Recensione: Zywioty

Di Pasquale Ninni e Leonardo Ascatigno - 6 Marzo 2022 - 0:05

Esistono dei generi musicali che rappresentano, per chi decide di abbracciarli, un terreno minato in quanto ridondanze, scolasticismi e prassi sono elementi che potrebbero irrompere in fase di ispirazione e composizione. Nel lungo percorso della musica a questo postulato si potrebbe riferire, più di altri, il Folk Metal, genere affascinante, di ricerca, “culturale”, atavico, viscerale, ma purtroppo, molto spesso, come detto in apertura, troppo ridondante, scolastico e di prammatica. Le lezioni quindi dei vari, tra i tanti meritevoli, Skyclad, In Extremo, Storm, Finntroll e compagnia suonante e cantante vengono fin troppo recepite, ma poi riproposte in varie declinazioni non sempre felici e/o originali.

Non si può negare che il mondo musicale dai primi anni ’90, periodo di nascita ed evoluzione del genere, subisca il fascino della particolarità musicale, scenica e testuale del Metal Folk, tuttavia alcuni paletti appare difficile superarli, relegando molte band a poche giornate di vera gloria; impegno e fantasia sovente vengono tristemente dissipate a tal punto da confinare il genere in una nicchia dove l’accesso è legittimamente impervio.

La morale di questa favola, a scanso di equivoci, è che a questa regola non sfuggono i polacchi Diabol Boruta con il loro ultimo lavoro intitolato Zywioty; un album calibrato sulle classiche tematiche del Metal Folk, ma in questo specifico caso contornate da elementi poco originali e in alcuni momenti a tratti di ardua comprensione.

Zywioty è probabilmente il lavoro migliore dei Diabol Boruta e nelle varie tracce si possono individuare anche elementi che spallano il classico Metal Folk per far spazio a parentesi Thrash, Rock e Death ed è un peccato che questa contaminazione non sia stata sviluppata come effettivamente meritava. I famosi quattro elementi della mitologia slava e tutte le altre tematiche affrontate nei testi, non sempre trovano un tappeto musicale e vocale idoneo e adeguato.

Il sound generale ricorda delle vecchie demo di gruppi esordienti dei primi anni ‘90 in ambito Metal Folk ed è davvero incredibile come questa sensazione sia perennemente presente per tutto il disco. La produzione è acida, al limite dell’ascoltabile (considerando gli standard attuali); il tutto è stato interamente prodotto dal cantante e bassista della band Paweł Leniart. Il mix delle chitarre ricorda lo stesso presente in Tales Of Mystery And Imagination, disco del 1998 dei Nocturnal Rites, ma purtroppo non vi è la stessa ispirazione del suddetto disco.

Ci sono molti lati spinosi nell’esecuzione di molte parti chitarristiche (e non), tipici dei dischi d’esordio. Si spazia dal Folk al Black, tratti Power e riff addirittura Stoner e di questo il singolo …z popiolow ne è un esempio lampante. Tralasciando infatti i contenuti del relativo videoclip (di dubbia fattura, dove il termine “amatoriale” assume il suo vero significato), si assiste a un mix molto confuso di generi e influenze.

Michał “Gilas” Wyrwa e Mirek “Heniu” Mamczur risultano a tratti incoerenti nelle idee chitarristiche, prevale un palm muting serrato e temi molto basilari, per certi versi banali. Prawdziwa Historya o Wiedzmaku è forse uno dei brani chiave dell’intero platter. Questo è il punto di non ritorno: da qui si decide se continuare con l’ascolto del disco oppure disintossicarsi con il proprio album preferito (sarà la prima cosa che verrà in mente di fare). Come non sottolineare le parti vocali di Mirek e Paweł Leniart, alquanto scollate tra di loro (ma sicuramente in maniera intenzionale) e così aspre.

Gli arrangiamenti non sono propriamente una caratteristica di questo ¢ywioêy, si è di fronte a una band che cerca di esternare il proprio animo arcaico, senza fronzoli.

La produzione dunque di certo non aiuta, il sound della batteria è precario anche nei livelli e nella presenza. Alcuni timidi tentativi di rendere omaggio a perle nordiche quali Black Winter Day degli Amorphis oppure all’omonimo dei Falconer in realtà ci sono, però si possono solo apprezzare lo sforzo e la buona volontà. Dopo attenti ascolti si può asserire che ¢ywioêy ci lascia ben poco, emozionalmente siamo di fronte ad un lavoro poco ispirato.

Ziemia (Dreamtime) è melensa e ripetitiva fino al midollo, con inserti pianistici nel finale che confermano quanto sia poco variegata la proposta dei Diabol Boruta. Lo spirito (e lo stile) di adoratori mistici di Odino è senza dubbio un chiaro marchio di fabbrica, ma di epicità ce n’è davvero ben poca e quel retrogusto da “Octoberfest Made in Polonia” rischia di diventare stucchevole dopo una manciata di brani.

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