Recensione: A Void Within Existence

Una delle pratiche più funeste e deprecabili della società moderna è quella di impugnare il telefonino e filmare una tragedia in atto come se niente fosse, senza intervenire né chiamare i soccorsi. L’immagine, magnifica, della copertina del sesto album degli Abigail Williams offre fin da subito questa chiave di lettura, trasposta in qualche secolo passato, ed é un vero e proprio pugno in faccia alla condizione umana. Si può quindi sbagliare disco con un Eliran Kantor a questi livelli? Neanche per sogno.
A Void Within Existence mette le carte in tavola fin dal primo, devastante riff: un muro di chitarre impenetrabile con quel suono da pattuglia acrobatica di zanzare tigre che tirava fuori Peter Tägtgren per i suoi Hypocrisy, contornato da una produzione gargantuesca. Qui potremmo già discutere: si può arrivare a portare un genere scarno e minimale come il black metal in una dimensione moderna in grado di arrivare ad evolvere il genere e a renderlo attuale?
Domande marzulliane a parte, gli Abigail Williams con quest’opera tirano fuori il carico da undici e lo appoggiano sul tavolo con una maestria certosina. I sette brani di A Void Within Existence sono tutti diversi e offrono sempre un lato differente del sound della band, che in fase di songwriting ha proprio inserito qualsiasi influenza ma in maniera intelligente. C’è sempre nei brani un dettaglio, un guizzo o qualcosa che a un certo punto arriva e sortisce l’effetto “wow”: dalla progressione circense di A Void Within, passando per l’assolo alla Gilmour sul concludere di Nonexistence per arrivare al gran finale di No Less than Death, completamente cantata in clean e che va a completare un ascolto ad ogni passaggio sorprendente.
A Void Within Existence è un disco di una violenza e una furia inaudite, ma che si prende sempre i suoi momenti per ragionare, tessere trame, arpeggiare e definire i contorni del più impressionista dei quadri. Gli Abigail Williams sono tornati per rompere le tradizioni con un modus operandi completamente antitetico al genere di base proposto; la direzione sonora imboccata da Ken Sorceron e soci è vincente e appaga parecchio soprattutto sul lungo periodo. Non siamo di fronte a un disco semplice e qui non viene regalato nulla, complice anche il minutaggio molto alto degli ultimi tre brani, dove è sviluppato il grosso dell’opera; bisogna però persistere, e gli Abigail Williams poi ripagano alla grande.
L’opera, primo lavoro pubblicato con Agonia Records, è quindi uno dei dischi estremi che contano in questo 2025 e va inserito nel piccolo calderone degli ascolti obbligatori per ogni amante di certe sonorità. Se siete convinti che il black metal abbia bisogno di una svecchiata e di una tinteggiatura, siete nel posto giusto. Mettetevi quindi comodi come un ottuagenario davanti ad un cantiere, premete play e prendete parte al restyling.