Recensione: The Blue Nowhere

Giunti al loro undicesimo full-length in studio gli statunitensi Between The Buried And Me sono ormai giustamente considerati come una delle band più iconiche e meritevoli della scena progressive metal degli ultimi vent’anni. The Blue Nowhere oltre ad essere il successore dell’acclamato Colors II del 2021, è anche da un certo punto di vista un nuovo inizio per la band del North Carolina che si presenta per la prima volta come un four-piece dopo l’abbandono del chitarrista Dustie Waring.
Il disco non è un concept album in senso stretto, ma più che altro una raccolta di racconti, derivati da un luogo (“The Blue Nowhere” appunto), dove le sensazioni più intime e vulnerabili vengono a galla, nuove riflessioni su se stessi emergono, “in uno spazio dove nessuno ti può trovare, mentre tu stesso sei nascosto da ogni forma di realtà”, come citato dalla band. Insomma The Blue Nowhere è un viaggio intimo e riflessivo, a tratti esistenziale, ma che dal punto di vista musicale si spinge ancora più in là rispetto a quanto la band aveva fatto sul già menzionato Colors II. Questo nuovo platter infatti è sperimentazione ed esplorazione sonora pura, uno spazio musicale dove una infinita molteplicità di stili vengono fuori in un viaggio schizofrenico, impegnativo, ma in fin dei conti appagante.
La musica dei BTBAM non è mai stata di facile fruizione o immediata, ma con The Blue Nowhere il four-piece statunitense sembra spingere le proprie caratteristiche al limite, con un sound che è un mix di Dream Theter, Mr Bungle, Dillinger Escape Plan, Prince, Danny Elfman, con un feel anni ottanta che pervade il lotto, e quegli inserti dal retrogusto “–core” che ci riportano di tanto in tanto indietro agli albori della band, con dischi seminali come Alaska e Colors. Da notare che in questo disco è presente anche un quartetto d’archi ed un certo numero di strumenti a fiato tanto per rendere il calderone sonoro della band ancora più corposo. Un calderone sonoro assolutamente sgargiante e appariscente che sa essere teatrale, eclettico, avant-garde, funk e schizofrenico da un lato, mentre dall’altro sembra darci un “feel“ da musical di Broadway.
L’opener e primo singolo Things We Tell Ourselves In The Dark, ci mostra subito il carattere stravagante della band, per un brano che non vuole spingere sin da subito sul pedale dell’acceleratore in termini di pesantezza, ma indugia sulla complessità della sezione ritmica, su dei synth e sezioni funk molto anni ottanta che non sarebbero stati fuori contesto in un disco di Prince. Ed è lo stesso bassista Dan Briggs che ha accennato come – “anche quando la nostra musica diventa heavy mi è sempre piaciuta l’idea che questo disco potesse essere funky come se lo stesse suonando la band di Prince”- C’è anche un’attitudine piuttosto “over the top” e comica da parte del vocalist della band che nel corso di questo disco riuscirà ad offrirci degli stili vocali sempre vari e dinamici, accompagnati dal suo solito growl, ormai un marchio di fabbrica in casa BTBAM. Interessante il break con tanto di sezione di basso nel bel mezzo del pezzo, prima di introdurci in una sezione fortemente condita dai synth che suona anche molto barocca, riportandoci in mente gli Haken. Un pezzo che per quanto ci riguarda però, mostra tutti i limiti di questa band quando vuole per forza strafare cercando di andare in qualsiasi direzione possibile ma allo stesso tempo finendo per scontrarsi a mille chilometri orari su un muro di “incompiutezza” .
Molto più convincente la successiva God Terror che può essere vista come un tutt’uno con Absent Hereafter dato che il primo pezzo citato sfocia direttamente nel secondo quasi senza accorgersene. God Terror ha un inizio assolutamente al cardiopalma, con quei suoi beat elettronici, una sezione semi-industrial e dei groove chitarristici sferzanti. Ci ha fatto molto ridere come la timbrica del vocalist Thomas in questo inizio di pezzo ricordi tantissimo quella del buon Dave Mustaine (fateci caso!), prima di arrivare ad una sorta di breakdown da headbanging puro. Un momento di pura gratificazione sonora prima che la band entri in una delle sue sezioni più schizzate e virtuose, seguita da un’altra più eterea (quasi Deftonsiana), sorretta dai synth. Verso la fine del brano si ha inoltre una sezione dalle dinamiche ritmiche molto tribali, ancora una volta sorrette da un muro di synth, prima che il pezzo ci catapulti in un altro riff spaccaossa.
Absent Hereafter ha un incipit terremotante che riporta la band ai tempi di un disco come Colors o Alaska con quella sua forte influenze “core” rifinita di tecnicismi e con tanto di passaggi di chitarra velocissimi ed intricatissimi. C’è molta teatralità in questo pezzo come un pochino in tutto l’album ed in particolare possiamo dire di aver apprezzato molto i pochi momenti più emotivi e melodici che danno un tantino di respiro ad un album veramente denso dall’inizio alla fine. Apprezzabile l’assolo di chitarra melodico del pezzo che va a braccetto col mood più sognante di questa parte del brano, prima che i BTBAM ci facciano piombare in una sezione dal vibe insolitamente in salsa western.
