Recensione: World Gone Mad

Di Andrea Bacigalupo - 16 Gennaio 2017 - 9:00
World Gone Mad
Etichetta:
Genere:
Anno: 2016
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
72

Passati circa tre anni e mezzo dalla pubblicazione di “13”, Mike Muir è rientrato in sala di registrazione portandosi una latta di vernice, con su stampato il moniker dei suoi Suicidal Tendencies, entro la quale ha mescolato un po’ di tutto: Hardcore, Punk, Metal, Thrash, un po’ del vecchio Hard Rock, che non guasta mai, ed una “punta” di Rap e di Psichedelica. Il colore ottenuto è quello della sua musica, che ha poi fatto stendere da “pittori” d’eccezione: la mano di fondo è stata affidata a Dave Lombardo (ex Slayer, come se ci fosse bisogno di dirlo, Testament e molti altri), a Ra “Chile” Dìaz, bassista proveniente dalle scene Alternative Rock, Hip Hop e Funky (Drogatones, Tiro De Gracia e Ritmo Machine) ed a Jeff Pogan, già assistente tecnico dei Suicidal Tendencies e chitarrista degli Oneironaut, mentre, per le finiture, è stato incaricato il veterano Dean Pleasants, compagno di squadra di Mike Muir negli Infectious Grooves fin dal 1991 e con gli stessi Suicidal Tendencies dal 1998.

Il prodotto è stato “World Gone Mad”, album dai toni brillanti, accesi e carichi di adrenalina, pubblicato il 30 settembre 2016 dalla label Suicidal Records.

Gli oltre trentacinque anni di esperienza del Frontman, unico superstite della formazione originale, trovano il principale riscontro nella buona scelta della sezione ritmica, che ha sostituito per intero quella del lavoro precedente. Il risultato della fusione tra il talento di uno dei migliori batteristi Thrash al mondo con l’estro di un maestro del basso a cinque corde, appartenente ad un genere completamente diverso, si è dimostrato dirompente: ritmi martellanti, rullate spaccaossa, muri sonori di forte impatto, amalgamati da una dinamica chitarra ritmica, sono la matrice che lega tutto il full-length, composto da undici tracce che abbracciano un po’ tutto il percorso iniziato dai Suicidal Tendencies nel 1981, mettendo più in evidenza la vena Rock rispetto a quella Funky che aveva influenzato le produzioni di inizio anni ’90.

Molto valido è il lavoro dei solista, protagonista in tutte le tracce, quasi quanto la voce, per mezzo di uno stile molto incisivo, che lega i diversi ritmi che infarciscono il disco, facendo quasi dimenticare che ognuno di essi è stato distinto da un nome.

Per quanto riguarda Muir, c’è poco da dire: con una voce chiara ed essenziale, riesce a comunicare rabbia e sarcasmo senza affidarsi a sforzi eccessivi o a  tecniche particolari.

L’album è distinto da un songwriting molto vario: si parte a “manetta” con la veloce e divertente “Clap like Ozzy”, un acceso Rock’n’Roll mischiato con l’Hardcore degli esordi che esalta quel semplice, naturale ma quasi folle gesto con il quale il maestro tra i maestri infiamma le platee da oltre mezzo secolo. Segue “The New Degeneration”, composta da un potente mid-tempo frammentato da un ritmo veloce ai margini del Thrash, mentre in “Living for Life” atmosfere oscure avviano un furioso Hardcore sostenuto da una batteria rocambolesca. Molto azzeccata è “Get Your Fight On!”, un robusto e veloce pezzo Heavy Metal introdotto da dense linee melodiche.

La parte centrale del disco risulta un po’ debole, a causa dei toni poco convincenti della cadenzata title-track “World Gone Mad”, che richiama le vecchie influenze Funky, e della successiva “Happy Never After”, a parere dello scrivente troppo lunga e ridondante. Le seguenti “One Finger Salute”, “Damage Control“ e la prepotente ed incisiva “The Struggle Is Real” riportano sulle piste dell’Hardcore e del Metal, mentre la psichedelica “Still Dying To Live” e l’acustica “This World”, che chiudono il lavoro, percorrono i sentieri dell’Alternative Rock un po’ barcollando, incespicando sulle asperità poste qua e là.

In conclusione, “World Gone Mad”, le cui fondamenta sono l’alta qualità dei musicisti, affianca brani eccellenti, che sono più che altro quelli incentranti sulla compattezza dell’Hardcore/Thrash, ad altri un po’ tediosi e meno coinvolgenti, anche se suonati in modo impeccabile.

Il giudizio complessivo è comunque più che positivo, ed il full-length si accosta alle altre buone uscite del 2016. Cammino molto articolato quello dei Suicidal Tendencies, si spera ancora lungo e sorprendente. Vediamo cosa ci dirà Mike Muir nel prossimo futuro.   

Ultimi album di Suicidal Tendencies