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Live Report: Helloween e Hammerfall @ Sporthalle + visita alla tomba di Ingo Schwichtenberg ad Amburgo

Di Marco Donè - 17 Maggio 2023 - 10:53
Live Report: Helloween e Hammerfall @ Sporthalle + visita alla tomba di Ingo Schwichtenberg ad Amburgo

HELLOWEEN: un week-end ad Amburgo.

La tomba di Ingo Schwichtenberg + live report: Helloween + Hammerfall @ Sporthalle

Quello che state per leggere è il resoconto di un weekend speciale, che rappresenta il coronamento di un sogno nato molti anni fa, nella mente di un giovane metalhead. Per poter essere compreso in tutto il suo significato, però, questo weekend deve essere narrato dall’inizio, in ogni suo dettaglio.
Erano gli ultimi mesi del 2019 e gli Helloween, dopo il successo planetario riscosso con il Pumpkins United World Tour 2017/2018, stavano pianificando una seconda tournée, che li avrebbe portati di nuovo a girare l’intero globo terrestre per glorificare la tanto attesa reunion. Scorrendo velocemente tutte le date fissate, una, in particolare, attirò la mia attenzione: 17 ottobre 2020, Sporthalle, Amburgo. Era un sabato, giornata perfetta per puntare a una trasferta in terra tedesca senza incorrere in troppe seccature a lavoro. Una spedizione che mi avrebbe permesso di assistere a uno show degli Helloween a casa loro, nella città che li ha visti nascere. Ad Amburgo, inoltre, vi è la tomba di Ingo Schwichtenberg, Mr. Smile, il primo batterista delle Zucche, tristemente venuto a mancare l’8 marzo 1995. Questa riflessione mi proiettò a ritroso nel tempo, mi catapultò subito nella seconda metà degli anni Novanta, quando ascoltai per la prima volta gli Helloween. Era 1996: fu amore a prima vista, o a primo ascolto, verrebbe da dire. Dovevo ancora compiere sedici anni. Di lì a poco recuperai tutta la discografia delle Zucche e gli Helloween divennero ben presto il mio gruppo preferito, una band capace di emozionarmi in un modo unico, una formazione in grado di catturarmi con le sue melodie. Gli Helloween rappresentavano tutto per me e il passaggio successivo fu quello di iniziare a seguirli live. E dagli anni Novanta a oggi posso dire di averli visti molte volte, parecchie volte. In quegli anni, però, c’era solo un componente delle Zucche che non avrei mai potuto vedere, né con gli Helloween né con altre formazioni. Un componente a cui sono sempre stato legato, per mille motivi. Un componente di cui ho sempre riconosciuto la grande classe, di cui ho sempre ammirato il genio e l’importanza storica, visto che il suo drumming è riuscito a innovare un certo modo di intendere la batteria nell’heavy metal. Mi sto ovviamente riferendo a Ingo Schwichtenberg.
Era il 1998 quando promisi a me stesso che almeno una volta nella vita, prima di lasciare questo mondo, sarei andato da Ingo, alla sua tomba e gli avrei reso omaggio per tutto ciò che rappresentava, e rappresenta, per me. Lo avrei ringraziato a modo mio, come meglio avrei potuto. E quella data, il 17 ottobre 2020, rappresentava l’occasione perfetta per mantenere tale promessa. Era deciso, quindi: il 17 ottobre 2020 sarei andato ad Amburgo.
Nel 2020, però, avvenne l’imprevisto: la pandemia, il lockdown, il blocco dei concerti, dei voli, degli spostamenti. Gli Helloween iniziarono a posticipare il tour, mantenendo validi i biglietti venduti fino a quel momento. Nel 2021, poi, pubblicarono un nuovo album e quella reunion, nata forse solo per alcune date live, si trasformò in qualcosa di più grande, assunse un significato intenso, che sanciva la fine di anni di odio e astio inutile. Una band che negli anni Ottanta era lanciata, pronta a dominare il mondo, aveva finalmente fatto pace con sé stessa, permettendo al presente e al passato di coesistere e di dare un nuovo senso al futuro.
Passata la pandemia, un po’ alla volta i concerti ripresero e riuscii a rivedere gli Helloween in Italia. A casa, però, conservavo ancora il biglietto per la data di Amburgo: prima o poi sarebbe stata confermata, doveva essere confermata. Nel 2022, finalmente, dopo aver posticipato per ben tre volte il concerto, arrivò l’atteso annuncio: gli Helloween si sarebbero esibiti ad Amburgo il 6 maggio 2023. Finalmente avrei potuto omaggiare Ingo.

