Recensione: Where the Void Rose

Di Matteo Pedretti - 26 Settembre 2022 - 12:00
Where the Void Rose
Etichetta: Ripple Music
Genere: Doom  Hard Rock 
Anno: 2022
Nazione:
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75

“Where the Void Rose”, uscito pochi giorni fa via Ripple Music, è la terza fatica discografica dei The Necromancers. L’album va a consolidare un rapporto di collaborazione, quello tra il combo di Poitiers e l’etichetta statunitense specializzata in Doom, Stoner e Heavy Psych, inaugurato nel 2017 in occasione della pubblicazione del debutto “Servants of the Salem Girl” e proseguito l’anno successivo con il rilascio di Of Blood and Wine.

L’ingrediente saliente di queste sei nuove tracce rimane quella miscela a base di Doom Metal e Occult Rock, arricchita da elementi NWOBHM, Progressive Rock e Heavy Psych, con cui i francesi si sono fatti conoscere nei circuiti underground. Al saldo rapporto con la casa discografica e all’immutata impostazione stilistica, elementi di continuità rispetto al passato, fa da contrappeso un cambiamento decisamente rilevante: nel 2021 infatti Basile Chevalier-Coudrain ha sostituito Tom Cornière-David alla voce e alla chitarra.

L’apporto del nuovo vocalist si sente eccome. Lungi dallo snaturare la proposta del quartetto, Basile, al contrario, la esalta grazie a linee vocali versatili che assumono registri ora melodici ora aggressivi, sempre ricchi di sfumature e di un’espressività – a tratti quasi teatrale – che ben si addice al genere. Degno di nota anche il lavoro i Robin Genais alla chitarra solista che, mai troppo ingombrante, non esita a prendere la scena al momento opportuno.

“Where the Void Rose” parte con “Sunken Huntress”, uno Stoner su cui, tra rallentamenti e ripartenze, si dipana un cantato tipicamente Occult Rock. L’ultima parte del brano, in cui c’è spazio anche per un bel assolo di chitarra, suona più tradizionalmente Heavy Metal. Dall’Occult al Doom, si sa, il passo è breve! E infatti “Crimson Hour” è lungo passaggio di oltre 8 minuti in cui prevalgono le atmosfere rarefatte e dilatate di un Doom Metal che si sviluppa tra interessanti cambi di tempo e di registri vocali.

Il ritmo accelera in “The Needle”, la cui matrice è un oscuro e tirato Heavy Metal che apre tanto a passaggi Rock relativamente melodici quanto a sulfurei rallentamenti, con un altro buon assolo di chitarra prima della chiusura. Una tetra intro dal sapore cinematografico, che richiama le colonne sonore degli horror anni Settanta della Hammer Film apre “Orchard”, un pezzo Doom dalle sfumature Progressive.

Dopo una partenza atmosferica, la title track incede tra passaggi soft e intimisti, in cui la sezione ritmica si limita a supportare le melodiche linee vocali, protagoniste indiscusse, e appesantimenti di stampo settantiano in cui aleggia l’anima dei Black Sabbath. Nella closer “Over the Threshold” si torna a quello che è sostanzialmente uno Stoner, che trova qui una declinazione più Metal rispetto a quanto ascoltato nella opener.

Il suono indubbiamente vintage è determinato più dalle scelte in sede compositiva – i cui riferimenti principali si individuano in grandi del passato come Black Sabbath e Coven – che non dalla produzione minimale, pulita e complessivamente moderna.

Pur non essendo esponenti di spicco delle scene Doom e Occult Rock, i The Necromancers si elevano dalla nutrita schiera di cloni che popola questi generi e “Where the Void Rose” lo rivendica con decisione. Questo terzo album, infatti, oltre a dimostrare come i ragazzi – nonostante le influenze facilmente individuabili – siano forti di un approccio personale, può anche essere ritenuto il loro lavoro migliore: più maturo del già buon esordio “Servants of the Salem Girl” e certamente più interessante e ricco di soluzioni di Of Blood and Wineche probabilmente scontava il fatto di seguire a distanza troppo ravvicinata il suo predecessore.

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