Recensione: World Shapers

Di Daniele D'Adamo - 7 Aprile 2014 - 18:44
World Shapers
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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58

Aurora Borealis.

Un nome assai evocativo, quasi leggendario. Che fonda le sue origini nell’ormai lontano 1995, quando il master mind Ron Vento lascia i Lestregus Nosferatus per dar vita a un ensemble che, da lì a oggi, ha accarezzato il successo senza mai toccarlo davvero. Una cospicua discografia che culmina quest’anno con “World Shapers”, sesto full-length di una carriera comunque tosta e cattiva.

Del resto il bagaglio tecnico/artistico dei Nostri non è secondo a nessuno, nel campo del death metal, considerando anche che hanno fatto parte della formazione mostri sacri come i batteristi Tony Laureano dei Nile, Tim Yeung dei Morbid Angel e Derek Roddy dei Serpents Rise. E che, nondimeno, la band ha avuto origine dalle terre floridiane, feconda come poche altre al Mondo in materia di metal estremo.

Un metal estremo molto, molto elaborato, spiccatamente devoto alla massima precisione esecutiva. Quasi un’ossessione per la macchinosità, che chissà perché ha sempre contraddistinto i deathster a stelle e strisce, soprattutto degli stati del Sud. Tanto è vero che, sin dal massimo splendore dei Death, è iniziata a circolare la definizione esatta per tale fattispecie: ‘technical death metal’. Questi ultimi, non a caso, conterranei del bravissimo Vento.    

Il quale, dall’alto del suo innegabile mestiere, propone dosi massicce di ‘technical’ per i suoi Aurora Borealis e l’ultimogenito “World Shapers”. A dire il vero la complessità compositiva delle tracce del platter non è esagerata, potendosi con ciò seguire senza particolari intoppi lo srotolarsi delle song, ma certo è che il percorso da “In The Beginning” a “And To The Stars Returned” non si può affermare sia per tutti. È necessaria, cioè, una certa predisposizione alle linee asciutte di una foggia musicale che non regala nulla a nessuno in termini né di armoniosità, né di accessibilità. Un’aridità che per forza deve trovare il riscontro di gusti personali idonei, giacché – come a volte accade in questi casi – la mancanza di rotondità del sound e, soprattutto, di adeguata potenza, fanno di “World Shapers” un prodotto ostico e quasi indigeribile ai più.

Ma non solo.

Vento dimostra di sapersi barcamenare ottimamente con i vari strumenti, e offre pure un’ugola grezza e maligna – a metà fra il growling e lo screaming – che si dimostra perfetta per il genere. Tuttavia, le linee vocali sono troppo uguali fra loro, dando l’idea che siano le medesime, o quasi, ripetute per tutta la durata del disco. Un difetto grave, giacché porta come immediata conseguenza la noia. Noia derivante, anche, dalla frustrazione di non riuscire a memorizzare praticamente nulla. E questo difetto è accompagnato, come se non bastasse, dall’ostinato e ripetuto utilizzo di blast-beats poco coerenti con la ritmica dei brani specificamente per quello che riguarda i riff. Riff lenti ed elaborati, cuciti a vere e proprie bombardate di blast-beats, non sono, almeno a parere di chi scrive, la miglior soluzione per inspessire adeguatamente un sound altrimenti troppo arido nonché debole. Tenuto pure conto che l’insistito percorso dei ‘blast-beats a tutti i costi’ porta rapidamente anch’esso alla monotonia musicale e quindi alla noia.          

Insomma, sembra proprio che sia già stato fatto quanto di meglio possibile, in materia. Con che, “World Shapers” pare già vecchio, nonostante sia appena nato.

Solo per gli accaniti.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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