Heavy

Beppe Riva Pillars: recensione Riot (Fire Down Under)

Di Stefano Ricetti - 28 Maggio 2019 - 1:30
Beppe Riva Pillars: recensione Riot (Fire Down Under)

Di seguito la recensione di Fire Down Under dei Riot, così come uscita originariamente all’interno delle pagine di Rockerilla numero 18 del novembre 1981, a firma Beppe Riva.

Buona lettura,

Steven Rich

 

RIOT

«Fire Down Under»

Elektra Records

 

Riot Front 1981

 

 

RIOT

ESTASI TITANICA

…Ossia “FIRE DOWN UNDER” il nuovo LP dei Riot, l’implacabile HM rombo americano, armato per sferrare l’estremo attacco sonoro. I soli che vi faranno rinnegare i megawatts d’Inghilterra.

 

Figli della degenerazione morfologica metropolitana di N.Y. City, specchio di una tipologia umana tratteggiata forse superficialmente da film quali “Warriors” e “Wanderers”, Riot recano sui volti dall’ombroso intaglio le tracce di una difficile realtà esistenziale, manifestando già visivamente la propria condizione di HM Kids emarginati; clandestinamente affiancati allo scenario “alternativo”, newyorkese, vi apparvero prematuramente, in piena rivoluzione punk, come soli portavoce di un hard terroristico e teso a soffocare, sotto un immane braciere di watts, il frastornante RUMORE della megalopoli. Troppo “duri” per inchinarsi ad imposizioni di maggior accettazione commerciale, e quindi cacciati dalle labels americane, Ariola e Capitol, per le quali incisero rispettivamente gli LP “Rock City”, e “Narita”, Riot sembrano aver canalizzato il retaggio di frustrazioni e di malcelata rabbia accumulate, nella colossale eruzione metallica di “Fire Down Under”, terzo capitolo di una storia alquanto travagliata, a più riprese posticipato ed infine apparso sul mercato in coincidenza con l’adesione al programma dell’HM Holocaust.

E’ oltremodo significativo che un’etichetta come Elektra, non tacciabile d’indulgenza nei confronti dell’hard, ma con una grande tradizione nelle sfere dell’underground rock americano (Doors, Stooges, MC 5, Television) abbia puntato sui Riot. L’esito finale è realmente un attentato all’equilibrio dei sensi, il più indicibile assalto all’integrità psico-nervosa dell’ascoltatore e degli autori stessi, dai tempi di “Overkill” dei Motorhead. II sound trascina emotivamente in un nirvana di estasi selvaggia al di là delle capacità di controllo razionale e l’eccitato coinvolgimento nell’ascolto di “Fire Down Under” può realmente portare all’accelerazione delle pulsazioni cardiache fino a livelli confusionali, tale è la presenza di componenti tossiche in questo thrashing metal ubriacante, incredibilmente più pericoloso di qualsiasi, accondiscendente Van Halen. La stordente tattica che porta l’album a micidiali tassi di parossismo elettrico è quella affidata alle spire stritolanti di un heavy music in imperioso crescendo, fino alla deflagrazione nella ridda di effetti distorti che dominano gli ultimi solchi, in “Flashbacks”.

 

RIOT   FIRE DOWN UNDER DA ROCKERILLA   Copia

 

L’aggravante è una formula che senza propriamente riferirsi ad alcuna “voga” attuale, può essere illustrata come la fusione fra la delirante azione ritmica dei Motorhead e l’impatto frontale ultra-heavy dello “Strong Arm” Saxoniano, mediata dalla più accesa predisposizione solistica di Mark Reale, grande stratega dell’artiglieria pesante. All’assetto definitivo dell’impianto sonoro di “Fire”, ha contribuito l’integrazione dell’inedita sezione ritmica, Kip Leming, basso, e Sandy Slavin, percussioni, che ha ingigantito la compressione di un motore rockistico completato dal claustrofobico riffeur Rick Ventura e dall’urlo acutissimo di Guy Speranza, emulo di Rob Tyner (MC 5).

Ed i riferimenti al leggendario ensemble di Detroit non si esauriscono qui, se mi si consente di affermare che “Kick Out The Jams” ha finalmente trovato un degno successore, sotto il segno del fuoco-hard più MOTIVATO, nel III LP dei Riot. Il titolo-guida “F.D.U.” è probabilmente la più centrata rappresentazione di questo accostamento, ma flashes martorianti contaminano anche i solchi di “Swords & Tequila” e “Don’t Bring Me Down” prevedendo soluzioni inusitate nelle malsane convulsioni melodiche (?) di “Feel The Same” e in “Outlaw”, dove un “pizzicato” di chitarra sorvola magistralmente l’anthemico riff conduttore. La seconda facciata spinge urgentemente l’acceleratore di un’opera difficilmente ripetibile, con vette d’eccellenza in “Altar Of The Kings”, dove Riot sommergono di detriti metallici la rarefatta overture “acusticheggiante”, e nel l’autorappresentativa “Run For Your Life”, folle corsa fino al collasso di “Flashbacks”, dedicata al celebre DJ inglese Neal Kay, che esaurisce l’incredibile tour de force della band newyorkese.

Inutile cercare altrove lesioni hard più profonde: Riot polverizzano ogni antagonista, e “Fire Down Under” è la mostruosa divinità metallica del momento. Non c’è altro.

BEPPE RIVA

 

Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

Elenco – con link incorporato – delle puntate precedenti:

 

CIRITH UNGOL

DEATH SS

HEAVY LOAD

MANOWAR

SAXON

JUDAS PRIEST

IRON MAIDEN

METALLICA

MOTORHEAD

MOTLEY CRUE

VIRGIN STEELE