Recensione: Turborider

Di Fabio Vellata - 25 Marzo 2022 - 0:08
Turborider
Etichetta: AFM Records
Genere: AOR  Hard Rock 
Anno: 2022
Nazione:
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87

Dopo uno stop lungo cinque anni, ritrovare i Reckless Love in circolazione lascia spazio a parecchia curiosità.
Carriera altalenante con almeno due album vicini al capolavoro la loro. Il primo omonimo ed il terzo capitolo “Spirit“, sono dischi che ogni amante del melodic rock di forte radice anni ottanta dovrebbe aver ascoltato ed apprezzato in larga parte. Un mix di hair metal carico di melodia e ritornelli catchy, dotato del potere di rievocare la grandezza impareggiabile di illustri esponenti del settore come Danger Danger, Trixter e Tuff.
Roba di cui andar fieri.

Poi “Invader”. Un cd con germogli di cambiamento troppo arditi per molti fan della prima ora. Un sound in parte rivoluzionato per un’operazione di restyling difficile da capire e digerire, che aveva fatto pensare ad un tentativo fiacco e malriuscito di ripercorrere la strada che fu dei Def Leppard di “Hysteria“. Senza tuttavia avvicinarsi nemmeno di striscio agli esiti leggendari conseguiti dalla band di Sheffield nel 1987.
Con “Turborider” il quartetto finlandese, rifinito il songwriting e focalizzati nuovi obiettivi, cambia finalmente pelle e tenta l’assalto una volta per tutte ad un ibrido di glam rock, hair metal e synthwave che potrebbe farne rifiorire la carriera.
Occorre dire che, pur rimanendo in scia al predecessore, stavolta la sensazione che qualcosa si sia mosso in senso positivo è più che evidente.
La miscela funziona, pare più mirata, organizzata meglio e più equilibrata nelle sue componenti.
Soprattutto, ha un’identità che lascerà perplessi alcuni, ma è molto ben riconoscibile e definita.

Gli anni ottanta sono, sin dalla copertina evocante scenari da arcade, ancora una stella polare imprescindibile. Fortissima però l’evoluzione verso una synthwave condita di chitarre in primo piano, con la melodia evidenziata da suoni campionati e rimandi continui all’hi-tech AOR di antica memoria.
Quello che era stato solo abbozzato con brani come “Child of the Sun”, “Sandinavian Girls” e ”Destiny” trova una volta per tutte compimento in una formula che ripesca il feeling divertente degli esordi ma lo rafforza con suoni che sembrano usciti da un album synthwave del 1985. Un effetto bizzarro che è al tempo stesso vintage e modernissimo. Ma non è, dopo tutto, così alieno allo stile del fenomenale frontman Olliver Twisted e dei Reckless Love. Per chi li conosce sin dagli esordi come il sottoscritto, soluzioni simili non appariranno sconosciute: “Sex” e “Back to Paradise” erano pezzi che recavano già nel 2010 i prodromi di quanto è possibile ascoltare oggi.

Tutto questo per dire che “Turborider” ci è piaciuto. E molto.
Al netto di qualche divagazione ai limiti del pop che dona comunque freschezza e fa respirare un’aria diversa dal solito anche in ambiti prettamente hard, glam o hair che dir si voglia.
Ci è piaciuta la definizione dei suoni. Le atmosfere avvolgenti che in pezzi come “Eyes of a Maniac“, “Kids of the Arcade“, “Like a Cobra” e “Future Lover Boy” diventano contagiose e scoperchiano ricordi sopiti da tempo.
Abbiamo gradito tantissimo i ritornelli sempre orecchiabili che lasciano spazio all’easy listening come si faceva tanto tempo fa. Più o meno quando canzoni come queste diventavano preda di radio e MTV.
Ed abbiamo apprezzato l’enorme dispiegamento di tanta melodia, una produzione potente e gli interventi strumentali che riempiono di colore un album ispessito di passaggi immensamente ispirati come “Outrun”, “For the Love of Good Times” e “89 Sparkle“. Capaci di far letteralmente sognare i meno giovani.
Quelli che sul finire degli eighties si trovavano ad ascoltare a ripetizione gli album di Shell and the Ocean, Life by Night, Time Gallery e Van Stephenson.
Un tuffo al cuore anche la cover di “Bark at the Moon” di zio Ozzy, e l’ostentato assolo VanHaleniano  di “Prelude (Flight of the Cobra)“, omaggi indiscussi ad un’epoca dorata che ancora oggi rimane termine di paragone per tanti.

Se volevano tentare la strada del rinnovamento, andando alla caccia di una formula nuova che potesse davvero ricordare quanto provato dai Def Leppard nel 1987, forse potrebbe essere la volta buona.
Fatti i dovuti raffronti, l’ibrido tra glam rock, sintetizzatori ed iper produzione regge, si fa godibile e regala brani deliziosi dal principio alla fine del disco. Purtroppo i tempi sono sensibilmente diversi ed è difficile prevedere un successo davvero pieno in un’epoca frammentaria, poco ricettiva e caratterizzata dal “mordi e fuggi” come quella attuale.

Resta comunque il fatto che, per i pochi come il sottoscritto, ancora legati ad un suono hi-tech di radice tipicamente ottantiana, un album come “Turborider” potrebbe rivelarsi determinante.
Ed in breve tempo, irrinunciabile.

 

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