Live Report: Battlefield Festival @Circolo Magnolia – Novegro (MI) 21/08/2025 (Blind Guardian, Virgin Steele, Ross the Boss, Drakkar)

Foto report completo: Photo Report: Battlefield Festival @Circolo Magnolia – Novegro (MI) 21/08/2025
Una delle principali caratteristiche del Battlefield 2025 è quella di non avere gruppi riempitivo. Cosa non così scontata, negli ultimi anni, con bill ultra compressi inutilmente dove, a guardare bene, il 90% del pubblico è presente per una, massimo due band e tutto il resto “fa volume”. Chiarifichiamo: esistono poi apposite manifestazioni ove vi è spazio per tutti, sacrosantamente, ma mischiare le due filosofie non sempre funziona, come si è avuto modo di verificare anche dalle nostre parti in diverse occasioni.
Parte fotografica a cura di Paolo Manzi.
Davide Dell’Orto
DRAKKAR
I Drakkar, unico gruppo italiano presente al Battlefield, ci stavano eccome, a tenere alta la bandiera nazionale. Attivi dal 1995 e con sette album nel carniere, al netto di qualche cambio di formazione di troppo nel corso della loro carriera, non hanno di certo deluso, in qualità di opener del festival. Trenta minuti abbondanti quelli a loro disposizione declinati lungo “Horns Up!”, “Knife in the Dark”, “When Lightning Strikes”, “Run with the Wolf”, “Eridan Falls” e “Dragonheart”, accompagnati da suoni decenti. Va sottolineato che i nostri compatrioti hanno tenuto il palco con autorevolezza e con la giusta attitudine, supportati da chi a quell’ora era già posizionato di fronte al palco, ossia la stragrande maggioranza dei presenti, a rimarcare la giusta scelta operata dall’organizzazione in fase di allestimento del bill.
Marc Lopes e Ross The Boss
ROSS THE BOSS
La seconda band in cartellone è quella di Ross the Boss, indimenticato chitarrista e fondatore dei Manowar insieme con il bassista Joey DeMaio. Uno che nel mondo del Metallo epico ha pesato per davvero. Non a caso i Manowar, dopo la sua dipartita, non sono più stati gli stessi, nonostante poi abbiano pubblicato alcuni album dignitosi, ma la magia ricompresa nei dischi fra Battle Hymns e Kings of Metal non è mai più stata replicata. Mr. Friedman/Funicello, da tempo, ha capito che dal vivo la gente non si accontenta solo di rivederlo in carne e ossa ma vuole, da lui, le canzoni immortali dei Manowar. Quindi accantonato del tutto il proprio repertorio – sinora ha pubblicato quattro album a proprio nome – al Battlefield si è annunciato come “performing Sign of the Hammer and more Manowar classics!”. E non appena sono partite le note di “Blood of the Kings” nel pit si è scatenato il vecchio entusiasmo manowariano fatto di pugni incrociati in aria e urla al cielo. Per fare degnamente i Manowar ci vuole un cantante con i controcolleoni e Marc Lopes – già nei Metal Church – si è dimostrato interprete all’altezza, quantomeno ha messo tutto sé stesso, anche a livello di pose, per avvicinarsi il più possibile all’Eric Adams dei tempi d’oro, uno dei più grandi frontman dell’intera storia del Metallo. Sempre rimanendo in ambito Manowar, all’ingombrante basso un’altra figura di spicco, Dirk Schlächter (Gamma Ray) mentre non sono riuscito a inquadrare il batterista, comunque efficace. Dei suoni leggermente migliorati rispetto a quelli dei Drakkar hanno accompagnato la performance del vecchio Ross e della sua ciurma, durata all’incirca cinquanta minuti, inanellando un classico dietro l’altro. Solo per citarne tre “Sign of the Hammer”, “Kill with Power”, “Battle Hymn”. Chiusura sulle note di “Hail and Kill” per un concerto che si è rivelato più di un semplice tuffo nel passato dell’Epic Metal.
David DeFeis e Josh Block
VIRGIN STEELE
Attesissimi, i Virgin Steele si palesano sul palco del Magnolia alle 20.30, in pieno rispetto degli orari della manifestazione. Alla voce Mr. Virgin Steele David DeFeis, al basso – in realtà alla chitarra a sette corde – Josh Block, alla chitarra Tommy Vitaly, alle tastiere Lynn Delmato e alla batteria Matt McKasty.
