Recensione: Wolverine Blues

Di The Dark Alcatraz - 4 Giugno 2003 - 0:00
Wolverine Blues
Band: Entombed
Etichetta:
Genere:
Anno: 1993
Nazione:
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90

Raccontare, ma soprattutto dire la propria su di un album quale è Wolverine Blues, non è affatto facile, in quanto questo disco è, probabilmente, l’essenza e l’apoteosi della filosofia musicale della band svedese, oltre che l’album che ne ha fatto le reali fortune.
Le particolarità di questo disco, già di per se atipico, sono le differenti sonorità in esso contenute: infatti possiamo trovarvi brani dal ritmo incalzante e poderoso combinati con altri più ragionati e melodici.

Una ritmica poderosa la possiede senza dubbio “Rotten Soil”, che consente agli Entombed di esprimere tutta la loro potenza e cattiveria musicale, con una cadenza velocissima che non concede neanche un attimo di respiro. La voce di Lans Goran, in questo disco viene valorizzata appieno: infatti, in un misto fra growling e cantato tradizionale, il singer riesce a ricreare melodie vocali veramente molto puntuali e azzeccate. In special modo questo si può ritrovare in “Demon”, in cui la sua potentissima e bollente voce abbraccia tutto il pezzo, accompagnandolo con note molte volte parecchio allungate, per ricreare un effetto di growl ancora più incattivito e possente. I riff di chitarra, soprattutto quelli introduttivi e quelli presenti nel chorus, sono per gran parte molto puliti e dinamici; a dire il vero però, gli accordi vengono ripetuti con troppa frequenza, generando una spiacevole sensazione di “già vissuto”, che potrebbe quindi portare a stancare l’ascoltatore.

Prima si faceva riferimento a delle canzoni con una ritmica un poco più lenta e ragionata e quindi non possiamo non annoverare fra queste un capolavoro quale è “Eyemaster”, che pur non essendo rapidissima, riesce allo stesso modo a coinvolgere grazie a Lars Rosenberg e al suo incredibile modo di suonare il basso, impeccabile in tutto l’album, ma qui in particolare, dove esegue una performance da tramandare ai posteri, o quasi. La sua millimetrica precisione infatti, riesce a penetrare all’interno del torace generando quel piacevolissimo rimbombo, che solo i veri artisti di questo strumento sanno conferire.

Wolverine Blues, tuttavia non ha ancora finito di esprimere tutte le sue migliori qualità: infatti, discorso a parte va fatto per i due veri pezzi forti dell’ album, ovvero “Full of Hell” e “Hollowman”, veri e propri cavalli di battaglia, non solo del disco, ma della band stessa. Per la prima c’è veramente poco da dire, ascoltarla forse, è il modo migliore per capire cosa s’intende quando si parla di Death Metal puro. Le chitarre qui raggiungono la massima potenza, la batteria di Andersson concede mostra di sé, dando il tempo agli altri strumenti e la meravigliosa voce di L-G, vero esteta del growling, si esprime in tutta la sua tecnica in melodie quasi inumane.
In “Hollowman” si completa quanto detto riguardo alle chitarre, che riescono ad essere così coordinate da riuscire ad eseguire melodie molto diverse l’una dall’ altra anche a distanza di pochi secondi, accompagnate dall’immancabile e camaleontica intonazione di Petrov.

Non si sa bene cosa abbia fatto generare un cambiamento così drastico del modo di suonare della band, dopo questo disco, molte sono state le ipotesi, nessuna realmente convincente, l’unica cosa certa è che una band che è stata in grado di produrre musica di così alta qualità non può essere caduta in disgrazia in questo modo, e non credo affatto che non riuscirà a rialzarsi da quel periodo di anonimato che la sta investendo dalla fine degli anni Novanta ai giorni d’oggi; dopotutto, i presupposti per fare bene ci sono, confidiamo che non disattendano le nostre aspettative per il futuro.
Daniele “The Dark Alcatraz” Cecchini

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