L’interludio Pause ci fa respirare con le sue atmosfere synth e ambient prima che una chitarra appaia nel finale agganciandosi a Door #3 che è uno dei pezzi più folli e schizzati del lotto! Vibe da parodia di un film horror con il suo lato frizzante, goliardico ma allo stesso tempo misterioso, con tanto di chitarre sferzanti, aperture melodiche e sezioni in growl. Un pezzo veramente “over the top” in tutto e per tutto che a tratti ci ha ricordato Fix The Error dal precedente platter, con tanto di chitarra “spagnoleggiante” e una sensazione quasi da opera teatrale di Broadway.
Mirador Unicol ci fa tuffare dritti dritti nel bel mezzo di una colonna sonora di un film di Tim Burton, con il suo mood in pieno stile Danny Elfman, per un intermezzo che emana un vibe in pieno stile Nightmare Before Christmas.
Ma con Psychomanteum e Slow Paranoia i BTBAM ci regalano un’altra combo di brani dalla durata lunghissima (ben undici minuti l’una), dove onestamente iniziamo a sentire il peso di un disco che con i suoi settanta e passa minuti non è certo un ascolto leggero e può sicuramente rimanere indigesto per qualcuno. Interessante l’uso delle “pinch harmonics” in Psychomantenum, un altro brano pregno di teatralità che sa anche regalarci qualche sprazzo di emotività nei suoi stacchi più melodici per l’ennesimo pezzo che probabilmente avrebbe giovato da un pochino di “trimming” a livello di durata. La sensazione in questo disco infatti è che i BTBAM abbiano voluto fare spesso troppo e tutto in una sola volta, andando in una miriade di direzioni contemporaneamente, solo per trovarsi difronte ad un qualcosa che alla lunga può rimanere un pochino indigesto e stucchevole. Peccato, perché le idee in un brano come Psychomantenum ci sono e sono vincenti, ma si ha la sensazione che il brodo venga allungato fin troppo e di proposito.
Ed è proprio qui che arriva un brano che ci ha sorpreso e spiazzato sin dal primo ascolto; Blue Nowhere, la title-track di questo platter, rappresenta un’oasi nel deserto circondata da un mare di caoticità, per un approccio incredibilmente minimale alla composizione. Un lento build-up con tanto di orchestrazioni che dipingono cieli sereni e rivestimenti dorati all’orizzonte, mentre una chitarra dal sapore caldo e rassicurante ci introduce alla composizione più diametralmente diversa di questo disco che mai come in questo punto del platter si è rivelata come una gradita sorpresa. Blue Nowhere gioca su degli arpeggi minimali, una timbrica vocale avvolgente e pulita, per un pezzo che finalmente fa dilagare il lato più emotivo ed espressivo di questa band. Il ritornello è davvero soave e ben riuscito, dimostrandoci come spesso, con “meno” si può costruire molto “di più”. Pezzo splendido, coadiuvato da un assolo di chitarra dal tono melodico e molto gratificante. L’album poteva finire a questo punto, ma come speso succede i BTBAM vogliono strafare.
Beautifully Human si apre con un delicato arpeggio di chitarra e dei synth dal sapore spaziale e chiude il disco con delle caratteristiche sonore che riprendono quelle più melodiche della title-track. Interessante il crescendo emotivo, con delle liriche che citano l’incipit del disco per portare il tutto verso quel senso di “full circle” (tanto per citare i Dream Theater di Octavarium). Crediamo però che questo pezzo, proprio per via delle sue caratteristiche melodiche, (con tra l’altro l’aggiunta di alcuni riff che sono di quanto più “rock” la band abbia composto in questo disco), poteva essere stato piazzato magari al centro del lavoro, cosa che a livello lirico non avrebbe avuto troppo senso, ma che dal punto di vista musicale avrebbe spezzato il ritmo forsennato e onestamente un pochino indigesto del disco nella sua prima parte. In questo modo invece abbiamo sì un bel pezzo posto in chiusura, ma un brano con delle caratteristiche molto simili alla precedente title-track che sarebbe stato valorizzato in maniera molto migliore in un contesto diverso.
In conclusione The Blue Nowhere è l’ennesimo disco incredibilmente ambizioso dei Between The Buried And Me, dove la band spinge il suo lato sperimentale e la sua voglia di contaminazione sonora in un dilagante connubio di stili musicali per un disco elaborato, schizofrenico, ipertecnico e multi sfaccettato che però alla lunga può risultare indigesto e un pochino pesante nella sua voglia di fare “troppo”, “tutto” e “subito”. Ci sarebbe piaciuto sentire maggiormente il lato più emotivo della band che viene fuori in maniera cristallina e preponderante sul finale, ma che in troppi brani del disco risulta poco presente, con delle sezioni musicali infinitamente cervellotiche, di indubbio valore, ma che alla lunga risultano di non facile digestione per un disco che, anche considerando i suoi settanta minuti abbondanti di durata, non è un ascolto semplice o fruibile. Senz’altro un album che ci ha entusiasmato di più preso nelle sue tracce singole piuttosto che come lavoro “complessivo” ascoltato dall’inizio alla fine. In ogni caso un’uscita che ogni amante del prog metal non dovrebbe farsi sfuggire.