrizione di quest’ultima con un’altrettanta, potente forza metaforica. Forza metaforica che, esulando da stili e generi, nasce da uno spiccato talento compositivo che, senz’altro, possiede la band dello Schleswig-Holstein.

Le canzoni, infatti, possiedono tutte una complessa anima che le rende spesso lunghe, come durata, senza venir mai meno nel regalare qualche passaggio, qualche armonizzazione, qualche particolare diverso ascolto dopo ascolto. I violentissimi attacchi che improvvisamente squarciano l’aere di un qualsiasi brano, difatti, avvengono con imprevedibilità; come rappresentassero un terremoto di assestamento. Oppure, il tremendo impatto del combo teutonico scuote la song dall’inizio alla fine, come nella travolgente “Blót – Lohen Der Opferung” (dal mostruoso riff portante), lasciando lo spazio per un breve break sempre dolce e melodico, inserito allo scopo di far risaltare al massimo la furia scardinatrice dei quattro guerrieri.
Anche quando si è travolti dal caos totale, come nell’incredibile “An Den Pforten Des Sturmes” (mirabile l’etereo break ambient finale), si riesce a discernere il suono nelle sue parti essenziali. E, fra esse, il guitarwork, sostenuto da un riffing sì esteso da non aver limiti.
Il selvaggio mid-tempo di “Gebaren Des Sterbens In Klanglosen Sphären” scuote le teste per poi accelerare indefinitamente verso stati di vertigine progressiva, sottolineati da cori e keyboards dall’ampio respiro per culminare in un aulico chorus talmente emozionante da far sfiorare la commozione.
La migrazione nella Terra dei Drautran prosegue non lasciando indietro anche le parti più folcloriste della loro musica: “Sævar Niðr”. Folk, però, che pare non aver nulla d’umano ammantato, com’è, da melodie lontane. Lo sconquasso non si fa fermare da questi momenti d’introspezione spirituale e prosegue a tappeto. “Styrt Ned I Mælstraumen” che, forse per continuità con il pezzo precedente, mantiene l’aurea folk (spesso e volentieri, nel disco, diventano protagoniste le chitarre acustiche) attorno all’anima black. Il forte sentore di Emperor permea l’annichilente e melodica “Dusk Of The Fimbulwinter”, episodio in cui si esalta il febbricitante stato di Blutaar, abile nel pilotare la rabbia primigenia del sound attraverso le epiche melodie che ampliano le varie armonizzazioni.
La terribile bordatata della doppia cassa, assieme alle sfuriate dei blast-beats, portano con vigore e potenza inusitata il ritmo di “Hehre Runen In Dämmer Und Eis”. Assieme alla sopraggiunta follia di Blutaar tutto ciò fa capire che si avvicina il momento finale, quello del blasfemo ritrovamento del Trono degli Abissi nella più profonda delle fosse oceaniche. L’improvviso appesantimento e incupimento del suono di “Gen Niflheim…”, arieggiato a gran volume dalle tastiere e dai cori leggendari, rende tangibile quest’orrida sensazione di aver raggiunto la temuta ma agognata fine del lungo viaggio nel Reame dell’Immaginazione.

«A buon intenditore, poche parole». Opera somma, “Throne Of The Depths” è assolutamente da non perdere. A qualsiasi costo.

Daniele “dani66” D’Adamo

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Track-list:
1. Zum Haff Hinaus… 4:29    
2. Blót – Lohen Der Opferung 5:33    
3. An Den Pforten Des Sturmes 5:34    
4. Gebaren Des Sterbens In Klanglosen Sphären 7:25    
5. Sævar Niðr 5:00    
6. Styrt Ned I Mælstraumen 4:41
7. Dusk Of The Fimbulwinter 5:34
8. Hehre Runen In Dämmer Und Eis 6:42    
9. Gen Niflheim… 5:43

All tracks 50 min. ca.

Line-up:
Blutaar – Vocals
Winter – Lead Guitar, Keyboards
Arn – Guitar
Orloc – Drums

Live Sessions:
Finnskald Astragarn – Bass
Magnus – Keyboards

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