Recensione: Where Only the Truth Is Spoken

Di Daniele D'Adamo - 21 Giugno 2025 - 10:30
Where Only the Truth Is Spoken
78

Where Only the Truth Is Spoken” è il quarto full-length dei Malevolence. Metalcore puro, di quello duro. Americani, quindi? No, britannici, invece. Un’anomalia, poiché il generale gli UK sfornano sì metalcore, ma melodico.

I Nostri, al contrario, pur mantenendo una logica propensione per i ritornelli, dato il genere per l’appunto, pestano come dei dannati. Un sound possente, cattivo, da devastazione chirurgica, data un’inoppugnabile bravura in fase di esecuzione che li pone senz’altro fra i migliori della loro specie.

Alex Taylor non fa sconti a nessuno, con la sua tremenda prestazione vocale che spazia fondamentalmente e maggiormente dai toni stentorei ma puliti, ben poco armonici, alle harsh vocals che, spesso, fanno parte del bagaglio stilistico delle tipologie *-core. Tant’è che, in più d’un passaggio, si sfiora, e davvero tanto, il thrash (“If It’s All the Same to You”, “Counterfeit“).

Anche la coppia di chitarristi fa bella mostra di sé, tranciando le ossa con micidiali riff assassini dalle tonalità ribassate, schiacciate dalla distorsione dell’effettistica e dalla compressione del palm-muting. Con ciò, generando assieme alla sezione ritmica spaventosi, monumentali breakdown da capogiro. Ancora una volta, come in opere similari si ode, per esempio nella già menzionata “Counterfeit“, qualche richiamo alle irresistibili battute degli Slipknot, che trascinerebbero via anche un elefante.

Accanto a questa strabordante ma pienamente controllata erogazione di watt, ogni tanto c’è qualche momento di calma, come nell’incipit di “Salt the Wound“. Territorio di conquista delle abilità soliste dei chitarristi, bravi a intessere, attorno alle robuste fondamenta che reggono il sound del combo di Sheffield, dei delicati ricami che rendono la questione un po’ più orecchiabile. Già, poiché chi è convinto che il metalcore non faccia parte della grande famiglia del metal, qui si deve ricredere appieno. Micidiali mazzate sui denti come per esempio “So Help Me God“, peraltro abbellita, si fa per dire, da un ritornello abbastanza catchy; anche se l’aggettivo commerciale percorre sentieri assai lontano da quelli calpestati dai Malevolence.

Interessante la presenza di Randy Blythe dei Lamb Of God in “In Spite“, quasi a significare la continuità della foggia musicale di cui trattasi fra le vecchie e le nuove generazioni. E interessanti anche le tematiche affrontante che, senza perdersi in cliché più o meno abusati, trattano di esperienze reali vissute dai membri della band affinché i fan si trovino immersi in profondità nei vari nonché veri trascorsi della vita.

I brani si susseguono con perfetta continuità tecnico/artistica, senza mai perdere nemmeno un briciolo di potenza, perseguendo l’obiettivo di dare il massimo in fatto di forza, assieme al massimo in fatto di precisione esecutiva. Obiettivo raggiunto con apparente facilità ma qui si entra nel dettaglio del talento dei singoli musicisti, in ogni caso irreprensibili nello svolgere il proprio lavoro al massimo delle loro possibilità.

Brani che, di primo acchito, si mostrano assolutamente difficili da digerire in virtù della ridetta aggressività e dello stile massiccio come l’Everest. A mano a mano che si procede con i passaggi, ecco che allora emerge la vera anima del quintetto dello South Yorkshire. Un’anima dai contorni stranamente piacevoli, nel senso che l’osticità iniziale dei singoli episodi lascia lo spazio alla voglia di far proprie le undici tracce che compongono il disco, sparandole letteralmente ad alto volume sì da far tremare i muri. Ma, anche, da avvolgere i timpani con le armonizzazioni che, a poco a poco, emergono dalla marea di scintille che scaturiscono dagli strumenti della band.

Non bisogna lasciarsi ingannare, quindi: “Where Only the Truth Is Spoken” è un album che può regalare tanto in termini di piacere d’ascolto, se approfondito a dovere. Del resto, i Malevolence sono molto bravi in tutto e per tutto per dire la loro in una tipologia musicale sovraffollata, che non regala niente a nessuno in termini di sopravvivenza.

Daniele “dani66” D’Adamo

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