Recensione: Where Vultures Know Your Name

Di Marco Tripodi - 7 Maggio 2020 - 5:30
Where Vultures Know Your Name
Band: Graceless
Etichetta: Raw Skull Records
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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75

I Graceless di Leida, sud dell’Olanda, esistono dal 2016 e già l’anno successivo hanno debuttato con “Shadowsland” per Raw Skull Recordz. Dopo uno split con i russi Grond nel 2019, oggi è il turno del secondo album, sempre sotto Raw Skull. Line-up invariata, amore per l’old school death metal anche. Quello che mi ha immediatamente stregato della band è proprio l’approccio, l’attitudine, fieramente fuori dal tempo (presente). I Graceless ad esempio non sanno cosa sia la velocità, non nel senso che sono lenti e noiosi, quanto piuttosto che quella non è un parametro per etichettarli, non viene usata dalla band come metro di misura del proprio testosterone. Stesso discorso per il tasso tecnico. I Graceless sono tutto fuorché dei cialtroni dello strumento ma l’esibizione di un certo ipercinetismo non è di loro interesse, non hanno scelto di suonare death metal per dimostrare quanto siano funambolici o esasperati nell’affrontare intricatissimi grovigli, cambi di tempo e fulminanti corse a perdifiato con doppi e tripli carpiati. I Graceless prediligono le atmosfere, il groove, i riff, la potenza, secondo la scuola del vecchio death metal, capace di creare interi mondi paralleli con una canzone, di trasportarti altrove per soddisfare immaginazione e visionarietà. L’ascolto di “Where Vultures Know Your Name” non ti sbatacchia a destra e manca come un calzino per il gusto di farlo, i Graceless si fanno nocchieri, sono il nostro Caronte verso il mondo ritratto dall’artwork del loro album e, pennellata dopo pennellata, ci portano per mano in una realtà densa, malmostosa, putrida ed esaltante al contempo. Volendo necessariamente trovare dei termini di paragone, espediente sempre un po’ antipatico ma indubbiamente utile a scattare una fotografia esplicativa, si potrebbe parlare dei Bolt Thrower, dei primi Benediction (quelli con “Barney” Greenaway), dei Grave d’inizio anni ’90, dei migliori Runemagick (quelli sul finire dei ’90, prima dell’ubriacatura doomish che ne ha obnubilato il sound), degli Asphyx di Van Drunen. A tutto ciò la band aggiunge passaggi stranianti, sfumature più acidule, quasi psichedeliche, una avviluppante spirale entropica che contribuisce a mantenere l’album in eterno movimento, mai stagnante. Come diceva una vecchia pubblicità di televisori, i Graceless non hanno bisogno di effetti speciali, la loro musica parla per loro, la loro attitudine è tutto ciò che conta. “Where Vultures Know Your Name” è granite allo stato puro, affonda nel terreno in profondità, è inamovibile e sosterrà qualsiasi peso gli gettiate addosso. Potete affidargli tutta la vostra fatica esistenziale, si rivelerà un amico solido.

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