Recensione: Devil Childe

Di Stefano Ricetti - 1 Febbraio 2014 - 0:10
Devil Childe
Band: Devil Childe
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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60

La storia del Metallo è destinata, evidentemente, a essere continuamente foriera di aneddoti, dischi fantasma che di botto vedono la luce e altrettanti album oscuri, usciti a Suo tempo ufficialmente in tiratura super-limitata e che, magicamente, in questa epoca di… di che cosa? Di revival? Forse si, anche di quello, ma in realtà di un po’ tutto e del contrario di tutto, viste le continue contraddizioni legate al momento di recessione che stiamo vivendo, risorgono dall’oblio.

Devil Childe, prodotto che venne licenziato originariamente dalla altrettanto misteriosa Pentagram nel 1985, era il frutto affrettato di un combo improvvisato per l’occasione che vedeva fra le proprie fila tre personaggi misteriosi quali Matthew Hopkins (voce, batteria), Anton Phibes (basso) e Lucifer (chitarra). Un insieme di nomignoli niente male perfettamente in sintonia con l’intrigante copertina del lavoro, che ad ascolto ultimato risulterà probabilmente la cosa meglio riuscita dell’intera operazione.

Devil Childe esce per la prima volta in Cd grazie al minuzioso lavoro speleologico che da qualche tempo a questa parte sta portando avanti la Minotauro Records (Qui, aperto da poco, il sito dell’etichetta). Al solito, il packaging vale quasi da solo il prezzo del biglietto: cartonato stile Lp in miniatura apribile a due ante, ulteriore custodia del dischetto ottico nera come il carbone e infine un flyer apribile con immortalati i tre membri della band forti di due improbabilissime donzelle adoranti ai piedi, le stesse che cingono Jack Starr negli altri scatti all’interno, a fianco delle note biografiche, fondamentali per inquadrare il disco.

Già, proprio Jack Starr dei Virgin Steele, qui semplicemente auto-denominatosi Lucifer, dopo lo split con David DeFeis, divisione che diede i Natali ai Burning Starr. Gli altri due pard, invece, sono il drummer/cantante Joe Hasselvander (Death Row, poi approdato ai Raven) e Ned Meloni (Burning Starr), alle quattro corde.

La genesi di Devil Childe è più semplice di quello che si potrebbe pensare per un’uscita così indecifrabile: registrato in modalità poco più che “una botta e via”, in sole dodici ore, la notte di Halloween del 1984, costò appena 200 dollari… e si sente alla grande! Suoni davvero poco bilanciati, voce spesso sgraziata, produzione approssimativa e conseguentemente resa alle casse imbarazzante. L’idea, dalle parole di Jack Starr, era quella di scrivere dei pezzi maligni di Thrash Metal, in linea con Ace of Spades dei Motorhead… Evidentemente il concetto del Thrash da parte dell’ex ‘Steele differiva alquanto da quello europeo, ma tant’è.  

Al netto di tutto questo, musicalmente la title track paga pesantemente dazio agli Iron Maiden,  da segnalare l’ugola a la Cronos di Hasselvander a caratterizzare fortemente la proposta dei tre americani. Buoni gli spunti di Rain of Terror!! a metà fra la Vergine di Ferro e gli Exciter. I Devil Childe fondamentalmente fanno Speed amplificando la lezione dei maestri della Nwobhm: Son of a Witch! è infatti figlia degenere degli Angel Witch. Dopo la strumentale Repeat or Die! è la volta di Thru the Shadow, pezzo oscuro il giusto, mentre in Grave Robber ci si imbatte nell’impianto Death SS degli esordi. Non a caso, probabilmente, a chiudere il disco ci pensano le note catacombali di Beyond the Grave. Tutti pezzi mediamente interessanti, che meritavano senza dubbio maggior cura e maggior budget per poter esprimere al meglio il proprio potenziale. Come già raccontato sopra, però, le cose non sono andate come avrebbero dovuto.      

Come si dice – e si scrive – in questi casi? Una testimonianza…  

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

       

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