Recensione: Voyage

Di Fabio Vellata - 13 Febbraio 2014 - 0:02
Voyage
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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75

Islanda.
Terra di geyser, ghiacci, vulcani e stoner rock…

Un gruppo dedito alle derive settantiane più allucinate e profonde, in effetti, non ce lo saremmo mai atteso da lassù, zona non proprio rinomata per la cultura rock e conosciuta principalmente per l’origine di alcuni esponenti mainstream di estrazione pop e post quali Sigur Ros e Bjork, ad oggi,  forse le due espressioni più celebri provenienti dall’isola del remoto nord.

Tant’è: il rock è virale, come un’onda che si estende e raggiunge gli anfratti più nascosti, seminando germogli per poi passare a mieterne il raccolto.
E di autentici germogli stiamo davvero parlando, quando il soggetto della questione sono i Vintage Caravan, giovanissimo gruppo di imberbi che, influenzati dalla collezione di vecchi vinili di mamma e papà, decidono a soli dodici anni (siamo nel 2006), di fondare la propria piccola band hard rock.
Un buon modo per scaldare le gelide serate polari…

La passione cresce ed il “gioco” diverte. Detto fatto: nel 2011 è tempo della pubblicazione del primo full length – rigorosamente autoprodotto – da far circolare nei pur ristretti ambiti nazionali.
Un percorso che, una volta imboccata la strada e stabilizzata la line up, continua a ruminare la propria personale formula di stoner rock, fatto di trip sonori, svisate bluesy, accordi hendrixiani e spunti da jam session funky: un guazzabuglio da cui – come da uno dei tanti vulcani della terra natia – erutta “Voayage”, secondo capitolo sulla lunga distanza che già nel corso del 2012 ottiene il supporto di un’etichetta nazionale per raggiungere uno status “pro”, non ovviamente conclamato ma, in ogni modo, già sufficiente a descrivere il terzetto di Reykjavik come astro nascente dello scenario stoner europeo.
Una nomea che non tarda a raggiungere gli uffici della solerte Nuclear Blast, label tentacolare che subito ingolosita dalla novità, non ci mette molto a sventolare una proposta di contratto sotto al naso dei tre giovani islandesini per la replica e la diffusione del suddetto “Voyage” su scala continentale e, più tardi, mondiale.

Allineando classicume assortito ed influenze da bignami del rock targato seventies, Óskar Logi e compari non nascondono l’attrazione sfrenata per Led Zeppelin, Deep Purple, Jimi Hendrix, Black Sabbath e Cream, il tutto però stravolto da un’attitudine visionaria che ne scompiglia i contorni al punto da far divenire i brani una sorta di infinito trip sonoro, jam session alcoliche ed ipnotiche che partendo da woodstock si lanciano verso il polo nord per poi mirare, dritti, dritti, verso le stelle.

Suonano come un Glenn Hughes in pieno acido i Vintage Caravan, con grande energia ed un concetto di hard rock che taglia trasversalmente le epoche: è retrò nelle influenze e nel modo fricchettone di proporsi, ma è del tutto moderno nell’atteggiamento, in virtù di un interesse sempre più propulsivo verso stilemi settantiani, ora ritornati – anche nella musica – tra le mode imperanti.
Ciondolanti, ipnotici, talora ossessivi e spesso piuttosto corposi nel minutaggio: brani quali “Let Me Be”, “Expand Your Mind” (titolo programmatico), “Winterland” e “Midnight Meditation” (hummm…chi ha detto “Paranoid”?!?) chiedono un ascolto in cuffia a volumi sostenuti onde poterne apprezzare ritmi, sensazioni e colori caleidoscopici…un viaggio, proprio come il titolo del disco, a bordo di un curioso carrozzone trainato da una coppia di orsi polari.
Insomma, più “allucinazione psichedelica” di così…

Mastodontica e più diretta è invece la scattante “M.A.R.S.W.A.T.T.”, cadenzato assalto blues rock da fiamme e asfalto bollente.
Delirio poi con la conclusiva “The Kings Voyage”, riassunto dell’esperienza Hendrixiana mescolata a Greateful Dead, Pink Floyd, Hawkwind e Deep Purple in undici minuti di follie miste ad accordi spaziali ed effettistica cinematografica.
L’unico momento di apparente normalità i Vintage Caravan se lo concedono con la rilassata “Do You Remember”, episodio dai polverosi sapori southern alla Outlaws che, in qualche misura, riconciliano la band nordica con un’immagine più lineare e “terrena”.

Ottima voce quella di Óskar Logi, protagonista in un contesto sicuramente personale di un album dalle forti connotazioni pischedelic-stoner, pur se iniettato in un insieme di manifesta radice hard rock. La formula è ardita e nemmeno troppo semplice da digerire. Pur tuttavia, gli affezionati di allucinazioni soniche con chitarre ribassate ed atmosfere stordenti avranno di che soddisfare le proprie peregrinazioni mentali.

Non c’è molto da scegliere: ad apprezzare il genere, non si potrà definire “Voyage” disco di poco conto.
Di contro, considerando la mistura un inutile polpettone di pallose devianze frastornate, il risultato sarà quello di fare spallucce e dimenticare tutto al più presto.

A noi, questa versione islandese di stoner, dopo tutto, non spiace per nulla…

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