Recensione: Wired Up

Di Eric Nicodemo - 27 Novembre 2017 - 9:45
Wired Up
Band: Jeff Paris
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2015
Nazione:
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92

Geoffrey Brillhart Leib fu una vera e propria meteora dell’hard rock anni Ottanta: enfant prodige, dimostra fin dalla tenera età di due anni di adorare la musica e, presto, si dedica anima e corpo a suonare il pianoforte e la sei corde. Maturando tecnica e gusto compositivo, capisce che può intraprendere due strade: fare il “sideman” in un progetto musicale o prendere le redini e avere il totale controllo della sua creazione ovvero la forma canzone. Il buon Geoffrey opta per la seconda opzione: diventare un songwriter, diventare un vero artista, diventare Jeff Paris.

Ebbe inizio, dunque, la grande avventura nel mondo della musica: alle origini, Paris lavorò come songwriter e turnista con Bill Withers e Dan Fogelberg. Successivamente, ottenne un ingaggio dall’Almo/Irmo publishing, attirata dalle canzoni di Jeff coverizzate da Jeffery Osbourne, Tower Of Power e da The Pointer Sisters.

Tuttavia, le cose cambiarono radicalmente solo quando Jeff si rivolse alla label di Steve Wozniak, mentore della Apple e responsabile dell’US Festival: Mr. Brillhart si offrì come compositore per qualsiasi rock band interessata. Ben presto la proposta venne accolta e gli fu commissionata la scrittura di “Gotta Let Go” e, assieme a Moon Calhoun, di “Hit And Run” per Lita Ford. Derek Shulman, uno dei manager più influenti della Polygram e patron dei Bon Jovi, notò il talento del compositore e decise di metterlo sotto contratto.

Dopo aver affilato le lame con un eccellente ma poco quotato debut album, “Race To Paradise”, venne riunito attorno a Paris un manipolo di artisti costituito da Michael Thompson (chitarra), Gary Moon (basso) e dal futuro Guns N’ Roses Matt Sorum (batteria). Con la nuova line-up, Jeff diede alle stampe nel 1987 il secondo capitolo della propria carriera solista, intitolandolo “Wired Up”.

Tuttavia, bravura e talento in fase compositiva non sempre erano sufficienti a far emergere nell’affollato palcoscenico degli Eighties: “Wired Up”, venne ignorato dalla grande massa, troppo intenta ad incensare i pesi massi dell’hair metal. Un vero peccato perché, nel ricco forziere di quegli anni, quest’album probabilmente è una delle gemme più lucenti.

 

It’s saturday night join the party”

 

“Saturday Nite”, prima traccia del lotto, è una ode all’heavy rock e alla vita notturna: coro ossessivo, voce tagliante e riff trascinato e grondante di sudore. Le giusta ricetta edulcorata da spruzzate di tastiere, che pose Jeff in diretta competizione con i vari Bon Jovi dell’epoca.

 

La febbre del sabato sera. Il video dell’opener “Saturday Nite” trasmessa al tempo su MTV. Per quanto carismatico, il pezzo non venne passato in heavy rotation…

 

Frecciatina ai Bon Jovi che emerge dai cori prorompenti di “One Night Alone”, traboccante di vitalità ed enfasi. Viene spontaneo chiudere gli occhi e immaginare una magica notte illuminata dal tremolio della chitarra di Paris. Insomma, l’ennesima hit mancata.

Ascoltando l’inizio, è lecito dubitare di un calo fisiologico ma il meglio deve ancora venire: il refrain di “Trial By Fire” avrebbe dovuto essere cantato a squarciagola da quanto è ipnotico, con un climax finale teso e passionale. Una canzone meravigliosa che rivaleggia a testa bassa i migliori momenti del biondo crinito di New Jersey.

Se “Trial By Fire” è una prova di valore quella del fuoco vera e propria prende il nome di “Cryin'”: il canto del coro scarica una dolce scossa che scende attraverso la spina dorsale e riempie cuore e polmoni. Paris mantiene sempre completa padronanza di tecnica e sentimento, creando con i propri assoli momenti che amplificano il messaggio del ritornello.