5 maggio 2023: la tomba di Ingo Schwichtenberg

Arriviamo ad Amburgo venerdì 5 maggio, alle dieci e trenta del mattino, circa. Ad accompagnarmi in questa trasferta in terra tedesca c’è il mio brothers of metal Alessandro, fanatico delle Zucche, come il sottoscritto. Usciti dall’aeroporto la nostra intenzione è di dirigerci verso l’hotel, pranzare e rilassarci un attimo. Alla fine, tra una cosa e l’altra, sono riuscito a dormire solo un’ora questa notte, un po’ di riposo è necessario. Ci mettiamo a osservare la pianta della metropolitana per capire come arrivare all’albergo, quando mi accorgo che dall’aeroporto abbiamo la possibilità di raggiungere il Waldfriedhof Volksdorf, il cimitero di Amburgo in cui Ingo Schwichtenberg ha trovato la pace eterna.
Acquistiamo i biglietti e saliamo in metropolitana, con la speranza di non commettere errori durante il tragitto. Non conosciamo il tedesco e raccogliere informazioni è tutt’altro che facile. Un paio di fermate dopo l’aeroporto, nella nostra carrozza, sale una ragazza. Immagino sia autoctona: glielo chiedo: lo è, e fortunatamente parla inglese. Le spiego la nostra situazione e, confidando possa fornirci qualche info, le dico dove siamo diretti. Ci confessa che non sa arrivare al cimitero, non ci è mai stata. Ci consiglia di scaricare l’app dei mezzi pubblici di Amburgo e ci traccia lei il percorso, mostrandoci come usarla. Fantastico: siamo padroni di noi stessi e del nostro tempo.
Non essendo mai stata al Waldfriedhof Volksdorf, però, la nostra amica ci programma la fermata sbagliata. Scendiamo una stazione prima e quando ce ne accorgiamo è troppo tardi. Decidiamo di raggiungere il cimitero a piedi, la distanza non è eccessiva, sono poco meno di tre chilometri. Alla fine, per noi, quello di oggi è una sorta di pellegrinaggio, è giusto affrontarlo a piedi.
La particolarità del Waldfriedhof Volksdorf è di trovarsi all’interno della foresta di Volksdorf e il nostro cammino ci porta a perdere contatto con il mondo contemporaneo e ad addentrarci nella pace della natura della Germania del Nord. I sentieri sono stupendi e veniamo accolti dal canto dei merli e dei pettirossi, assieme a qualche picchio, che si diverte a fare capolino davanti a noi, lungo il sentiero.
Arriviamo finalmente al cimitero: è da poco passato mezzogiorno. Entriamo da un ingresso secondario, non dall’ingresso principale. Perdo i miei riferimenti. Troviamo una cartina del Waldfriedhof Volksdorf. So che Ingo si trova nell’area B, sezione H. Dalla cartina sembra facilissimo arrivarci, ma nella realtà non è così: le sezioni non sono indicate, non capiamo in quale punto del cimitero ci troviamo. Iniziamo a girare a caso, con pochi frutti. Decidiamo di dividerci, nella speranza di velocizzare la ricerca.
Dopo aver fatto alcune decine di metri, non molto distante da me noto una signora anziana che sta lasciando dei fiori su una tomba. Mi avvicino; parla inglese; le chiedo se sa dove sia l’area B. Mi risponde che non lo sa e mi consiglia di tornare all’ingresso e visionare la cartina. Dice che l’area in cui siamo è la A. Tra me e me penso: “Se questa è la A, quella dopo sarà la B”. Saluto la signora, ritorno nel vialone principale e all’incrocio successivo giro a destra. Qualcosa attira subito la mia attenzione: una zucca, forse di terracotta, e due lanterne: è lei, è la tomba di Ingo.

