Recensione: Double Trouble

Di Fabio Vellata - 12 Dicembre 2013 - 0:01

Su di una cosa si potrebbe scommettere ad occhi chiusi ascoltando per la prima volta “Double Trouble”, secondo album dei General Stratocuster And The Marshals: qui c’è esperienza da vendere.

Fondato nel 2010, il gruppo dalle origini “nazionali” molteplici è, infatti, composto da una schiera di navigati, esperti e qualificati esponenti dell’universo rock, assunto nelle sue sfaccettature più diversificate.
Ecco quindi Richard Ursillo al basso, italoamericano ed ottimo musicista di radice prog (Campo di Marte e Sensation Fix le collaborazioni di maggior rilievo). Nuto e Federico Pacini, batteria e tastiere provenienti dai Bandabardò, storico gruppo folk-rock fiorentino. E poi Fabio Fabbri, abile chitarrista dalle influenze fusion e blues.
A chiudere, nulla di meno che Jack Meille, frontman britannico dei leggendari Tygers Of Pan Tang, band che sta alla NWOBHM come il parmigiano alla pasta al ragù. Senza, non sarebbe stata la stessa cosa…

Una squadra che contempla bravura nell’armeggiare con gli strumenti e saggezza nella composizione dei brani insomma, miscelata ad un profilo musicale sempre dal profondo ed autentico sapore genuino e vissuto, che sfocia – quasi naturalmente – in buone melodie e canzoni dagli effetti assolutamente piacevoli.
Ascoltabile in massima scioltezza e relax, “Double Trouble” è un disco in cui riconoscere un’anima cantautoriale autentica e sincera, intrisa di blues, hard e classic rock che si accompagnano in piena sintonia con un suono vintage d’indubitabile fascino e calore.
A partire dall’opener “Drifter”, le immagini di grandi classici inanellati da Ten Years After, Glenn Hughes, ZZ Top, Credence Clearwater, Led Zeppelin e Cheap Trick si miscelano tra loro, portando alla luce un album nel complesso decisamente gradevole, ben curato nella forma e con quel particolare gusto per un modo di concepire la musica “old style” che non manca mai di esercitare notevole attrattiva.

Ad osservarne i tratti nel dettaglio è obiettivamente difficile cogliere motivi particolari di critica: apprezzandone il tipo di sonorità, le nove tracce proposte conquistano spaziando all’interno di una gamma di stili che mostra la propria efficacia essenzialmente nella mancanza di effetti e sovraincisioni. Il suono è molto “live”, reale, caldo. La chitarra di Fabbri è una fucina di accordi blueseggianti che avvolgono l’ascoltatore, riverberando i ritmi mai troppo accesi di canzoni elegantemente “polverose”, mentre la voce di Meille mostra i caratteri di chi può fregiarsi del ruolo di prim’attore in un ensamble d’ottimi professionisti.

“What Are You Looking For”, bel misto tra ZZ Top e Traveling Wilburys, “Alone” country rock dai contorni “rurali” , “Don’t Be Afraid Of The Dark”, sentita ballad blues rock da scenografia notturna e la stupenda ed intensa,  “I Just Got Scarred”, i pezzi top di un album delizioso, chiuso con brio dall’hard rock tonante e zeppeliniano di “Push To The Limit”.

Sincero, onesto, vero, autentico.
Un disco questo “Double Trouble” che non ha in sé le velleità rivoluzionarie di chi desidera porsi quale termine di paragone per una scena musicale. Ma che, ugualmente, ha il merito davvero encomiabile di rispolverare un tipo di suono in voga a cavallo tra anni sessanta e settanta, rappresentativo di quella radice culturale rock divenuta, negli anni, il nostro amato “hard”.

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