Setlist killer, sulla carta, il loro: A token of my hatred, Invictus, The wine of violence, In triumph or tragedy, Return of the king, In the arms of the death God, Through Blood and Fire, By the Hammer of Zeus (and the wrecking ball of Thor), Snakeskin voodoo man, The burning of Rome.
Premessa doverosissima: non sono un tecnico audio.
Sono uno che ascolta, guarda e poi scrive le proprie impressioni ed emozioni.
Non so spiegare i veri motivi dietro ai quali la performance degli Steeler abbia pagato duro, durissimo pegno ai suoni e al bilanciamento dei vari strumenti. Scelta voluta? Errori marchiani? Effetti e filtri magici al bancone del fonico andati oltre le aspettative o per qualche insondabile ragione essi stessi causa di una situazione resasi irrisolvibile per l’intera durata dello show, quindi un’ora?
Solo gli Dei del Valhalla probabilmente posseggono la risposta al quesito.
Fatto sta che la voce di David si sentiva decentemente solo nel momento in cui si prodigava nei suoi usuali ruggiti, per il resto non pervenuta o quasi.
Inaccettabile udirla al minimo sindacale anche quando talvolta parlava al microfono a strumenti fermi fra un pezzo e l’altro.
Momenti veramente surreali, null’altro da aggiungere, che si sono protratti per sessanta minuti circa, una situazione perennemente ovattata e straniante, roba che persino Franz Kafka sarebbe impallidito.
Quello che invece posso testimoniare è stato, nonostante le gravissime deficienze di cui sopra, un composto e toccante tributo – nella maggior parte dei casi silente, invero, ma in fondo in fondo colmo di gratitudine – da parte del pubblico a David DeFeis, una leggenda dell’heavy metal, uno dei più grandi di sempre e alla band che lui ha creato, artefice di autentici capolavori dell’Epic Metal. Al Magnolia si è celebrato un rito pagano dalle mille sfaccettature, mai come in questo caso in palese contrasto fra loro. Un esercizio rigorosamente personale, per il quale chiunque fosse stato presente e attento avrà ricavato sensazioni uniche, opposte a quelle di altri, ma sacrosantamente intime. Grazie David e grazie Virgin Steele anche solo per questo: averci regalato lungo gli anni brividi antichi e sensazioni impareggiabili, a prescindere da tutto il resto.
Onore e gloria imperitura a un fuoriclasse dell’Acciaio.
Hansi Kürsch
BLIND GUARDIAN
Blind Guardian : basta pigiare il bottone e parte il pilota automatico. All’insù, sia ben chiaro. Il gruppo con ancora al proprio interno i tre grandi vecchi, si fa per dire… Hansi Kürsch (voce) e i due chitarristi André Olbrich e Marcus Siepen, così come accadeva per i connazionali Scorpions negli anni Ottanta, non delude mai, senza mostrare particolari variazioni al copione. Nel momento in cui in cassaforte possiedi brani della portata di “Mordred’s Song”, “The Bard’s Song” e “Lord of the Rings” vinci facile, così come accaduto all’interno della struttura del Magnolia, Parco Idroscalo. La forza dei Guardiani è aver scritto pezzi immortali, capaci di sostenersi da soli quando incisi su album per poi trasformarsi in inni devastanti dal vivo, fra batti e ribatti con il pubblico che hanno fatto la storia. Inutile sottolineare che, nonostante vi fossero nutrite centurie di ultras sia di Manowar che di Virgin Steele il pubblico spiccatamente Blind Guardian era il più numeroso e la loro performance lo ha dimostrato ampiamente in termini di colpo d’occhio. Grazie a dei suoni adeguati, anche se non eccezionali, i tre bardi sopraccitati, insieme con gli altri musicisti che li hanno accompagnati sul palco non hanno deluso, comprovando anche in questa occasione, l’ennesima nella storia, che lo zoccolo duro dei fan italiani può permettere loro di concedersi, quando possibile, una calata nel nostro Paese, senza paura di scontentare o fare flop al botteghino. Chiusura d’ordinanza fra le note di “Valhalla”.
Stefano “Steven Rich” Ricetti