Recensione: The Treasures Arcane

Di Alessandro Calvi - 5 Ottobre 2009 - 0:00
The Treasures Arcane
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Anno: 1997
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95

Primo, e purtroppo finora unico, album dei Crown of Autumn, “The Treasures Arcane” è considerato una piccola perla nel panorama delle produzioni italiane. Realizzato nel 1997 dal deus-ex-machina Emanuele Rastelli, esecutore di tutti gli strumenti (tranne la batteria suonata dal session Mattia Stancioiu) e del cantato growl, affiancato da Diego Balconi per il lavoro di arrangiamento e le clean vocals, questo cd passa ben presto alla storia. Senza una vera e propria pubblicità, stampato in un numero non elevato di copie, tutto il merito va al passaparola che lo eleva, nell’ambito underground, allo status di vero e proprio capolavoro.

Rastelli (che poi porterà la sua esperienza nei Magnifiqat e nei Crimson Dawn), concentra in “The Treasures Arcane” un numero impressionante di idee ed energie. Il risultato è un album che, partendo dal gothic metal, lo contamina a tal punto da sfuggire a ogni classificazione. Lungo tutta la durata del cd, infatti, troviamo momenti gothic, black, epic, passaggi di tastiera e musica classica, ma anche frequenti inserti di musica medievale. In particolare questi ultimi risultano essere uno degli elementi più azzeccati e originali della proposta dei Crown of Autumn.
Il vero pregio di questi brani, però, è, in definitiva, la grande cura prestata all’equilibrio di tutte queste influenze e la creazione di un amalgama pressoché perfetto in cui tutti gli stili e gli apporti strumentali godono della stessa importanza.
Brani prettamente strumentali come l’introduttiva “Equinox” o la conclusiva “Forlorn Elven Realms”, si trovano perfettamente a loro agio a fianco a canzoni estremamente diverse tra loro come “Nocturnal Gold part. II: The Name of Inquietude” e la titletrack “The Treasures Arcane” (con l’uso del growl, le accelerazioni black e le chitarre distorte), o a tracce come “Nocturnal Gold part. I: In Ageless Slumber” (composta esclusivamente da una voce narrante accompagnata dall’organo).
L’uso di due voci maschili, una estrema, l’altra pulita, permette, inoltre, di variare ulteriormente la proposta musicale del gruppo. Rastelli dimostra una grande varietà di stili espressivi passando, in maniera convincente, dal growl, allo scream, fino a toni aggressivi e ruvidi a metà strada. Diego Balconi, alla voce pulita, invece, dona ai brani quell’elemento epico che permette di dare ulteriore profondità alle composizioni e di accentuare i riferimenti sinfonici e medievali.
Citati i cantanti e, nella persona di Rastelli, la maggior parte dei musicisti, manca all’appello solo la batteria. In questo caso suonata da un session-musician d’eccezione come Mattia Stancioiu. Il drumming non è mai particolarmente elaborato, si mantiene, per scelta, semplice, quasi in secondo piano, senza mai ritagliarsi assoli, ma è vario e sempre adatto all’atmosfera dei vari momenti. La sessione ritmica, quindi, non è da meno degli altri attori di questa grande opera e riesce, pur peccando, purtroppo, di profondità a causa della produzione, ad essere un tassello fondamentale dell’affresco della musica dei Crown of Autumn.
Come si è visto finora, tutte le scelte compositive ed esecutive collaborano alla creazione della giusta atmosfera e del giusto sound. Quindi, accanto alle musiche, alle prestazioni dei vari strumentisti e dei cantanti, anche le parole fanno la loro parte. Tutti i testi, infatti, sono scritti in inglese arcaico, elemento che, se mai ce ne fosse bisogno, aiuta in maniera determinante a definire quell’aura medievaleggiante che contraddistingue tutto l’album.
Il risultato complessivo è quello di calare l’ascoltatore in un universo fantastico molto simile ai panorami fantasy dei migliori gruppi power, ma con l’aggiunta di una sottile vena d’inquietudine, di un lato oscuro in cui dominano le tenebre. Un affresco più unico che raro, uno di quei pochi casi in cui ogni nota, ogni strumento, ogni linea melodica, è perfettamente bilanciato in un affresco totale. Non c’è spazio per le ambizioni personali, per il voler mettere in mostra le doti dei singoli, conta solo il risultato finale, il tutto, con le emozioni che trasmette.

A distanza di anni, questo piccolo gioiello che risponde al titolo di “The Treasures Arcane” mantiene inalterata la propria capacità di affascinare. Una critica ferrea non può che mettere in luce la produzione totalmente priva di mordente rispetto al genere proposto e assolutamente inadeguata agli strumenti suonati nel disco. Se solo fosse stato registrato qualche anno dopo, chissà quali ulteriori magie avrebbe potuto riservare. Ma d’altra parte son pochi gli album in grado di toccare tanto intensamente le corde dell’animo di chi li ascolta, album giustamente chiamati “capolavori”.

Tracklist:
01 Equinox
02 Towers of Doleful Triumph
03 A Lyre in the Vesper’s Calm
04 Nocturnal Gold part. I: In Ageless Slumber
05 Nocturnal Gold part. II: The Name of Inquietude
06 The Nettle Path of Grief
07 Thou Mayst in Mee Behold
08 The Treasures Arcane
09 … and the Cold Came O’er the Feud
10 ‘Neath Selenic Majesty
11 Forlorn Elven Realms

Alex “Engash-Krul” Calvi

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