Recensione: Transitus

Di Roberto Gelmi - 26 Settembre 2020 - 12:16
Transitus
75

Decimo album in studio per lo storico progetto Ayreon di Arjen Lucassen, lo spilungone NERD dei Paesi Bassi più amato da chi stravede per il prog. che conta. Dopo l’ultimo grandioso live dvd incentrato sulla celebrazione di Into the electric castle, il mastermind olandese torna con un concept diviso in due dischi riuscendo a dare nuova linfa creativa alla sua musica così ricca di atmosfere disparate e un comparto sonoro che include la solita schiera di cantanti illustri ben amalgamati.

Abbandonata giocoforza la conceptual continuity della trama sci-fi che ha accompagnato i fan per due decenni, con Transitus Lucassen decide di narrare in musica una vicenda ambientata nella cornice dell’epoca vittoriana, periodo con più di un’ombra e che si presta a una trama drammatica e gotica con inevitabili concessioni al trascendente. Di mezzo vi è una storia d’amore tra un uomo bianco e una donna di colore, la morte improvvida di Daniel e le accuse rivolte verso Abby. Per entrare nei dettagli rimandiamo all’intervista dettagliata fatta a Lucassen, che saprà di certo svelare più di un retroscena gustoso e spiegare come il tutto è nato quasi per caso…

Come fu per ITEC, in Transitus ritroviamo una voce narrante all’inizio di ogni brano (in totale sono una ventina), la cosa potrebbe scontentare chi odia simili stratagemmi, ma a lungo andare l’invasività dello storyteller (l’attore Tom Baker) passa in secondo piano e non risulta disturbante più di tanto, anzi aiuta a seguire il dipanarsi del concept (la lettura del libretto e del fumetto con i testi però resta imprescindibile).

Il disco inizia senza mezze misure, “Fatum Horrificum” è un opener da dieci minuti che non teme la prolissità (del resto la musica di Lucassen è proprio questo, evitare ogni facile compromesso). Il narratore presenta i primi personaggi, l’atmosfera da Ottocento esoterico pian piano prende corpo con vocalizzi operistici, seguiti da una parentesi lisergica, cori in latino e, finalmente, alcuni sprazzi di progressive rock. In “Daniel’s Descent into Transitus” veniamo catapultati in una “strange dimension between heaven and hell”, il sound resta oscuro e latamente sinfonico, del resto il concept non prevede uno sfondo spaziale inquietante ma il “ritorno del superato” come centro attrattore di paure inconsce. Senza questa sorta di limbo tra mondo dei viventi e dei defunti il plot non avrebbe nerbo, tutto ruota attorno a questa trovata del mastermind olandese e il nome Transitus gli è stato suggerito niente meno che dal fratello classicista. Con “Listen to My Story” l’album inizia a carburare ed è un piacere sentire la voce di Simone Simons (nelle vesti di un angelo della morte sui generis) dialogare con quella di Karevik in un brano ammiccante ma comunque quadrato e col giusto groove. Il concept si sposta nel 1883 e il protagonista Daniel deve chiedere aiuto a un angelo misterioso: “Two Worlds Now One” è una ballad che non sfigurerebbe nel primo capitolo degli Universal Migrator. Da segnalare i primi momenti della ben valorizzata Cammie Gilbert, voce degli Ocean of Slumber nelle vesti di Abby (non finiremo mai di elogiare Lucassen per la sua capacità di dare opportunità a cantanti più e meno noti nel mainstream).

Dopo i toni bucolici con flauto e clavicembalo di “Talk of the Town” – brano che però ingloba anche una componente metal atta a sorreggere la voce di Paul Manzi (Arena) – e l’highlight di Karevik (che incanta in “Old Friend” accompagnato da semplici note di pianoforte), è la volta di uno dei momenti più riusciti di Transitus. Stiamo parlando di “Dumb Piece of Rock”, hit dal carattere genuinamente rock come al solito interpretata in modo geniale dal falsetto di Michael Mills, che in questo caso depone i panni del robot di The Source, per diventare una statua animata, come nemmeno nei migliori sogni di Pigmalione. Lasciatevi conquistare da questo pezzo, non sarà una nuova “Loser” o “Ride the comet”, ma ha tutte le carte in regole per avere un’ottima resa live. Il primo disco si chiude con due song dal minutaggio contenuto. “Get Out! Now!” invita a un moderato headbanging, con note di hammond, ritmiche ruffiane e un refrain urlato. Ottimo, altresì, l’assolo di Joe Satriani, pura goduria, e la voce di Dee Snider è inconfondibile. Come in altri brani della tracklist gli ultimi secondi regalano una chiusura a cappella decisamente sopra le righe. “Seven Days, Seven Nights”, infine, è un breve commiato che invita a inserire il secondo CD nel nostro lettore e continuare l’ascolto di Transitus.

