Recensione: Chosen

Di Fabio Vellata - 13 Settembre 2025 - 8:00
Chosen
Band: Glenn Hughes
Etichetta: Frontiers Music Srl
Genere: Hard Rock 
Anno: 2025
Nazione:
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81

Affari di cuore. Non roba romantica, intendiamoci.
Affetto genuino e semplice per un grande artista che ha rappresentato molto. Un attaccamento mai nascosto che rischia di non rendere propriamente lucidi e tende a far diventare indulgenti.
Parlare di Glenn Hughes, equivale per il sottoscritto, a mettere in gioco letteralmente la storia di una vita. Un’icona assoluta – seguita da quando diventato ascoltatore consapevole – in tutte le sue forme ed evoluzioni.
Voce divina, talento cristallino. Senza troppi giri di parole, una leggenda pura, un pezzo di storia da tramandare ai posteri.
Che, a differenza di molti suoi contemporanei un po’ imbolsiti, ammuffiti e senza più smalto, ha ancora qualcosa da dire.
E pure parecchio.

Chosen” è un disco solista che rinnova una tradizione che si era un po’ persa per mr. Hughes. Ultimo capitolo, nove anni fa – Resonate (2016) – manco a dirlo con un disco di livello importante. Nel mezzo un sacco di collaborazioni, concerti e celebrazioni revivalistiche che hanno mantenuto sempre sulla breccia un musicista straordinariamente abile ad onorare la propria bravura, sfruttando pure l’aura di grandezza emanata da un passato enorme assieme ai leggendari Deep Purple.
Black Country Communion, The Dead Daisies nel frattempo, costituivano un’ottima palestra per tenersi in costante allenamento con qualcosa di inedito.

Tante sfumature: dal soul al funk, passando per il blues. Ma con il rock, Hughes ha sempre avuto affinità elettiva. Ed è proprio con il rock che “Chosen” va a combaciare per quello che da più parti si insiste nel voler definire come l’ultimo episodio della carriera solista. Un obiettivo ragionevole, alla luce dei settantaquattro anni da poco compiuti.
Che tuttavia, ci auguriamo possa essere in realtà seguito da altri. Ma che se così fosse, rappresenterebbe comunque un ottimo modo per chiudere la serie dei solo album per dedicarsi a più rilassati e diluiti progetti di gruppo.

Un bel disco di ruvido e corposo rock. Deciso, pastoso, con chitarre robuste ed arcigne. Dai riverberi settantiani ma con un’attenzione tutta particolare per la modernità. In sostanza, un album 100% Glenn Hughes, nella forma, nell’efficacia, nei risultati.
Con in più quella voce soul che avvinghia ogni cosa, la divora e la personalizza con un carattere ipnotico e totalizzante.
La vocalità straripante di Hughes è protagonista sin dalle primissime battute con una sequenza iniziale di pezzi come “Voice in my Head”, “My Alibi” (gran botta!) e “Chosen”. Rock gagliardo, sulfureo, dinamico e di grande profondità. Che sorprende con ritornelli orecchiabili e sparuti momenti riflessivi.
Che questo sia un album in cui si è cercata anche una pesantezza insospettabile è manifesto tuttavia nella selezione centrale di brani rappresentata da “Heal”, “In The Golden” e “The Lost Parade”. Gli accordi di chitarra (ottimo lavoro di Soren Andersen) sono pesanti quasi quanto quelli di un disco stoner. I suoni potrebbero a tratti appartenere ai Black Label Society. Poi però arriva la voce divina e dominante di Mr. Hughes ad ingentilire dei pezzi altrimenti pachidermici e scavati nella pietra.

C’è comunque anche un po’ di sole ed i passaggi sornioni e funkeggianti tanto cari a Glenn Hughes. Ventate di anni settanta con “Hot Damn Thing” e “Black Cat Moan” scivolano come una brezza tiepida prima di lasciare spazio a “Come and Go”, una ballata dai sapori estivi che sembra scritta per apparigliare le atmosfere del bellissimo artwork di copertina. La voce di Hughes è seta pura…
La conclusiva “Into The Fade” suggella un disco intenso con un tempo medio martellante, esploso in un ritornello che lascia intravedere per l’ennesima volta la strabordante bravura di un vocalist che è una sorta di Dio dell’Olimpo senza tempo. Inscalfibile e difficilmente eguagliabile nel suo personale “territorio di caccia”. Il rock settantiano con venature funk e soul.

Dieci brani, poche storie, tanta qualità: un disco che rimarrà tra le cose migliori prodotte dal gigantesco artista britannico.
Glenn è ancora la fuori, capace di scrivere grandi canzoni e far vibrare la voce come un tuono. Esattamente come tanti anni fa.

Il ritiro? La pensione…? Per The Voice of Rock?
Ma non scherziamo nemmeno…

https://www.glennhughes.com
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