Recensione: X Marks The Spot

Di Francesco Sgrò - 29 Gennaio 2021 - 0:01
X Marks The Spot
Etichetta: AOR Heaven
Genere: AOR 
Anno: 2020
Nazione:
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80

Immersi nelle profonde tonalità di un artwork dal grande impatto visivo e travolti dalle prime note chitarristiche della bella “Wild And Free”, si può provare l’eccezionale sensazione di essere tornati indietro al 1991.
Così si presenta “X Marks The Spot”: esordio al fulmicotone per i neonati svedesi Art Of Illusion, pubblicato in questo inizio 2021 sotto l’egidia di AOR Heaven.
Questo tuffo nel passato è una preziosa caratteristica che, certamente, non mancherà di emozionare tutti gli appassionati di quel Rock melodico e patinato, che tanto fece sognare il mondo ai gloriosi tempi di icone come Giant, Night Ranger e Mr. Big.

Il sodalizio artistico suggellato dal chitarrista Anders Rydholm (Grand Illusion) e da Lars Säfsund (vocalist di Lionville e Work Of Art), regala attimi di pura magia e maestria musicale. Subito dopo la già citata “Wild And Free”, la melodia continua a fluire libera da vincoli di sorta con la riuscita “Run” che, neanche per un attimo, tenta di nascondere l’ammirazione del duo per quanto fatto dai Toto, soprattutto all’epoca di “The Seventh One” (1988).
E’ ormai palese come l’originalità non sia nelle intenzioni primarie degli Art Of Illusion: a dimostrarlo pienamente arriva anche la più teatrale “My Loveless Lullaby”, la quale, questa volta, recupera la sontuosa epicità dei primi Queen.
Il regale spirito di Freddie Mecury & Co., accompagna i nostri anche nell’altrettanto riuscita “Waltz For The Movies”, mentre la romantica (e più lineare) “4 A.M.” torna con successo ad un sound più classico e tipicamente anni ’80.

I Toto di “The Seventh One” sono nuovamente omaggiati dalla robusta “Go”, che fa poi il paio con “Snakebite”.
Un fitto velo di squisita teatralità torna poi ad animare la più articolata “Let The Games Begin” che, ancora una volta, dimostra la facilità con cui Säfsund e Rydholm riescano a cambiare pelle ad ogni brano dell’album.

Con nuovi spudorati riferimenti ai Queen, “A Culinary Detour” contribuisce a consolidare la qualità di un songwriting curato nei minimi dettagli ed anticipa l’ultima parte del platter, che prende forma con la più diretta “Catch You If I Can”.
La successive “Rampant Wildfire” “Race Against Time”, restano saldamente ancorate al classico “Toto Style” e concludono un disco, si spettacolare, ma anche tremendamente privo di una propria personalità realmente compiuta.

Vinto l’inevitabile effetto deja-vu, sarà comunque impossibile non cadere ammaliati dal fascino delle composizioni offerte da questo estemporaneo progetto curato da Säfsund e Rydholm.

Un debutto molto derivativo, ma ugualmente, assai godibile.

 

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