Recensione: Kadingir

Di Tiziano Marasco - 11 Febbraio 2016 - 0:00
Kadingir
Band: Titaan
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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Dingir. Ritrovo per la seconda volta questo cuneo sulla via del metal. Mi si era parato innanzi quando ebbi a recensire il death-grind dei Rings of saturn, ora risbuca dagli abissi dell’antichità mesopotamica Kadingir, primo parto dei, o meglio del, Titaan, un altra one-man band dedita al black metal. Ripeschiamo dunque quella prima definizione a beneficio di chi non mastica l’accadico.

Termine preso dalla scrittura cuneiforme, Dingir è una parola che indica la divinità o il cielo stesso, creando così un filo tematico con gli anelli di Saturno, nonché testimonianza del fatto che i Rings of Saturn non sono degli sprovveduti almeno per quanto riguarda la dimensione filologico-umanistica. Ma qui si tratta di musica e non di mezzelune fertili, quindi passiamo al disco nello specifico.

Stavolta però di mezzelune fertili si tratta eccome. Il concept di Kadingir e dei Titaan è infatti un tutt’uno, come spiegato dal misterioso mastermind del progetto, Digir Lalartu: 

“Dal passato più profondo e più antico della cultura mesopotamica, coloro che vivono nei cieli e nei sottosuoli, dei e demoni, combattono uno contro l’altro per raggiungere l’eternità, sostenendo l’intero equilibrio dell’Universo; diffondono il loro messaggio ancestrale al genere umano attraverso Lalartu, il più grande degli araldi, colui che è lo spettro dell’essenza, la Maschera della fecondità, il viaggiatore proveniente dalla porta del cielo, Kadingir, spirito migrante del Dodicesimo Pianeta.”.

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Ed effettivamente il progetto, a livello concettuale è assai ben sviluppato, a cominciare dal fatto che non si sa chi sia in realtà Lalartu, né da dove venga, sicché quella bandierina non vi tragga in inganno, semplicemente esprime la realtà geopolitica che attualmente occupa le terre tra il Tigri e l’Eufrate.

Ma venendo alla musica? Bisogna dire che Kadingir è un disco quantomai ostico e, a tratti , effettivamente affascinante. Trovate 15 tracce, in realtà però solo 5 sono considerabili delle vere canzoni, di quel black metal furibondamente classico e vagamente influenzato dai Behemoth (strano, vero) nel periodo in cui il Darski decise di virare la sua creatura al blakened death. Sia ben chiaro, la proposta  dei Titaan, per quanto concerne il metal, si attesta comunque su coordinate prettamente old school, per quanto leggermente sporcate.

Il resto, invece risulta decisamente enigmatico. 8 interludi, un prologo ed un epilogo di 12 minuti. Un paio di tali interludi sono effettivamente notevoli ed inaspettati, con un gran recupero di tonalità etnico orientali ed effettivamente affascinanti. Il resto si riduce ad un lungo silenzio squarciato da suoni misteriosi e da un vento che spazza lande desolate, vento cosmico sulla porta delle stelle. In tal senso risulta davvero difficile comprendere l’economia ed il ruolo giocato da diversi passaggi di tal disco, in primis dal già citato epilogo.

Kadingir è, a tutti gli effetti, un disco estremamente particolare e difficile da inquadrare, l’ascolto lascia sorgere una serie di dubbi sull’effettiva validità del prodotto, troppi passaggi noise che danno al tutto un tono volutamente elitario ed enigmatico, che però ad ogni effetti rendono questi 68 minuti frammentari e piuttosto sbadiglievoli. Un progetto destinato fuor di dubbio ai blackster più indefessi, e, sebbene certuni tra questi ultimi scopriranno una sorta di piccolo capolavoro, non è affatto certo che anche molti altri riescano a cavarne qualcosa.

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