Recensione: V

Di Vito Ruta - 16 Luglio 2021 - 22:18
V
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Hard Rock 
Anno: 2021
Nazione:
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73

La band Heaven & Earth, diventata internazionale, presenta “V”, che, come suggerisce il titolo, costituisce la quinta uscita discografica in studio.
Prendete un siciliano patito del Boss, aggiungeteci tre inglesi, di cui due trapiantati negli USA, cresciuti tutti a forza di hard rock anni settanta e di Deep Purple, unite un tastierista ungherese progressive, completate con una abbondante dose di Rainbow e shakerate energicamente. Guarnite, infine, con un pizzico di Whitesnake prima maniera (non penso sia un caso che nel logo le iniziali della band vengano tenute insieme da un serpente bianco – pardon argento – che si snoda a comporre la “e commerciale”), e potete star certi che il mix ottenuto riserverà qualche sorpresa degna di nota.

La line up attuale include l’italiano Gianluca Petralia alla voce, Stuart Smith e Lynn Sorensen (Bad Company, Steve Rodgers Band), rispettivamente chitarrista fondatore degli Heaven & Hearth il primo e bassista il secondo, entrambi stabiliti negli States. George Barabas, alle tastiere e Hammond, Simon Wright (AC/DC, Dio e Rhino Bucket – band derivativa degli AC/DC -) alla batteria.

L’album ha come aprifila “Drive”, un buon pezzo hard rock di ispirazione classica, in cui si mettono immediatamente in evidenza Smith, che non fa nulla per dissimulare l’amore viscerale per Mr. Ritchie Blackmore, e Barabas, che offre un assaggio delle sue qualità in chiusura del brano.
Beautiful”, lo dice il titolo, è una traccia bella, in stile Rainbow, che vede Petralia fare capolino e attira l’attenzione per l’arrangiamento curato e ancora per le tastiere di Barabas.
“Never Dream of Dying” è la prima grande sorpresa dell’album, un brano arioso, decisamente progressive, con atmosfere notturne, cambi di velocità e una interpretazione davvero particolare del nostro Gianluca che ricorda nella parte iniziale Matthew Bellamy dei Muse.
Ship Of Fool” si apre sotto i migliori auspici, complice l’essenziale contributo di Wright, e ha un azzeccato prechorus, ma si sgonfia al giungere del refrain, che sebbene di ispirazione Whitesnake, è troppo scontato per gente del calibro degli Heaven & Earth. Questa volta gli equilibrismi di Barabas e di Smith non riescono a salvare il pezzo, che ha del buono, ma non può dirsi del tutto riuscito.

Rialzano il livello la mid tempo “Poverty” e “Flim Flam Man” nella quale il gruppo, pur volgendo decisamente lo sguardo ai Deep Purple, confeziona una traccia energica e gradevole.
One In A Million Man”, che sembra cantata da Klaus Meine degli Scorpions, è godibile ma ha tastiere che richiamano immediatamente alla memoria “Rainbow In The Dark” di Dio.
Little Black Dress” ci riserva un altro sorpresone con i fiocchi: un blues rock energico, contaminato e scanzonato che sembra uscito dalla penna o, se preferite, dal cilindro di Alice Cooper, campione di ironia e instancabile esploratore di territori adiacenti al rock.
Anche la poderosa “Big Money Little Man” paga dazio per avere un riff che ricorda troppo quello di “Man On The Silver Mountain” dei Rainbow.
Running from the Shadow” e “Nothing to me”, due pezzi classic rock da non sottovalutare, ben giocati e con chorus immediati, in cui Petralia porta la propria voce ai limiti, conducono alla mega ballad “The end of the day”, che sfora i sei minuti, con mastodontico solo alla Blackmore e tastiere prog a concludere il lavoro.

Che dire? L’album, nel complesso, non dispiace e ha più brani e passaggi che convincono e colpiscono. Incontra però alcuni inciampi costituiti da un chorus che sembra buttato lì (“Ship Of Fool”), dall’eccessiva similitudine con due celebri motivi che finisce per svilire i rispettivi pezzi, altrimenti validi, (“One In a Million Man” e “Big Money Little Man”) e, più in generale, dal non aver portato avanti, in qualche episodio, intuizioni che sono restate solo abbozzate e che avrebbero contribuito a rendere più personali le tracce.

Peccato, evitando i pochi passi falsi commessi, “V” sarebbe stato per “Vittoria”.

 

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