Recensione: Periphery III: Select Difficulty

Di Tiziano Marasco - 25 Luglio 2016 - 9:00
Periphery III: Select Difficulty
Band: Periphery
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2016
Nazione:
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78

“Quale inusitata violenza, affé mia”. Non è che proprio il pensiero fosse di tal fatta, ma è innegabile che Periphery III:  Select Difficulty abbia un avvio spiazzante e sorprendente, anche se non in positivo. I Periphery infatti, che tornano a neppure 16 mesi di distanza dal mastodontico Juggernaut, presentano il loro quarto album lasciando intendere, almeno dal titolo, una continuità con Periphery e Periphery II: This Time it’s personal. 

Nulla di più lontano dalla realtà. The Price is Wrong e Motormouth, prime due tracce delle 11 in scaletta, aprono il disco all’insegna di un death core molto classico, forse non prevedibile e ultra tecnico, ma comunque piuttosto piatto e anonimo. Non ci sono i contrasti che hanno fatto grande una delle band che può essere inserita a pieno titolo tra i padri del djent. Non ci sono quelle linee melodiche un po’ prog, un po’ punk e un po’ emo. Il clean di Spencer Sotelo fa la sua comparsa solo alla fine della seconda traccia.

È con Marigold che i nostri salgono effettivamente in cattedra. Compaiono delle orchestrazioni – vere, non sintetiche stavolta – compaiono le linee vocali emocatchy che riportano alla mente i Savage Garden (almeno al sottoscritto, il cui bislacco subconscio riconnette il clean di Sotelo a quello di Darren Hayes). Ricompaiono, e vengono confermate in The Way the News goes e nel singolo Remain indoors, tutti quegli elementi melodici e vagamente pop per cui, se i Periphery fossero apparsi sulla scena nel 2001, sarebbero stati accostati, dalla vecchia generazione metallara, al filone nu-metal e fucilati senza processo. Ciò detto, con questi tre pezzi i nostri riescono a rimettersi ampiamente in carreggiata, regalando tre canzoni da brividi, che poco hanno da invidiare ai singoloni del passato.

Ciò che però preme sottolineare, è il fatto che, melodia o furia, questo nuovo parto degli statunitensi sembra molto più grezzo ed immediato rispetto ai suoi predecessori. Le canzoni hanno una struttura relativamente più semplice, nel senso che i cambi di ritmo, pur repentini e violenti, appaiono in minor misura. Oltre a questo sembra che la produzione sia molto più tradizionale, senza effetti ed effettuzzi e pure il massiccio utilizzo di tastiere “sintetiche” che facevano di This time it’s personal un disco estremamente ruffiano ed estremamente irresistibile. Immediatezza sonora da un lato, minimalismo compositivo dall’altro. Le nuove tracce infatti sono dotati di linee melodiche “ordinarie”, sì catchy, ma non come in passato. Servono dunque alcuni ascolti (non moltissimi) per memorizzarle e la sensazione è che questi pezzi siano destinati a crescere col tempo.

Il discorso vale anche per i due pezzi più complessi del disco, che effettivamente si avvicinano per struttura, a una Have a Blast, si tratta delle ottime Habitual Line-Stepper e Flatline, i due spartiacque del disco, pezzi lunghi, complessi e di pregevole fattura. Nella seconda metà del disco, c’è ancora spazio per un altro probabile killer single, Catch Fire, e per la conclusiva, emo-sofferente Lune, altro pezzo di estremo impatto sia melodico che emotivo. Nella seconda parte del disco, vale a dire da Flatline, salgono maggiormente in cattedra le orchestrazioni accennate con Marigold, elemento che arricchisce e rende più pomposamente drammatici diversi passaggi, tuttavia continua a prevalere questa sensazione minimal-immediata, secondo cui i Periphery, in questo Select difficulty, abbiano cercato di proporre una versione più semplice e grezza di loro stessi.

Concluso l’album, sale alla mente una considerazione. Questo ingrezzimento dei Periphery va contro una tendenza che molte band, divenute famose grazie alla mistura di death, prog e un numero impreciso di sottogeneri che finiscono in -core, hanno fatto propria. Guardiamo i Protest the Hero, sempre più raffinati, guardiamo ancora di più i Between the Buried and Me, oramai un gruppo progressive metal fatto e finito. Quali implicazioni possa avere questo ingrezzimento, lo scopriremo solo con gli album a venire. Perché di fatto, Periphery III: Select Difficulty cambia i toni, ma non le linee guida che hanno imposto gli statunitensi agli occhi del mondo. La forma canzone, la melodia, i contrasti, là sotto, sono quelli, e confermano i nostri come una band in gran forma. Una band che, tra l’altro, ci ha datto l’ennesimo gran disco.

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