Recensione: V

Di Andrea Bacigalupo - 29 Aprile 2020 - 1:00
V
Band: Havok
Genere: Thrash 
Anno: 2020
Nazione:
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82

A circa tre anni di distanza dall’uscita di ‘Conformicide’ tornano gli statunitensi Havok con ‘V’, nuovo album distribuito via Century Media Records dal 1 maggio 2020.

Un titolo semplice scelto non solo per evidenziare il numero di album pubblicati in sedici anni di carriera, ma soprattutto per fissare un punto di arrivo e di ripartenza di una tra le migliori Thrash band di nuova generazione.

Gli Havok di oggi vogliono sottolineare la loro crescita artistica, cercando sonorità più elaborate rispetto ai lavori del passato, pur mantenendo la loro naturale carica aggressiva, per sviscerare così un Thrash al passo con i tempi, genuino e rispettoso della sua storia, il cui scopo è sempre l’esternazione della rabbia, attraverso però una musica più sofisticata che diretta.

Il sound è sempre intenso e tagliente, ma più ragionato, basato su una sinfonia di suoni che s’intrecciano e si rincorrono per creare un tessuto sonoro multistrato.

In ‘V’ l’elemento portante sono le tante linee melodiche complesse, tecniche ed incisive, suonate con tante chitarre asincrone accompagnate da una sezione ritmica ad alto numero di ottani che le completa e le rafforza.

Il risultato, corposo, chiaro e nitido, è stato ottenuto dal lavoro di squadra di tutta la band, compreso il nuovo bassista Brandon Bruce, che ha attivamente partecipato alla stesura dei brani, e Mark Lewis (Cannibal Corpse, The Black Dahlia Murder), che ha prodotto, mixato e masterizzato ‘V’ presso il suo studio di Nashville.

V’ inizia in modo deciso, senza stare a raccontarla: le melodie che inseguono il riff di ‘Post-Thruth Era’ sono caustiche ed aggressive, così come il giro di chitarra, che entra prepotentemente nella testa. Il brano è avvincente e furioso, impreziosito da un assolo coinvolgente.

Fear Campaign’ è uno speed da trauma alla testa: veloce, con chitarre che affettano l’aria, carico di assoli folgoranti e delle linee di basso che non lasciano scampo. Brano che si spera che gli Havok portino sui palchi.

La collera scaturisce nelle linee melodiche di ‘Betrayed by Technology’, brano che esprime bene il passaggio che gli Havok stanno affrontando attraverso un gioco maligno di chitarre – basso rafforzato da una batteria martellante.

La marzialità è la forza di ‘Ritual of the Mind’, brano dall’incedere sostenuto, solido e costante. Nell’interludio il basso gioca un ruolo fondamentale nel seguire la progressione delle chitarre prima dell’avvincente assolo.

Interface with the Infinite’ è un brano cadenzato durissimo quanto nero come il buio, con una doppia cassa che è un’esplosione continua ed un assolo che è un assalto all’arma bianca.

Dab Tsog’ è un breve intermezzo strumentale, che separa le due parti del disco, che da la sensazione di nuotare controcorrente.

Si riparte con ‘Phantom Force’, velocissima, furibonda e devastante senza misura, con una batteria che non lascia scampo, seguita da ‘Cosmetic Surgery’, una vera mitragliata sonora intervallata da parti ansiogene.

Ed ancora ‘Panpsychism’, pesante come un macigno e cattiva come l’aglio (qui in particolare devo dire che Brandon Bruce è veramente una grande acquisto) e ‘Merchants of Death’, un Thrash ‘N’ Roll furente dove le chitarre ronzano come calabroni.

Chiude ‘Don’t Do It’ prima fosca, malinconica, avvolgente e poi veloce e terrificante con le sue linee melodiche ridondanti e furenti.

V’ è un grido di allarme, con i quali gli Havok esortano le persone a svegliarsi, a pensare da sole, uscendo dal mortale torpore indotto dai media per non farsi manipolare.

Un grido che prende forma nella musica, nei testi e nella cover ad opera dell’artista tedesca Eliran Kantor, che ha contrapposto le tinte pastello all’immagine forte di una persona che sta ormai marcendo.

Abbiamo aspettato tre anni ma ne è valsa la pena. Con ‘V’ gli Havok sparano forte e noi ci facciamo piacevolmente colpire. Grandi!!!

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