Recensione: Titanic Mass

Di Roberto Gelmi - 23 Maggio 2016 - 15:52
Titanic Mass
Band: Dynazty
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2016
Nazione:
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80

Tornano i Dynazty, band scandinava attiva da circa dieci anni e al suo quinto album in studio. Chi dice Svezia, infatti, dice non solo death ma anche power metal, basti ricordare gruppi come HammerFall, Nocturnal Rites, Sabaton, Dragonland e i giovani Twilight Force. Il biglietto da visita di Titanic Mass è quanto mai pacchiano: titolo iperbolico ed ennesimo artwork inguardabile, ma che fa capire come la pensavo Rob Love Magnusson & Co. Il loro sound – per produzione e certa volontà di svecchiamento del sound power metal che fu – richiama, fatte le dovute distinzioni, il tema dell’ibrido umano-cibernetico cavalcato dai connazionali Amaranathe, i quali hanno composto un brano, guarda caso, intitolato “Electroheart”.
Ma lasciamo da parte queste considerazioni a latere, veniamo alla musica. Va subito detto che Titanic Mass presenta alcune ottime canzoni nella prima metà della tracklist, poi perde un po’ in qualità ma nel complesso risulta un album brillante e con certo appeal. L’opener “The Human Paradox” è ficcante, veloce, coinvolgente: un bel pezzo power metal del nuovo millennio e di sicuro batte in longevità l’anodina “Human Parasite” dei Powerworld (impossibile evitare l’associazione mentale tra i titoli). Valore aggiunto è indubbiamente la voce incisiva di Nils Molin, che ricorda per certi versi, niente meno che Ronnie James Dio e l’attuale singer dei Kamelot: un’ugola invidiabile, non tipicamente power metal, ma comunque azzeccata. Le sue clean vocals grintose creano una miscela esplosiva se accostate a ritmiche rocciose, armonie trascinanti e arrangiamenti pseudo-elettronici (senza dimenticare un drumwork che più true si muore).
Altro pezzo quadrato e col giusto mordente “Untamer of Your Soul” (titolo “primalfeariano” che si può tradurre alla buona come “liberatore della tua anima”), tanta doppia cassa e un finale trascinante. Segue un brano che punta sul riscatto simbolico dei perdenti: “Roar of the Underdog” farà la gioia dell’ascoltatore che cerca di ricaricare la propria autostima nel modo più intelligente, ossia con una dose massiccia di bpm metallici. Il refrain cadenzato richiama certe sonorità simil Nightwish, ma nelle strofe le ritmiche sono più pesanti. Ottimo il tiro melodico del pezzo, la parte strumentale resta un filo anonima, ma la tecnica c’è. Anche la title-track conferma il buon stato di salute dei Dynazty: ottime le strofe, ma il ritornello poteva essere migliore (ricorda quello di “Masterplan”, pezzo della band di Roland Grapow orfana di Jorn Lande nel 2007). In ambito power metal chiavi, chiavistelli e affini sono all’ordine del giorno. Ecco allora l’hit “Keys to Paradise”, traccia fin troppo prevedibile nel suo breve minutaggio, ma con un attacco à la Sonata Arctica e un refrain che si memorizza in dieci secondi, grazie anche all’unorthodox voice di Molin. Poco più di un filler, invece, la successiva “I Want to Live Forever”, né ballad, né mero mid-tempo: peccato, gl’inserti di chitarra acustica hanno sempre un loro quid ma in questo caso non portano giovamento alcuno. Altro intro a effetto per “The Beast Inside”, con linee di basso in primo piano, ma le melodie non bastano per risollevar le sorti della traccia che scorre via senz’anima. Non resta impressa nemmeno “Break Into the Wild”, refrain troppo sguaiato e assolo di chitarra sfacciatamente debitore del Michael Romeo di Paradise Lost. Si torna su livelli migliori nel finale d’album. “Crack in the shell” si regge su un ritornello da stadio con degli accenti di batteria gustosi, ottimo anche il breve assolo finale. Dopo un inno virile alla libertà, “Free Man’s Anthem”, l’album si chiude con “The Smoking Gun”, che presenta un attacco vellutato à la Seventh Wonder, richiami ai già citati Symphony X e un pianoforte tutt’altro che improvvido.

Niente da dire, il 2016 ha regalato poche uscite power memorabili dopo un avvio promettente con Avantasia e Rhapsody of Fire. Aspettando dischi più che attesi (Derdian, Rage, Vision Divine), Titanic Mass può rivelarsi un buon palliativo, soprattutto nelle prime cinque tracce in scaletta. Metallaro avvisato…

 

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

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