È difficile da spiegare, posso solo dire che le emozioni, ora, sono fortissime. Perdo un po’ di lucidità, non so se proseguire o meno. Mi fermo un attimo, chiudo gli occhi, faccio un respiro profondo. Ci sono, sono tornato in me, sono ancora un po’ confuso, ma la situazione è di nuovo sotto controllo. Mi avvicino alla tomba, fino a trovarmici davanti: l’emozione è davvero tanta e la lucidità torna a venire meno.
Davanti a me riposa uno dei miei punti di riferimento nell’universo heavy metal, un musicista incredibile, che ha saputo trasmettermi emozioni uniche, difficili da descrivere. Ripenso subito alle canzoni che lo hanno visto protagonista dietro la batteria, pezzi che hanno fatto la storia del metal. Penso a quanto fossero originali e innovativi quegli Helloween, penso a quanto sia stato innovativo Ingo. Penso al suo tormento interiore, penso a quanto la vita sia ingiusta. Rimango ipnotizzato dalle manifestazioni di affetto che i fan hanno lasciato sulla tomba: ci sono le tipiche zucche di Halloween, una targa commemorativa portata da dei fan argentini e poi c’è la lapide incastonata nel terreno, in cui compaiono due bacchette e la scritta “Was der tod bringt fuhrt zum leben” [Quello che la morte porta con sé, guida verso la vita, n.d.a.].
Nella mia testa c’è un po’ di confusione. Mi accorgo di non aver ancora chiamato Alessandro: gli telefono e gli spiego dove sia la tomba. Mi raggiunge poco dopo. Un po’ di commozione affiora in entrambi. Rompo il ghiaccio estraendo dallo zaino il mio omaggio a Ingo: un porta candele a forma di zucca. Lo depongo sulla tomba e stiamo lì, in silenzio, per un po’. Iniziamo poi a prestare maggiore attenzione a come gli altri fan abbiano ricordato Ingo, in particolare a quella targa metallica lasciata da una coppia di argentini, che recita: “Riposa in pace Ingo Schwichtenberg. Nico e Bly dall’Argentina. Ingo fly free, maggio 2012”. Non so a cosa stia pensando Alessandro, so però a cosa sto pensando io: è incredibile come un’artista possa lasciare un segno indelebile della propria esistenza, come possa diventare immortale.

