Recensione: Verkligheten

Di Gianluca Fontanesi - 21 Gennaio 2019 - 0:03
Verkligheten
Band: Soilwork
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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80

La fase ascendente dei Soilwork sembra non fermarsi mai e il nuovissimo Verkligheten può senza ombra di dubbio essere considerato come un altro centro da parte della band svedese. Un centro non perfetto ma che al suo arco ha sempre e comunque frecce di assoluta qualità. La seconda giovinezza dei Soilwork unita a un valore artistico ormai più che consolidato è sicuramente confermata dalla voce di Strid che, come il buon vino, più invecchia più viene dosata e modulata meglio e da una formazione di musicisti con la m maiuscola. Se n’è accordo anche un signor nessuno, un certo Dave Mustaine, che ha accolto Dirk Verbeuren nei Megadeth e spalancato le porte a Bastian Thusgaard nei Soilwork, ora batterista ufficiale della band. Il venticinquenne non è di certo al livello dell’illustre collega ma offre in ogni caso un prestazione di tutto rispetto e con notevoli margini di miglioramento, ma bando alle ciance.

Il disco è piuttosto lungo e, nella sua prima edizione in digipack, offre una tracklist di ben sedici brani per 69 minuti di musica includendo anche l’ep Underworld, ma andiamo con ordine. La materia trattata dai Soilwork è una massa in perenne evoluzione e in grado di mutare forma ad ogni disco; con Verkligheten la formula si ammorbidisce un po’ e va a toccare lidi hard rock e aor con notevole successo. L’avvio è comunque affidato ad Arrival, che è velocissima, potente e mantiene tutte le coordinate di maggior successo dei Soilwork. Le ritmiche schiacciasassi e le strofe in 2/4 si alternano agli ormai perfetti ritornelli in clean e il blast beat è un gran bel valore aggiunto. Questa formazione suona a memoria e in fase di songwriting non sbaglia un colpo da almeno tre dischi. Bleeder Despoiler inizia a cambiare le carte in tavola con un riffing hard rock e il ritornello arioso va poi a completare la strofa claudicante rendendo il tutto piuttosto omogeneo e orecchiabile. Full Moon Shoals inizia con un arpeggio e sfoggia un altro gran bel riff ammiccante all’aor e il ritornello è fantastico e assimilabile praticamente al primo ascolto. L’inaspettato ponte estremizza il tutto rivelandosi la ciliegina sulla torta; The Nurturing Glance continua su questa coordinate senza mai stancare l’ascoltatore e ci si ritroverà a cantarla dopo pochissimi passaggi. Questa nuova veste dei Soilwork siamo convinti piacerà parecchio ed è talmente ben suonata da risultare quasi inattaccabile. When The Universe Spoke torna a premere sull’acceleratore ed a questo punto della tracklist appare come una mossa dovuta e necessaria; altro buon brano che si indebolisce un po’ in fase di ritornello, in questo frangente con una linea vocale non molto riuscita.

Stålfågel tradotto significa uccello in acciaio, sembra quasi il titolo di un film porno anni ’80, in realtà è un brano fantastico e giustamente usato come singolo. Se sentite Deus In Absentia dei Ghost e la strofa dei Soilwork c’è una notevole somiglianza e ci fermiamo qua, facendo i complimenti a Speed per l’ennesimo ritornello riuscito e spegnendo sul nascere ogni accusa di plagio. Il brano viaggia totalmente su coordinate aor e paga andandosi anche a piazzare di diritto come uno tra i migliori del disco.  The Wolves Are Back In Town si rivela invece come il meno riuscito del lotto: formalmente perfetto ma anche formalmente anonimo e con nessun guizzo in grado di renderlo memorabile. Il ritornello non è un gran che e il brano risulta presto abbastanza noioso e prescindibile. Witan, altro singolo, risolleva immediatamente dallo scivolone tornando sui lidi più morbidi e tramutando ancora il metallo in oro. Il video vintage è una trollata ben riuscita e il brano alterna una strofa parecchio cadenzata al ritornello migliore dell’album;  nulla da eccepire per un brano che è una vera e propria droga e che non si finisce mai di ascoltare. Ci avviciniamo alla fine della tracklist ufficiale e The Angeless Whisper è una traghettatrice che, come The Wolves Are Back In Town, arriva dopo un brano importante e finisce per esserne totalmente offuscata. Discorso identico anche per la successiva Needles And Kin, che torna a premere sull’acceleratore e ha un ritornello parecchio simile a quello di When The Universe Spoke, quindi non molto riuscito. Anche il ponte sembra partire bene poi sfocia in assoli troppo corti e che avrebbero necessitato di una gestione migliore. SI chiude con You Aquiver e il livello torna ad alzarsi con un brano particolare e dalle ritmiche insolite in casa Soilwork; c’è anche una sprizzata di anni ’90 negli incisi che mai male no fa e il ritornello è malinconico al unto giusto per sancire il più caldo degli arrivederci.

L’ep Underworld offre tre brani più la versione originale di Needles And Kin, che non si discosta molto da quella definitiva ed è piuttosto prescindibile. Summerburned And Winterblown  non è però male specialmente nel riffing e di certo non avrebbe sfigurato in tracklist al posto di una The Wolves Are Back In Town a caso. Cresce con gli ascolti ed è un brano piuttosto ben riuscito. In This Master’s Tale si dipana su tempi in battere ed è un altro gran bel brano, piuttosto riuscito nelle linee vocali quando strumentalmente votato all’accompagnamento. L’insieme però funziona ed è un altro pezzo che avrebbe meritato miglior fortuna. Idem con patate The Undying Eye: se prendessimo questi tre brani e li andassimo a sostituire coi tre brani che funzionano meno di Verkligheten avremmo un disco clamoroso. Peccato che i Soilwork non abbiano voluto puntare su questi tre brani, molto particolari, elaborati e che meritano sicuramente ben più di un ascolto.

In fase di conclusione cosa si può dire se non bravi ancora una volta? La macchina Soilwork è ormai diventata un carro armato e non dà segni di cedimento. Gli svedesi sono artisticamente e musicalmente a un livello altissimo e continuano a navigare col vento in poppa; in questo frangente si sono sì ammorbiditi un po’ ma lo hanno fatto con classe e una grande maturità. Anche la sostituzione di una colonna portante in seno alla band non ha inficiato più di tanto il risultato e non ha cambiato malamente le carte in tavola: la coppia CoudretAndersson è, parafrasando Jerry Calà, una libidine coi fiocchi, il buon Sven è sempre presente ma mai invadente e ogni ingranaggio è sempre perfettamente oliato. Dove si andrà a parare nel prossimo disco è cosa che probabilmente non sanno neanche gli stessi Soilwork, ma il bello a volte è proprio questo e già sappiamo che comunque sarà un successo.

 

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