Recensione: Warrior of Sun

Di Andrea Bacigalupo - 8 Febbraio 2020 - 10:30
Warrior of Sun
Band: Hounds
Genere: Heavy 
Anno: 2020
Nazione:
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70

Warrior of Sun’, prodotto dalla Punishment 18 Records, è il primo album degli Hounds, band piemontese attiva dal 2016, che già si era fatta conoscere a livello discografico con l’EP omonimo nel 2018.

Il loro è un Heavy Metal duro e potente, ma anche raffinato e carico di melodia, derivante dalle produzioni americane che, negli anni ’80, volevano emergere contrastando, sia l’esplosione della NWOBHM, sia il successo dell’impertinente e libertino Glam Metal.

Giusto per far conoscere il ceppo di origine, sono i Savatage del periodo fino a ‘Gutter Bullet’ ad influenzare maggiormente il combo nostrano, che comunque non vuole copiare e ci mette tanto del suo, associando alle classiche sonorità pesanti e scure delle andature progressive e delle parti elettroniche futuriste.

Il risultato è una buona commistione di passato e presente espressa in brani di struttura articolata e variabile, dotati di un buon tiro e molto coinvolgenti.

In ‘Warrior of Sun’ l’energia è pulsante, viva all’interno di un’oscurità che tiene lo stato di allerta in perenne codice rosso per mezzo di atmosfere avvolgenti e sinistre, aperture melodiche penetranti, riff taglienti ed assoli dinamici legati da una voce aggressiva e potente, uniti a lunghe partiture ansiogene che sembrano trasportare verso una destinazione che non si conosce.

Le tracce sono nove per una durata di poco superiore ai tre quarti d’ora.

L’apertura è affidata a ‘Madness and Rage’, un’intro strumentale dove pianoforte, musica elettronica e chitarra si rincorrono in un gioco di crescente potenza fino all’attacco di batteria che porta ad una cavalcata oscura. Gli Hounds stanno chiamando …

Il primo brano vero e proprio è la title-track ‘Warrior of Sun’, forte ed epico quanto scuro, con il pianoforte che, nell’interludio, riprende la precedente ‘Madness of Rage’; un primo assolo è accompagnato dal pianoforte (il passato) mentre un secondo dal synth (il futuro).

Un organo da brivido, degno dei più sagaci maestri della paura, introduce ‘Condemned to Hell’, un brano coinvolgente e robusto, grintoso e carico, semplicemente trascinante.

Beyond the Horizon’ è marziale con i suoi ritmi cadenzati e grevi e le sue keyboards avvolgenti. Desta interesse il finale dominato da tastiere e chitarre che incedono fino alla conclusione.

The Chronogate’ è una breve strumentale che divide in due il disco. Il pianoforte crea una densa atmosfera fino all’entrata delle tastiere elettroniche, che fermano per un attimo il tempo per poi farlo ripartire verso l’ignoto.

La seconda parte del lavoro inizia con l’esplosiva ‘City Hunter’: veloce e scatenante, dà la carica. Un pezzo da palco.

Non poteva mancare il momento romantico, ma gli Hounds non vogliono seguire ‘il manuale’: ‘The Light’ è una mini suite divisa in tre parti delle quali la prima è si una ballad romantica e luminosa ma la seconda, giocata al centro, prende forza per portare ad un potente ed iroso scambio di assoli, mentre la terza, affidata alle tastiere, genera ansia e mistero. Un brano importante che sancisce che gli Hounds hanno i numeri giusti.

Hero’s Fate’ e un brano complesso, non immediato, che unisce le andature anni ’80 ad altre più moderne e progressive. Bisogna ‘entrarci dentro’, non basta un ascolto per capirlo, ma è giusto così.

L’ultima traccia è ‘Unreal’, una buona carica aggressiva con un refrain melodico e struggente e strofe forti e dure. Il finale, melodico e d’atmosfera, non chiude solo il brano ma tutto il lavoro.

Tirando le somme, ‘Warrior of Sun’ presenta degli artisti maturi molto preparati sul piano compositivo. Su quello esecutivo, a volte qualche spigolo si scontra, ma nulla di compromettente: è l’album d’esordio e ci può stare. In generale, il lavoro è comunque positivo. Auguriamo agli Hounds una densa attività live ed attendiamo il prossimo lavoro.

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