Recensione: Helloween

Di Luca Montini - 20 Giugno 2021 - 16:09
Helloween
Band: Helloween
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Power 
Anno: 2021
Nazione:
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80

Pumpkins United. We are. Dopo la storica reunion del 2016 che ha visto il ritorno delle zucche di Amburgo al gran completo, immortalate anche in un buon live-DVD, siamo alla release di un disco che, nel bene o nel male, segna un traguardo davvero significativo per la band. Per la prima volta sotto il moniker Helloween tornano in formazione lo zio Kai Hansen (Gamma Ray) che lasciò il gruppo nel 1988, e Michael Kiske (Place Vendome, Avantasia) che venne allontanato nel 1993, dopo un album ancora oggi controverso come “Chameleon”. Pubblicato da Nuclear Blast, il full-length titola semplicemente Helloween, disco eponimo per i tedeschi così come il primo EP del lontano 1985. L’artwork del berlinese Eliran Kantor aggiunge una grossa dose di epicità e monumentalità all’evento: un lavoro superlativo con il custode delle sette chiavi in primo piano, a rievocare i fasti del passato – e rompendo con la serie di artwork digitali che hanno caratterizzato gli ultimi lavori delle zucche.

Ma la musica? Questa formazione sarà stata in grado di raggiungere i fasti ancora insuperati dei due “Keeper of the Seven Keys” del 1987/88? La domanda che ha a lungo accompagnato i fan in hype trepidante sin dalla pubblicazione del singolo “Skyfall” arriva fino a questo caldo giugno 2021.

La risposta, dopo numerosi ascolti, è sicuramente negativa. Non tanto perché manchi qualità a questo lavoro, per molti versi eccelso, quanto perché l’obiettivo delle zucche alla luce delle dodici tracce di Helloween non sembra essere stato quello di emulare i Keeper, quanto di realizzare un lavoro di sintesi della loro intera carriera che ha recentemente superato i trentacinque anni. L’uso delle due voci di Kiske e Deris, ad esempio, funziona molto bene. Ma laddove ci saremmo aspettati un return of the king in piena regola per l’ugola degli Avantasia, ci troviamo invece di fronte a linee vocali abbastanza prevedibili, certo in alcuni passaggi davvero gustose come nell’opener powerella “Out for the Glory” o nell’inno “Best Time”, che riescono a tenere proprio grazie ad una ben dosata alternanza con la voce più dura di Andi Deris, protagonista di un’ottima prova, e del buon Kai Hansen che con i suoi innesti rende tutto più metallico, diretto e sgraziato. Ti vogliamo bene zio!
Altro fattore interessante da considerare riguardo la composizione del disco: ogni brano è stato scritto da un solo membro (ad eccezione della già citata “Best Time” di Deris e Gerstner), a testimonianza di come ogni protagonista di questa inedita formazione abbia avuto modo di contribuire in maniera personale alla stesura del disco portando con sé un pezzo della propria esperienza. Laddove una “Fear of the Fallen” o un’indiavolata “Mass Pollution” (Deris) portano con sé l’oscurità dell’heavy-power di fine anni ’80 inizio ’90, spetta invece a Weikath veicolare il power più positivo e scanzonato come nell’opener o in un brano come “Robot King” con i suoi duelli nei solos che rimandano agli stilemi tipici del power metal che la band stessa ha per molti versi inventato. Bella anche “Indestructible” (Grosskopf) forte di una strofa che può ricordare le ultime esperienze in casa Helloween, ottimi i solos e buono il ritornello per quanto molto semplice.
Tra i punti deboli del disco, qualche leggera scivolata come su “Angels” (Gerstner), che cade su un ritornello troppo piatto, o “Cyanide” che è un po’ la “Are you Metal?” di questo Helloween.

Menzione a parte, ma anche menzione d’onore per il singolo di lancio, nonché suite dell’album: “Skyfall”. Unico brano realizzato da Hansen, per fortuna o purtroppo (per chi nutriva grosse aspettative dopo la sua uscita) il brano più forte e significativo dell’intero lavoro. Preceduto da una piccola opener “Orbit” tipicamente hanseniana, con il delay a manetta e tanta atmosfera, il brano esplode con i suoi dodici minuti funambolici, tra cavalcate epiche solos al fulmicotone, un ritornello finalmente davvero centrato e con un bel significato (la storia dell’alieno caduto dal cielo in cerca di casa, che non ritrova nemmeno nel suo pianeta d’origine), e simpatici rimandi ai Gamma Ray. Non a caso l’ultima strofa del brano (e del disco, escluse le bonus tracks) è “Somewhere out in Space”.

Helloween è in definitiva un bel disco, sopra la media rispetto a tante release power degli ultimi anni e di poco sopra gli ultimi lavori delle zucche. Un regalo straordinario per i fan di ieri e di oggi del combo di Amburgo, ma anche un’occasione persa per chi si aspettava una nuova rivoluzione in abito power o un nuovo Keeper o Walls of Jericho. Ci troviamo invece dinanzi ad un lavoro per certi versi “di mestiere” e pieno di autocitazioni, che tende a crescere con gli ascolti dopo un prevedibile primo impatto di smarrimento, complici anche ritornelli non sempre immediati e una durata dei brani decisamente eterogenea. In Helloween c’è tanta carne al fuoco, tanta velocità di esecuzione, una produzione buona, tre voci tra le più rappresentative nel panorama power e tanta tecnica da parte dei sette custodi delle sette chiavi. Staremo a vedere se la lineup terrà anche per i tour dei prossimi anni post-pandemia, e se ci sarà in futuro un nuovo disco con questa formazione, nel frattempo una cosa è certa: nel 2021, con Helloween è stata scritta un’altra, fondamentale pagina di storia del power metal.

Luca “Montsteen” Montini

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