Helloween Ingo
Guardo l’ora: è l’una e mezza. Non so quanto siamo rimasti alla tomba, il tempo è volato. Decidiamo di dirigerci verso l’hotel, abbiamo oltre un’ora di metropolitana e la fame inizia a farsi sentire. Salutiamo Ingo e ci dirigiamo verso l’uscita. Solo in questo momento inizio a focalizzare dove mi trovo e quanto il Waldfriedhof Volksdorf sia diverso dai tipici cimiteri italiani: è un’area verde, enorme. Ci sono alberi e arbusti ovunque, le tombe sono immerse in un mare verde, tale appare il manto erboso, curato in ogni dettaglio. Alcuni fiori sono sbocciati dagli arbusti e il canto degli uccelli ci culla. Vengo colto da una sensazione di pace, di serenità. Il Waldfriedhof Volksdorf è davvero un posto magico.
Passiamo davanti alla cappella votiva del cimitero e in quel momento ripenso alla tomba di Ingo. Nella mia mente iniziano a materializzarsi tante cose: la mia collezione degli Helloween, riecheggiano le canzoni che hanno avuto Ingo protagonista, compaiono i video su youtube che lo ritraggono in azione, le sue interviste, le sue foto, con quel sorriso sempre in primo piano. Penso poi al suo dolore interiore, a quanto possa essersi sentito incompreso, a quanta disperazione possa aver provato per trovare la forza di compiere il gesto estremo con cui ha posto fine alla sua vita. Penso a quella targa metallica, deposta da due fan, dall’Argentina. Penso a quanta strada abbiano fatto per portare quell’omaggio. I miei occhi diventano lucidi e un paio di lacrime solcano il mio viso. Non so a cosa stia pensando Alessandro, ma siamo amici da una vita, siamo come fratelli: se lo conosco come credo, immagino i suoi pensieri non siano tanto diversi dai miei.
Mi fermo un attimo, lascio che Alessandro vada avanti, faccio un respiro profondo e riesco a tornare in controllo della situazione. Facendo finta di nulla, in veneto, gli dico: “Ouh, vècio, spetame”. Giriamo l’angolo e davanti a noi si materializza un vero e proprio giardino, con dei tavoli e delle panchine in legno. Ai lati estremi di questo giardino ci sono una serie di tombe, in mezzo a dei fiori. Ci sediamo un attimo. Un corvo inizia a saltellare poco distante da noi, si dirige verso una delle tombe. Sembra quasi di assistere alla scena de “Il Corvo”, in cui Eric Draven ritorna in vita dopo il picchiettio sulla sua lapide da parte dell’uccello nero. È solo un’illusione: il corvo del Waldfriedhof Volksdorf non va a beccare la lapide, ha solo bisogno di bere e si disseta con l’acqua presente in un vaso da fiori, davanti alla tomba.
Sono quasi le due del pomeriggio quando usciamo dal cimitero e ci dirigiamo alla metropolitana.

Helloween Ingo

6 maggio 2023: live report: Helloween + Hammerfall @ Sporthalle

Verso le sei e mezza del pomeriggio iniziamo a dirigerci verso il Sporthalle Alsterdorfer. Rimaniamo subito colpiti di non incontrare altri metalhead in metropolitana, tanto che iniziamo a chiederci se il concerto sia stato posticipato o meno. Scesi alla fermata Sporthalle, capiamo che il concerto c’è: vediamo infatti vari appassionati che stanno consumando le ultime birre prima di entrare nel palazzetto. Dopo una piccola coda, verso le sette e mezza facciamo il nostro ingresso allo Sporthalle. L’ora indicata per l’inizio dei concerti erano proprio le sette e mezza e, infatti, in sottofondo sentiamo le note di ‘Brotherood’: gli Hammerfall sono già entrati in scena. Seguiamo le indicazioni per trovare un ingresso all’area concerti e una volta entrati veniamo accolti da uno Sporthalle stracolmo: platea e gradinate sono strapiene di appassionati. Ecco perché non avevamo incontrato metalhead in metropolitana: erano già tutti dentro!

Helloween

 

HAMMERFALL

Sebbene ci troviamo ad avere un’autentica marea umana davanti a noi, riusciamo comunque a godere di una buona visuale. Gli Hammerfall si dimostrano in stato di grazia e regalano una prestazione carica di adrenalina, che raccoglie tutti gli elementi dell’heavy metal: energia, maestosità, epicità e aggressività scenica. Joacim Cans è l’assoluto mattatore dello show, rivelandosi il solito animale da palco, un vero e proprio trascinatore. Gli Hammerfall pescano a piene mani dalla propria discografia, potendo contare su classici immortali come ‘The Metal Age’, ‘Blood Bound’ o ‘Renegade’, canzone che mette a ferro e fuoco l’intero Sporthalle. E se ti puoi permettere di piazzare certi colpi nella prima parte del tuo show, beh, hai la vittoria in pugno. Certo, l’ultimo lavoro, “Hammer of Dawn”, spicca nella setlist del combo svedese, ma Dronjak e compagni dimostrano di conoscere i propri fan e di non volerli deludere. I suoni sono curatissimi e i volumi, rispetto a quanto avviene in Italia, risultano molto più educati. Come dicevamo, sul palco gli Hammerfall girano che è un piacere, appaiono in forma strepitosa e tengono la scena con quella sicurezza maturata in quasi trent’anni di carriera. La fase conclusiva dello show è caratterizzata da un classico dietro l’altro: ‘Last Man Standing’, ‘Let the Hammer Fall’ e l’immancabile ‘Glory to the Brave’, cantate a squarciagola dal pubblico. Gli Hammerfall, inoltre, per festeggiare i vent’anni di “Crimson Thunder”, mettono a segno un medley che raccoglie i momenti salienti di quel fortunato disco, accolto con gioia dai presenti. Siamo alle battute conclusive dello show e con ‘(We Make) Sweden Rock’ gli Hammerfall salutano il pubblico. È chiaro a tutti che il saluto sia solo momentaneo: un pezzo, in particolare, manca all’appello. Il combo svedese, infatti, torna subito all’attacco e dopo l’epica ‘Hammer High’ piazza la zampata finale, quella ‘Hearts of Fire’ che rappresenta uno dei classici indiscussi del nuovo millennio, canzone che trasforma lo Sporthalle in un’autentica bolgia. Show pazzesco, nient’altro da dire.

