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Beppe Riva Pillars: recensione Death SS (…In Death of Steve Sylvester)

Di Stefano Ricetti - 2 Novembre 2013 - 0:10
Beppe Riva Pillars: recensione Death SS (…In Death of Steve Sylvester)

DEATH SS

“…IN DEATH OF STEVE SYLVESTER”

METALMASTER

1988

 

 

Beppe Riva Pillars: rubrica colpevolmente abbandonata dallo scriba da troppo tempo. L’ultimo vagito riporta al luglio del 2011, fra le trame nivo-epiche di Death or Glory degli Heavy Load. I ruggiti metallici precedenti, datati 2010, appartengono anch’essi all’epopea della Siderurgia fatta musica. Nell’ordine: Iron Maiden degli Iron Maiden, Frost & Fire dei Cirith Ungol e Battle Hymns dei Manowar.

A far risorgere un appuntamento che poteva anche assumere carattere di uscita regolare su questi schermi ci ha pensato un recente concerto degli Innominabili, tanto per compiacere a coloro i quali non appena si parla dei Death SS si prodigano nei più fantasiosi rituali scaramantici, ma soprattutto una giornata passata insieme con l’amico nonché mentore Beppe Riva, anch’egli sensibile al richiamo del Signore delle Tenebre ormai da tempo di stanza in quel di Firenze: Mr. Steve Sylvester, da Pesaro.

Beppe Riva è uomo che ha illuminato la strada di generazioni di metallari, tenendone idealmente a battesimo intere legioni, che dopo l’inevitabile folgorazione sulla via di Damasco del Metallo per volere superiore hanno preso spunto e si sono fatti una cultura musicale grazie alle Sue recensioni. Racconti che paiono tratti da un’ipotetica Saga dell’Acciaio, ove enfasi e passione duellano fino alla morte e il Loro campo di battaglia era rappresentato dalle colonne di Rockerilla prima e di Metal Shock poi.

Di seguito un esempio tangibile di quanto scritto poc’anzi: la recensione di …In Death of Steve Sylvester dei Death SS tratta dalla rivista Metal Shock numero 37 del gennaio 1989, comprensiva di titolo e foto originale in bianco e nero.

Buon godimento,

Steven Rich

INIZIO RECENSIONE

NEI TEMPI ANTICHI abbiamo senz’altro avuto degli autentici maestri dell’horror: risalendo al fatale 1970 potevamo  riconoscerli nei Black Widow, negli High Tide, nei Black Sabbath dell’epoca. Dopo di loro, il  diluvio… Sono stati eletti troppi “messia neri”: Kevin Heybourne, Cronos,  King Diamond, persino Quorthon. Molto presto si sono persi, in un labirinto di riff ciechi, debilitati dalla sterilità creativa.

 

 

Gli italiani hanno alle loro spalle secoli di tradizione mistico-occulta, e sono pertanto estremamente sensibili verso le storie che sembrano provenire da una dimensione soprannaturale, ultra terrena. Soffrono però di  radicata esterofilia e spesso preferiscono non accorgersi degli eventi che avvengono nelle loro prossimità, anche quando gli stessi sono la materializzazione dei propri sogni, o se preferite, degli incubi. Da circa dieci anni si parla di una formazione “maledetta” il cui fascino ancestrale è rimasto immutato anche nei periodi di totale scomparsa dalle scene. Ora il fantasma non è più tale, quel gruppo è riesploso con la  sua effettiva opera prima. Non una collezione di vecchi demo, non un singolo per pochi adepti, ma un nuovo LP brulicante di storie originali, sconvolgenti, che trascinano dal primo all’ultimo solco in un crescendo di terrore. E qu mi ricollego al punto iniziale: esiste qualcuno che può succedere degnamente ai sovrani del 1970, sul trono dei maestri dell’horror, ed è Steve Sylvester, voce del culto che ha saputo restituire al metallo “nero” una completa identità artistica: nella teatralità dell’immagine, che rasenta l’iperrealismo della paura in technicolor, nel sinistro background culturale, e nella musica, che offre di sé  uno scenario vario, anche se il grandguignol del sadismo metallico incombe, com’era giusto attendersi, su gran parte dell’opera. “…In Death of Steve Sylvester” è una rappresentazione della strada buia che porta fuori dalla vita verso mete ignote. Non tutti desidereranno imboccarla. La maggioranza preferirà la pace delle strade illuminate, dove ferve, rassicurante, la presenza dei vivi. Ma gli altri, quelli prescelti saranno visitati dall’orrore che invade queste tracce di vinile, venuto a condurli sulla strada dei dannati.

 

 

Preparatevi ai peggiori abomini, al di là dei “messaggi subliminali” incisi nella registrazione mascherata a rovescio di “Vampire” e “The Hanged Ballad”. Dopo aver esalato l’ultimo respiro, calatevi nella cripta di “Vampire” e lasciate ogni speranza… E’ il primo dei cinque brani che rappresentano gli altrettanti “mostri” della Saga Death SS (seguiranno “Death”, “Black Mummy”, “Zombie”, “Werewolf”, tutti sulla prima facciata) e l’assalto del gruppo è terrificante, con il taglio delle chitarre spaventosamente amplificato da un suono d’avanzata tecnologia, che mi auguro solo non sia tradito dal trasferimento su vinile. Subito riemerge anche il carisma dei Death SS nella ricostruzione di lugubre atmosfere, ed il brano si sviluppa con una precisa logica narrativa, fra tenebrose aperture corali. “Vampire” è una fucina di strategie del metallo nero racchiusa nello spazio di cinque minuti! La distorsione, gli echi raggelanti degli axemen in perfetta simbiosi caratterizzano la mostruosa coagulazione di “Zombie”, imperniata su un riff più Sabbathiano degli stessi Black Sabbath. Accelerazioni e fendenti semi-thrash si insinuano in riuscita combinazione nel calderone infernale di “Death” e soprattutto di “Werewolf”.

 

 

L’uso delle tastiere campionate è un’altra caratteristica dominante del disco, fondamentale per la ricerca effettistica del gruppo e verifica del suo spirito innovativo nei confronti del dark: riproducono gotici cori che sembrano esalati dalle catacombe in “Black Mummy”, simulano arrangiamenti orchestrali degni dei Warlord di “Soliloquy” in “The Hanged Ballad”. Quest’ultima è una rappresentazione molto visionaria che si scuote nel delirante finale, dove sembra addensarsi tutto il tumulto di morti vaganti che irrompono nel mondo attraverso crepe aperte da atti di crudeltà e depravazione…  Di “Terror” ho già scritto troppo, è un’apoteosi del talento recitativo di Steve che illustra alcune delle più incredibili pagine di sangue mai raccontate. Decisamente teatrale, intrisa pure di  perversa ironia, “I love the Dead”, che solo in parte cita il testo del vecchio brano di Alice Cooper, e mentre sfuma l’aggressione del classico “Murder Angels”, decido che “…In Death of SS” è una performance che non potrei giudicare meno di stupefacente, ed è il più avvincente album che si  registrasse da  tempo negli annali dell’horror.

BEPPE RIVA

 

Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

PS: la copertina di …In Death of Steve Sylvester riportata all’interno dell’articolo non si riferisce all’uscita primigenia in vinile da parte di Metalmaster del 1988, ma a quella più comune rivisitata per le release successive in Cd. L’originale riporta il logo Death SS in basso e il titolo del disco in cima, con Silvester al posto di Sylvester, nickname “italiano” con il quale Steve era prevalentemente identificato all’epoca.   

2 novembre 2013, giorno della commemorazione dei Defunti