Recensione: Till Birth Do Us Part

Di Fabio Quattrosoldi - 6 Novembre 2005 - 0:00
Till Birth Do Us Part
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Anno: 1999
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75

L’etichetta americana Sensory, abile nello scovare talenti prog in giro per il mondo, aggiunge alla propria collezione una perla di indubbio valore con questo “Till Dirth Do Us Part” dei danesi Behind the Curtain. Il genere proposto è un progressive metal dalle multiformi atmosfere e sfumature che ricorda Leviathan e Vanden Plas. Articolati gli arrangiamenti, imprevedibili i cambi di tempo gestiti con stupefacente spensieratezza dagli axemen. La particolare voce di Jonas Herholdt Froberg, sensuale nelle tonalità basse, calda in quelle medio-alte, incline al falsetto, più “gothic” che “progressive”, a un primo ascolto può risultare fuori luogo nel contesto sonoro dell’album. Con gli ascolti, facendoci l’abitudine, si impara invece ad apprezzare quello che senz’altro è il tratto distintivo del gruppo e che contribuisce a differenziarlo da mille altri del genere.

L’acustica intro I Believe apre agli stop and go di Snap. Jonas Herholdt Froberg armonizza i falsetti al lavoro di chitarra, per uscire a piena voce solo quando i riff si fanno più incisivi. Seguono sei minuti di continui stravolgimenti ritmici, fra pause acustiche e ripartente soliste, con tastiera e chitarre che avvolgono l’ascoltatore in un turbinio di sonorità indescrivibili. Ci vogliono parecchi ascolti per metabolizzare un brano tanto progressivo e tanto complesso e che, nonostante la fluidità del songwriting, sembra più lungo di quanto in realtà non sia. Un muro di chitarre e di feedback aprono Artificial Trance; l’ottimo drumming di Brian Rasmussen segna il passo di un incipit maestoso. La traccia è più strutturata sulla forma di canzone rispetto alla precedente, a causa di una maggior peso dei refrain, molto articolati e ariosi ma tutt’altro che orecchiabili. Ottime intuizioni dei solisti donano varietà e spessore al brano. La strepitosa ballad Illusory è fra i brani migliori del lotto. L’apertura per piano e chitarra acustica è intensissima e foriera di una linea melodica preziosa; Peterson ci mette del suo per accrescerne il pathos. Froberg si cala stupendamente nel brano e le malinconiche vibrazioni delle sue corde vocali arrivano dritte al cuore, anche quando ad esse si sovrappongono le distorsioni. L’assolo di chitarra nella sua essenzialità è meravigliosamente intenso. La lunghissima I Lost My Sense of Passion mi ha riportato in mente i primi Dream Theater, per soluzioni armoniche, gusto compositivo e repentini cambi di tempo (siamo però su livelli di complessità ben inferiori!). Le vocals in alcuni frangenti mancano di incisività e alcuni passaggi risultano troppo meditativi. Sempre brillanti, invece, i solisti, capaci di mettersi in mostra senza strafare.
Un cupo arpeggio alla Iced Earth apre Dreaming a Way, fucina di sensazioni differenti: ora malinconica con le tastiere ottime rifinitrici, ora nervosa e più guitar oriented. Sul finale gli axemen infiammano con i loro assoli la song che culmina in un cambio di tempo travolgente. L’atmosfera oscura di Dreaming a Way è ripresa in Breeze e in The Fields of Despair, con quest’ultima più ispirata e varia, caratterizzata da un a riffing work serrato. Chiude la reprise di I Believe, per piano,voce e controcori, molto alla Simon and Garfunkel.

“Till Dirth Do Us Part” è ad oggi l’unica release targata Behind the Curtain. Tutti i membri della band vantavano già svariate collaborazioni (i chitarristi addirittura in ambito estremo e alcuni retaggi sono loro rimasti nella scrittura di giri dal forte impatto), l’esperienza delle quali ritroviamo nella notevole maturità del materiale proposto, soprattutto in quei brani che, a causa di arrangiamenti così sopra le righe, non ci saremmo aspettati tanto organici. Le parti vocali sono a mio modesto modo di vedere il tallone d’Achille della band, non tanto per la timbrica insolita di Jonas Herholdt Froberg, quanto per la mancanza di un certo mordente che le faccia emergere dall’angolo nel quale la personalità del lavoro di chitarra spesso le costringe. Ottime tecnica e personalità di tutti i musicisti, ottimi i testi introspettivi quanto basta per far riflettere, buono l’artwork, forse un po’ troppo horror anni ottanta. Spero di risentire parlare di loro nel futuro, nel frattempo, consiglio a chi non lo abbia mai fatto di rovistare negli scaffali della Lucretia Records, presso il loro sito, si trovano ottimi prodotti a prezzi più che accessibili.

Tracklist:
1. I Believe 01:41 
2. Snap 06:27 
3. Artificial Trance 07:02 
4. Illusory 05:38 
5. I Lost My Sense of Passion 07:02 
6. Dreaming of a Way 09:25 
7. Breeze 07:09 
8. The Fields of Despair 07:10 
9. I Believe (cont.) 03:45 

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