Setlist:

Brotherhood
Any Means Necessary
The Metal Age
Hammer of Dawn
Blood Bound
Renegade
Venerate Me
Last Man Standing
Hero’s Return / On the Edge of Honour / Riders of the Storm / Crimson Thunder (Crimson Thunder 20th anniversary medley)
Let the Hammer Fall
Glory to the Brave
(We Make) Sweden Rock

Encore:

Hammer High
Hearts on Fire

 

HELLOWEEN

Durante le battute conclusive dello show degli Hammerfall ci siamo spostati sulle scalinate e sfruttando il cambio palco, in cui di solito gli assetati si dirigono al bar, riusciamo a conquistare un posto a ridosso del pit gold. Potremo quindi apprezzare lo show degli Helloween da una posizione decisamente migliore rispetto a quella che avevamo con gli Hammerfall. Verso le nove e quarto le luci dello Sporthalle si spengono nuovamente e l’enorme telo nero che copre il palco, su cui campeggia il logo degli Helloween, viene lasciato cadere, svelando la scenografia della formazione tedesca. ‘Halloween’ viene usata come intro, mentre sui grandi schermi vengono proiettate delle grafiche, in tipico stile Helloween, che richiamano le sette chiavi. Presto, però, ‘Halloween’ lascia spazio a ‘Orbit’ e sugli schermi compare l’artwork di “Helloween”, chiaro segnale del pezzo con cui le Zucche apriranno lo show. Weikath e compagni entrano in scena e partono a mille con una ‘Skyfall’ suonata da paura. Lo Sporthalle risponde con clamore e raggiunge ben presto l’ebollizione. I suoni risultano curatissimi e sul palco le Zucche sono davvero uno spettacolo, con un Markus Grosskopf che non sta fermo un attimo, mettendo a segno la “solita” prestazione stellare. L’energia e l’entusiasmo con cui aggredisce il palco potrebbero fare invidia a un ventenne. Da quando è avvenuta la reunion con Kiske e Hansen questa è la terza volta che vedo gli Helloween, ma l’atmosfera di stasera ha qualcosa di speciale. Sul palco i magnifici sette sembrano uniti come mai li avevo visti prima, facendo capire quanto il legame tra loro sia diventato forte. E vedere Weikath e Hansen duellare con la chitarra, spalla a spalla, stasera assume un sapore diverso, è un qualcosa di speciale. Che sia per il concerto ad Amburgo, a casa loro, o per le emozioni vissute il giorno prima, alla tomba di Ingo, poterli vedere questa sera fianco fianco regala sensazioni magiche. Soprattutto perché i due, supportati da un superlativo Sascha Gerstner – autentico asso nella manica della formazione tedesca –, dimostrano di avere un’intesa e una complicità uniche. La scaletta della serata prevede tre pezzi dall’ultimo “Helloween”, tre canzoni che rappresentano al meglio l’anima dell’ultima fatica delle Zucche: la già citata ‘Skyfall’, ‘Mass Pollution’ e la splendida ‘Best Time’, accolta con un vero e proprio boato dal pubblico, il cui ritornello, in particolare la frase “Yesterday is history, tomorrow is a mystery” viene scandita a gran voce dall’intero Sporthalle. Il resto dello show è tutto incentrato sul passato degli Helloween e a fare la voce grossa ci pensa quel capolavoro intitolato “Keeper of the Seven Keys Part II” da cui, nella parte iniziale dello show, i Nostri propongono una ‘Eagle Fly Free’ assassina e ‘Save Us’. Kiske, in entrambe, ha dei piccoli passaggi a vuoto: nel finale di ‘Eagle Fly Free’ appare in difficoltà, mentre in ‘Save Us’ entra completamente fuori tempo nella seconda strofa, recuperando nel successivo ritornello. Inezie. Deris è decisamente più in palla: sul palco è il solito mattatore, capace di tenere il pubblico in pugno per tutta la durata dello show, e vocalmente è davvero in forma strepitosa. Lo testimonia una ‘Power’ suonata e cantata alla perfezione, che coinvolge il pubblico in continui cori e vocalizzi. Lo show prosegue, incalzante, e quando arriva il momento del medley di “Walls of Jericho”, sul palco irrompe Tim Hansen, il figlio di Kai. Tim si impossessa della chitarra e Kai si occupa solo del microfono: un qualcosa di atipico, ma che trasmette emozioni su emozioni. E con questa formazione speciale le Zucche piazzano subito dopo ‘Heavy Metal (Is the Law)’, uno degli inni dell’heavy metal anni Ottanta, cantato a squarciagola dal pubblico tedesco. Ultimato il momento dedicato a “Walls of Jericho”, Tim Hansen saluta il pubblico, riceve l’abbraccio del padre e rientra nel backstage, tra gli applausi. Stiamo per avvicinarci alle battute conclusive dello show e dopo l’ormai abituale versione acustica di ‘Forever and One (Neverland)’, cantata da Kiske e Deris, accompagnati alla chitarra da Gerstner, gli Helloween sfoderano due autentici pezzi da novanta: ‘Dr Stein’ e ‘How Many Tears’. Proprio ‘How Many Tears’, posta in chiusura, impressiona per la prestazione dei singoli, in particolare di Dani Löble, che dopo due ore di show continua a picchiare con potenza e precisione magistrali. La versione a tre voci di ‘How Many Tears’, poi, dà una marcia in più a una canzone che sa già fare la differenza di suo, per un finale a dir poco stellare. Gli Helloween entrano nel backstage, una mossa che fa ormai parte dello spettacolo. A gran voce vengono chiamati dal pubblico e le Zucche tornano in scena con due classici immortali: ‘Perfect Gentleman’ e la splendida ‘Keeper of the Seven Keys’. Secondo ingresso nel backstage per chiudere poi le danze con l’immortale ‘I Want Out’, canzone simbolo degli Helloween e di tutto il movimento power metal. Il finale è una vera festa, con degli enormi palloni, a forma di zucca, che inondano lo Sporthalle. Lo show degli Helloween si conclude con una serie di botti e coriandoli sparati sul pubblico, per poi salutare lo Sporthalle con la classica foto dal palco. Prestazione fantastica, forse la migliore che io abbia mai visto degli Helloween, tanto che le piccole sbavature messe a segno da Kiske vengono presto dimenticate. Usciamo dallo Sporthalle con il sorriso stampato in faccia, segno tangibile di una serata da incorniciare.

Setlist:

Skyfall
Eagle Fly Free
Mass Pollution
Future World
Power
Save Us
Metal Invaders / Victim of Fate / Gorgar / Ride the Sky – with Tim Hansen
Heavy Metal (Is the Law) – with Tim Hansen
Guitar Solo – Sascha Gerstner
Best Time
Forever and One (Neverland)
Dr. Stein
How Many Tears

Encore:

Perfect Gentleman
Keeper of the Seven Keys

Encore II:

I Want Out

 

Marco Donè