Recensione: Until the Darkness Goes

Di Matteo Pedretti - 1 Dicembre 2021 - 12:30
Until the Darkness Goes
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Gli Apostle Of Solitude sono tra gli ultimi baluardi del Classic Doom a stelle e strisce, una tradizione che parte negli anni ‘70 con i Pentagram, prosegue nei primissimi ‘80 con Saint Vitus, Trouble The Obsessed e, a cavallo tra gli ‘80 e i ‘90, con i Penance e la scena del Maryland (Iron Man, Unorthodox, Revelation etc…). L’approccio di questi gruppi è radicato nell’Heavy Metal e nell’Hard Rock, con un’etica DIY mutuata dal Punk/Hardcore: ruvido sotto il profilo sonoro, con liriche incentrate prevalentemente su vissuti personali e del tutto privo di quella fascinazione epica che, sia a livello musicale che tematico, caratterizzava in quegli anni il lavoro di diversi musicisti europei come Candlemass, Sorcerer e Solstice.

Ai giorni nostri le principali nuove – o relativamente recenti – leve del Doom americano, pur non venendo meno alle prerogative imprescindibili del genere, hanno apportato significative evoluzioni, aprendosi a contaminazioni Post Metal e Prog Rock (Pallbearer), Classic Heavy Metal (Khemmis e Spirit Adrift), Stoner (Windhand e Cough), Sludge e Drone (Thou, Vile Creature e Body Void) e Funeral Doom (Bell Witch). E così, nel Nuovo Continente, se si eccettuano quanti ancora in attività tra i mostri sacri citati in apertura, rimangono ben poche formazioni di rilievo a poter sventolare con fierezza la bandiera del Traditional Doom. Tra queste Apostle Of Solitude, The Gates Of Slumber (nella cui ultima reincarnazione figurano due componenti dei primi), Witch Mountain e pochi altri.

Gli Apostle Of Solitude nascono a Indianapolis nel 2004. Del nucleo originale oggi rimangono il cantante e chitarrista Chuck Brown e il batterista Corey Webb. Nel 2011 entra in formazione Steve Janiak, contribuendo non solo alla chitarra, ma anche alla voce. Tra il 2006 e il 2018 la band dà alle stampe 4 album e un EP, la cui formula è un Traditional Doom lento, ma soggetto ad occasionali cavalcate, cupo e roccioso, con linee vocali generalmente pulite. Nel 2014, con l’uscita di “Of Woe and Wounds”, inizia il sodalizio con la label romana Cruz del Sur Music, il cui roster vanta nomi di un certo peso in ambito Heavy, Epic, Doom e Power.

Nell’autunno 2021 (nessun’altra stagione sarebbe stata più appropriata!), sempre sotto l’egida della Cruz del Sur, i ragazzi dell’Indiana pubblicano il quinto episodio della propria discografia. “Until the Darkness Goes” enfatizza gli elementi più malinconici che, sebbene già presenti nei lavori precedenti, assumono ora una dimensione molto più tangibile, tale da conferire al disco una generalizzata aura di disillusione. La pessimistica presa d’atto di una condizione umana incapace di agire contro l’ineluttabilità del fato e destinata (doomed) alla solitudine e all’isolamento è rintracciabile in pressoché tutti i testi ed è restituita da un sound in cui la pesantezza dei riff pachidermici, che non si concedono alcuna accelerazione, è spesso smussata da fraseggi chitarristici melodici e relativamente puliti che accentuano il senso di sconforto.

In “Until the Darkness Goes” sono rintracciabili un paio di episodi che rimangono più fedelmente legati al back catalogue dei Nostri, come la diretta ed energica “When the Darkness Comes” che, scelta come opener, assicura una partenza coinvolgente, e “Deeper than the Oceans”, ruvida nonostante i registri vocali gentili. Gli altri brani, pur non distanziandosi significativamente dal perimetro espressivo degli Apostle Of Solitude, sono talmente intrisi di amarezza e dolore da introdurre elementi di discontinuità rispetto al passato. “The Union”, “Apathy in Isolation” (che brilla per il lavoro di squadra dei due vocalist) e “Relive the Day” sono infatti strutturate su profondissimi riff portanti che fanno da base a trame di chitarra e linee vocali ultra-melodiche e malinconiche, definendo un Doom atmosferico il cui riferimento più solido è da ricercarsi negli inglesi Warning.

Una produzione moderna, ma leggera, assicura la resa cristallina di questi nuovi pezzi, attraverso l’attenta sovrapposizione degli strati più armoniosi di chitarra e voce al muro sonoro eretto dalla sezione ritmica.

“Until the Darkness Come” rappresenta una parentesi di particolare scoramento nel catalogo degli Apostle Of Solitude: la rabbia sembra essersi consumata, lasciando un vuoto colmato unicamente da tristezza e disperazione. Album certamente poco vario (aspetto non necessariamente negativo), si rivela capace di porre i sentimenti non propriamente positivi da cui trae ispirazione al servizio di una proposta di qualità, profondamente autentica e connotata da atmosfere avvolgenti, ovattate e introspettive.

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