Recensione: Desolation Rose

Di Tiziano Marasco - 28 Ottobre 2013 - 9:53
Desolation Rose
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Anno: 2013
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72

Ecco, queste sono le cose che si amano di una band torrenziale come i Flower Kings. Nel 2008 dicono di volersi prendere una pausa perché neanche si sopportano più e poi, quattro anni dopo ti piazzano un disco che è un piccolo capolavoro. Non paghi di ciò, l’anno successivo tornano sul mercato con un altro disco di studio nuovo nuovo. Sì, perché Desolation Rose esce ad appena 16 mesi di distanza dal delizioso Banks Of Eden, disco che nel frattanto ha avuto modo di crescere e confermare le buone impressioni di allora.

Messa così non ha un compito facile la dodicesima fatica degli svedesi, che per l’occasione cambiano pelle ancora una volta e si presentano con un disco che, di nuovo, dura un’inezia (50 minuti e passa per un gruppo che ci ha abituati a doppi da 2 ore e mezza è un’inezia) e si compone di ben 10 brani. Un disco che non è un concept ma ha la sua tematica dominante, come confermato dallo stesso Roine Stolt. Vale a dire la condizione del genere umano, che è stato capace di far fiorire una rosa (la cultura occidentale) ma troppo avido per poter condividere questa immensa fortuna con il deserto rappresentato dalle regioni più povere del mondo.

Ma si era detto di 10 brani, tutti di durata ridotta escludendo l’opener. Dieci brani che si caratterizzano per estrema eterogeneità e suoni che rimandano soprattutto a The Sum Of No Evil. Dieci brani che si rivelano gustosi, ma lasciano dietro di sé, qua e là, alcune ombre e danno vita ad un album piuttosto altalenante.

Tra gli highlights è naturalmente impossibile non citare Tower ONE, brano ispirato e per il sottoscritto già un classico. Suittina da appena tredici minuti in continuo divenire, che parte su toni cadenzati e beatlesiani per evolversi in una gloriosa cavalcata in cui troviamo Tomas Bodin a dare la carica con fulminei colpi di frusta, ehm, giri di tastiera. Egual discorso per i quattro minuti di Desolation Road, brano gioioso che in Svezia magari finirà pure in radio, e con il ritornello “Silent graveyards / Look for saviors” che diventa uno dei leit motiv del disco. Altro brano ispiratissimo è la sognante e rarefatta Resurrected Judas, così come di pregevole fattura si rivela essere Silent Carnivore.

A questi alti fanno da contraltare alcuni pezzi decisamente più ostici, come la malatissima Sleeping Bones che, a dispetto dei suoi quattro minuti, riesce piuttosto difficile da inquadrare, e ci riporta ai Flower Kings più lisergici, quelli di Circus Brimstone, seppure molto meno in palla. Dark Fascist Skies è ancora un pezzo che parte bene ma si concretizza in un ritornello decisamente anonimo, mentre la ballatella Blood Of Eden si rivela essere decisamente smielata e semplice. Infine, giudizio sospeso per White Tuxedos, brano in cui i nostri ci riportano alla guerra del Vietnam e pertanto rimescolano ulteriormente le carte. Si tratta di un altro pezzo oscuro e malato, tuttavia molto influenzato dal funk, con un incedere sincopato e strambo degno di Tom Waits, condito da un ritornello decisamente sballato che non si sa bene se scartare come ridicolo oppure abbracciare come teneramente bislacco. Decisamente un pezzo da Flower Kings, ma è difficile capire se col passare del tempo funzionerà o meno.

Bisogna dire una cosa, prima di tirare le conclusioni. La musica dei Flower Kings non è mai variata in maniera profonda nel corso degli anni, a parte forse con qullo Space Revolver che è stato un piccolo spartiacque nella discografia degli svedesi. Pure va detto che, leggendo in giro le recensioni e i commenti, la produzione di Stolt e soci è fatta di alti e bassi, che però variano a seconda dei singoli. Per alcuni Paradox Hotel è un capolavoro di semplicità nonostante si tratti di un doppio, per altri è una caduta di stile. Stesso discorso si può fare Per Adam & Eve, Rainmaker e via dicendo. Ora, è probabile che questo florilegio d’opinioni si ripercuoterà anche su Desolation Rose. Forse il grande limite di questo disco però è solo quello di essere uscito dopo Banks of Eden, un album che si era rivelato ai miei occhi come una prova inaspettatamente, piacevolmente, sorprendentemente buona. La presenza in tracklist di alcuni pezzi difficili da inquadrare, così come un songwriting meno cristallino del solito danno vita ad un disco che è certamente valido, ma niente di più.

Avrebbero dovuto aspettare anziché prodursi in due uscite così ravvicinate? Ma no. Avrebbero dovuto fare direttamente un doppio? Ma neanche!

Il prog è bello perché e vario e se Desolation Rose segnala, almeno a parer mio, un leggero calo rispetto al suo predecessore, pazienza, questo non vuol dire che mastro Stolt (in giro dal 1974) abbia esaurito la sua incredibile vena creativa.

 

Tiziano “Vlkodlak” Marasco

 

Topic dedicato ai Re dei Fiori

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