Recensione: Afterthought

Di Andrea Bacigalupo - 21 Giugno 2025 - 8:30

Il viaggio musicale, teatrale e poetico di A Tear Beyond inizia nel 2008 a Vicenza e quattro anni dopo la band rilascia il primo FL, ‘Beyond’ (autoprodotto), cui seguono ‘Maze of Antipodes’ (2015, House Of Ashes Productions) e ‘Humanitales’ (2018, House Of Ashes Productions). Come in un crogiolo si fondono alchemicamente più elementi così in questa identità artistica ritroviamo la presenza di tre generi musicali, il gothic metal fuso con l’industrial e l’elettronica, nonché l’apporto delle esperienze di ciascun componente, esperienze che si estendono ben oltre i confini del ruolo o, meglio, della “Maschera” che ognuno di essi assume all’interno della band.

La cifra teatrale, infatti, è una chiave di lettura della loro produzione e suggerisce all’ascoltatore anche la disposizione d’animo che è necessario avere per cogliere appieno l’esperienza proposta sia live che su disco.

Una premessa, la mia, non inutile se è vero che l’ultimo album, ‘Afterthought’ (2025, Autoprodotto/Hypnoise Recording Studio), da un lato riprende alcuni nuclei nevralgici dei lavori precedenti con ‘Deliverance‘ (‘Forgivness‘ da ‘Maze of Antipodes’) e ‘Lullaby For My Grave‘ (‘Beyond’) dall’altro, essendo un “Quarto Atto ideale” di una tragedia dai toni shakesperiani quale è la vita, dipana il filo narrativo che A Tear Beyond continua a tessere intorno alle tematiche dell’amore come forza immane, irresistibile, creativa e distruttiva, foriera di introspezione e conoscenza dei più oscuri anfratti umani.

Un’oscurità che entra in scena, solenne e indisturbata, fin dall’Intro e prosegue, come fosse lanciato un incantesimo, in ‘A Sad Old Story (Her Love)‘.

It was a sad, old story, for sure, renewed agony, a bad lore” – Quando cediamo alla seduzione sappiamo già come andrà a finire, vero?

Le melodie disperate di ‘Unravel (His Confusion)‘ sottolineano l’alterco fra il desiderio, la coscienza e il dolore in una danza avvelenata che sfocia in un vero e proprio conflitto.

Quello che, fino a quel momento, era un dibattersi interiore prende corpo, accade nel mondo, mentre la diade vocale dove femminile e maschile soano rappresentati, rispettivamente, dal soprano Sara Yuna Gramola (Last Will, Arcana Opera) e da Claude Arcano, pare ricostruire visivamente le lame dei Tarocchi; ‘Gli Amanti’, per esempio, una carta che parla delle relazioni e che, tuttavia, comprende un terzo elemento, nel caso specifico di ‘Afterthought’: la Rabbia o, a seconda del motus interiore che guida l’azione, la Paura o, ancora, la Coscienza.

Dunque, se “lato metal”, diciamo così, in questo disco (come nei precedenti) si sentono le influenze di Nightwish, Moonspell, Metallica, Anathema e finanche Paradise Lost (fra gli altri), “lato industrial” sono i Rammstein la stella polare, affiancati dai Deathstars.

Tuttavia, con i loro sei elementi più uno – e il numero 7 è il numero di Venere, la dea dell’amore – A Tear Beyond combinano le “nozze chimiche” non solo tra questi due generi, ma sanno ricondurre le diverse “persone sonore” – “persona” anticamente significava proprio questo: “maschera” e Ian Vespro e Undesq Grotesque (chitarre), Cance (basso), Phil (synth), Skano (batteria) e Claude (voce) non a caso si presentano come Maschere – dicevo, A Tear Beyond, riescono a ricondurre la molteplicità dei linguaggi musicali a un unico centro compositivo grazie al terzo genere, l’elettronica, che svolge il medesimo compito del Sale nella dottrina alchemica di Paracelso: stabilizzare.

Zolfo, Sale e Mercurio: dalla loro interazione nasce la Materia; da essi nasce il Mondo, un grande palco nel quale ci muoviamo tutti come attori. Un eterno ciclo di Morte e Rinascita che A Tear Beyond raccontano in modo ineccepibile tramite la loro musica.

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