Durante l’ascolto emerge lo slancio del compositore in crescita, che vuole esprimere le proprie potenzialità: Paris aveva l’urgenza di scrivere musica per passione ed evitava di soffermarsi su una sequela di ballad per compiacere il mercato. Da questo sprone, “Wired Up” prende il nome dalla track più indiavolata del lotto, affamata di velocità: backing vocals irresistibili e chitarre brucianti travolgono qualsiasi cosa sul loro passaggio nella folle corsa di una vita vissuta ogni istante, al massimo.

Nella musica di Jeff, dunque, percepiamo istinto ed eleganza in eguali quantità, due componenti essenziali per modellare lo charme del grande rock melodico, perfettamente catturato da “Charmed Life”, abbastanza ruffiana da accontentare tutti e mai troppo scontata da deludere: il ritornello ha un fascino catchy assuefante, straripante di entusiasmo, complice l’ennesimo grande lavoro di scrittura, con le chitarre del duo Paris/Thompson scattanti e cromate. Il sound si muove sicuro e intraprendete come la giovane donna protagonista del brano, angelo leggiadro e demone seduttore in un’unica figura. “Charmed Life” è puro “lusso” melodico, ammiccante e sfrenato, che avrebbe potuto stracciare più di qualche maglietta… e qualche concorrente.

Tutta quest’energia non sembra spegnersi mai: la fiamma dell’ispirazione continua ad ardere in “I Can’t Let Go”, esplosione di colori caldi e note vellutate. Tanta passione che ha il suo climax nel refrain, capace di toccare i nostri sensi grazie al perfetto equilibrio tra passione e romanticismo.

Il bello di un album come “Wired Up” è essere inesauribile nella sua longevità e nella tensione che genera fino alla fine: in “Heart To The Flame” l’AOR si appropria di cori hard blues e Jeff può sfogare la propria perizia da saltimbanco della sei corde, sempre nel massimo rispetto dell’ascoltatore poco incline alle digressioni ampollose.

A Matter Of Time”, invece, custodisce tutto il fascino sognante marchiato anni Ottanta: suggestioni a base di tasti caldi e rondò di voci malinconiche, bellissime sirene che ci restituiscono ricordi sepolti dal tempo.

Memorie e sonorità che sembrano appartenere ad un’altra dimensione, un mondo rarefatto, fertile di atmosfere dimenticate e sogni infranti. E sembra proprio che Paris “giocasse” con immagini simili chiudendo con “Illusions”: poco importa del business quando una canzone come “Illusions” sa spiazzare e sedurre lo spettatore con chitarre poderose e un vortice ammaliante di cori.

Illusions” non è, tuttavia, una canzone per cullare l’audience ma scuote le sue certezze e narra del mondo reale, un incubo le cui crudeltà e paure sono talmente scioccanti da spingere a chiederci “Are they real or just imagination?”.

Parole come queste rivelano una poetica profonda, un aspetto poco considerato del chitarrista: la musica orecchiabile di Jeff trattava non solo la vita giovanile e i suoi amori ma si intrecciava con ombre e luci della società, superando i cliché mielosi del genere. Ecco spiegato perché il ruolo di nuovo Bon Jovi non si adattava a Paris: Derek Shulman confessò di aver sperato per Brillhart un futuro a là Bryan Adams piuttosto che una carriera come John.

 

“Provatelo, non ve ne pentirete…”

 

Il titolo dell’ultimo brano fu profetico per quanto riguarda il destino di “Wired Up”, considerato lo scarso riscontro commerciale che ebbe l’album appena uscito: l’ultima notte del suo primo tour, Jeff venne a sapere che l’etichetta voleva sbarazzarsi di lui. La reazione del rocker fu inaspettata: Geoffrey si presentò davanti ai responsabili dell’etichetta e si mise a suonare senza alcun riguardo, a mo’ di sfottò.

Appianate le divergenze, un giorno il vecchio management chiamò al telefonò Paris e gli chiese di scovare qualche potenziale hit per un nuovo complesso tutto al femminile, chiamato Vixen. E così “Cryin'” (assieme a “One Night Alone” e “Charmed Life”) venne ceduta e, grazie al fascino piacente delle Vixen, si trasformò in una hit, aggiudicandosi il ventiduesimo posto nelle chart statunitensi e il disco d’oro.

Che preferiate le versioni proposte dalle Volpi o gli originali, “Wired Up” rimane l’album di grande rock melodico d’ascoltare almeno una volta nella vita.

 

Jeff Paris band

 

Eric Nicodemo

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