Il secondo disco è più articolato e prevede 13 brani, ma nessuna suite. Si comincia con la corale “Condemned Without a Trial”, una canzone non proprio memorabile, che però riesce a rendere l’atmosfera ricca di pathos in quanto legata alla svolta drammatica del concept, che vede Daniel navigare in acque non proprio tranquille per usare un eufemismo. La valenza mimetica della musica di Lucassen tocca l’apice nella successiva “Daniel’s Funeral” con le voci femminili liriche a imitare la presenza di fantasmi spettrali (ricordiamo che Marcela Bovio interpreta la parte delle Furie): viene in mente “Trauma” da The Human Equation, ma il contesto è diverso, inoltre il brano nel finale vede una schiarita decisamente confortante. La palla passa nelle mani di Abby e in “Hopelessly Slipping AwayCammie Gilbert è d’applausi: un altro pezzo (lento) memorabile dell’album, senza alcun dubbio. Arjen Lucassen anche se persona geniale a volte pecca di eccessiva autoreferenzialità, così può capitare anche un filler qua e là, non dobbiamo scandalizzarci. “This Human Equation” è l’esempio perfetto di traccia che non coglie nel segno e non serve a molto la prova di Simone Simons (più catchy che mai) e i grunts della Gilbert per salvare il pezzo. “Henry’s Plot” è un breve interludio prima del brano più lungo del secondo CD, “Message from Beyond”. Il concept si tinge di giallo e la musica di conseguenza assume un andamento guardingo e interlocutorio. Spicca la voce della valchiria Amanda Somerville all’interno di un mosaico tutto al femminile e con atmosfere ovattate; il brano include inoltre un altro assolo di chitarra da manuale di Marty Friedman. “Daniel’s Vision” è uno spot per la voce melodica di Karevik, con un tocco di autotune e i sintetizzatori tanto cari ad Arjen; anche la breve “She Is Innocent” non ha un vero sviluppo interno e serve solo nell’economia del concept per aumentare il livello d’empatia nei confronti di Abby, ingiustamente incolpata della morte di Daniel. La tracklist prosegue, quindi, con brani dal minutaggio risicato: ritroviamo la Somerville in “Lavinia’s Confession”, mentre in “Inferno” a non sfigurare è Johanne James, il mitico batterista dei Threshold (in forze al combo inglese dai tempi di Hypothetical), che sfoggia una voce pulita e potente, azzardando anche qualche acuto graffiante. Il concept si chiude con un trittico finale. In “Your Story Is Over!” ricompaiono le furie e l’angelo della morte impersonato dalla Simons, riproponendo un’atmosfera da musical, per niente cupa, semmai teatrale. La voce dello storyteller per una volta non occupa i primi istanti della seguente “Abby in Transitus” (ma recita il suo ruolo a metà brano): il cerchio sembra chiudersi e i toni si fanno smorzati, salvo risorgere in “The Great Beyond”, un gran finale con il parterre di ospiti a proporre intrecci vocali di sicuro impatto. Decisamente un epilogo gratificante.

 

Concluso l’album è difficile giudicare con obiettività questa nuova opera degli Ayreon. Sono necessari più ascolti, infatti, per avere un quadro d’insieme di Transitus e riuscire a ricordare la posizione delle varie tracce, il dipanarsi del concept e i camei dei vari ospiti. Ci sono alcuni filler ma complessivamente il disco è più che discreto, anche considerando certi aspetti secondari (vedi il fare divertito in certi finali ammiccanti di canzone). Transitus doveva essere la vetrina del binomio KarevikSimons ma alla fine è diventato un concept dalle coordinate più imprevedibili e con diverse sorprese piacevoli. Sulla produzione niente da eccepire, l’assenza alla batteria a di Ed Warby non ha inficiato la qualità della musica proposta e la Music Theories Recordings sarà di certo felice del prodotto confezionato da Lucassen e delle future vendite, specie nel nord Europa.

Nessun passo falso dunque per un progetto che continua a stupire dopo 25 anni dalla nascita e che è ancora vera raison d’être per Arjen, compositore recluso dal mondo (per sua scelta) molto prima della pandemia che continua a infuriare in questi giorni d’inizio autunno.

p.s. come da tradizione ci sono diverse versioni di Transitus, per farvi un’idea dell’edizione limitata con earbook (e versione strumentale inclusa) rimandiamo all’unboxing a cura dello stesso Arjen.

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