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Cosa ci dicono le classifiche di fine anno…?

Di Carlo Passa - 7 Gennaio 2022 - 0:01
Cosa ci dicono le classifiche di fine anno…?

Articolo a cura di Carlo Passa con il contributo di Fabio Vellata

 

Le consuete classifiche dei migliori dischi dell’anno compilate dai redattori e collaboratori di TrueMetal sono sempre un buon punto d’osservazione sullo stato corrente del mondo dell’heavy metal.
Scorrendole per l’ennesima volta, pare che una parola ben le riassuma: frammentazione.

Vediamolo innanzitutto nei dati.
Nelle classifiche redatte da 29 contributori, 14 dischi occorrono più di una volta nelle prime tre posizioni. Di questi, 12 occorrono nelle prime tre posizioni due volte, uno tre volte (Eclipse – “Wired”) e uno quattro volte (Soen – “Imperial”). Si tratta di un quadro, appunto, ampiamente frammentato: insomma, una grande pianura su cui si erge solo qualche basso poggio isolato, qua e là.


Come spesso accade, i dati danno adito a interpretazioni diverse, a tratti opposte. Se, infatti, è un bene che il quadro complessivo della discografia heavy metal di questi anni sia vario e diversificato, tuttavia l’assenza di acuti unanimemente riconosciuti come tali non può non essere considerato un problema. In altre parole, non escono più dischi che possano aspirare a diventare dei classici del genere. Le ragioni sono molteplici.
Innanzitutto, il concetto stesso di “classico” pare avere un risicatissimo grado di applicabilità a un genere musicale che, se fissiamo in Paranoid la sua data di nascita, ha ormai scavallato il mezzo secolo di vita. I classici sono tali in quanto fissano le caratteristiche distintive di un genere: in questo, l’heavy metal sembra aver ormai raggiunto una nostalgica vecchiaia che spesso si limita a riproporre gli stilemi stabiliti dai classici, quasi a rinverdire gli anni della giovinezza.
Questo non significa che il mondo dell’heavy metal sopravviva soltanto di ricordi e di conserva. Frammentazione significa anche varietà, e varietà rima con dinamismo: la vittoria dei Soen, pur per semplice maggioranza relativa, è segno di vitalità, essendo la band svedese una delle più innovative, originali e personali in circolazione.
Un altro aspetto da tenere in considerazione valutando la frammentazione dei gusti della comunità metal è la comunità metal stessa. Ancora, se il progressivo specializzarsi dell’heavy metal in sottogeneri sempre più diversi è segno della sua vitalità, non si può negare che abbia anche contribuito a sfilacciare l’unità della comunità degli ascoltatori, che, ricordiamolo, è (o è stata) uno dei tratti distintivi più propri del genere. Si pensi ai concerti: oggi solo i classici riescono a riunire davvero la comunità e gli headliner dei grandi festival europei sono sempre band con alle spalle tra i tre e i quattro decenni di esperienza. Sono queste band il collante della comunità, che negli ultimi due decenni non ha avuto modo di accostare ad esse nuova linfa vitale che di quei colossi avesse la medesima personalità e impatto. Le ragioni di questo mancato ricambio ai più alti livelli del genere sono almeno due.

Primo: lo ripeto, l’heavy metal è invecchiato. Come un organismo, un genere musicale ha una propria infanzia, dove tutto è nuovo ed emozionante (nel nostro caso, il periodo tra i primi anni Settanta e i primi anni Ottanta), un’adolescenza forte e dinamica (fino al 1991, quando esce Nevermind), una crisi post-adolescenziale (che arriva al 1997, con la pubblicazione del primo disco degli Hammerfall),

Hammerfall

una maturità consapevole e un po’ nostalgica (fino a una decina di anni fa) e, infine, una serena vecchiaia, fatta più di saggia esperienza che d’innovazione.
Ebbene, a questo vecchierello non si può più chiedere che produca un Defenders of the Faith.
Secondo: l’heavy metal è travolto da un’abbuffata di uscite discografiche. Quest’ultima, unita alla fruizione mordi-e-fuggi che il digitale permette e, per certi versi, impone, ha impedito il distinguersi di singole band rispetto alla massa. Se non mancano gli episodi di qualità, è tuttavia un fatto che nessuno di essi sia posto nelle condizioni di affermarsi come un futuro classico, finendo per perdersi nel diluvio delle uscite contemporanee e occupando le orecchie degli ascoltatori solo per un breve tempo.
Il quadro complessivo è, dunque, quello di un genere ormai molto definito nei propri confini, ma ancora in grado di produrre gioielli, a tratti anche innovativi, ma purtroppo destinati a rimanere fenomeni di nicchia.
Eppure finché questi gioielli ci saranno e finché noi ci saremo, l’heavy metal ci sarà.

Take hold of the flame!