Progressive

Protest the Hero: Pacific Myth, ovvero l’evoluzione del mercato musicale

Di Tiziano Marasco - 6 Luglio 2016 - 0:00
Protest the Hero: Pacific Myth, ovvero l’evoluzione del mercato musicale

Pacific Myth, demo dei Prothest the Hero, non può essere trattato come una recensione. Questa bislacca opera, infatti, ci porta a riflettere non tanto sulla musica quanto sull’industria della musica. Pacific Myth, e i Protest the Hero, sono la punta di un piccolo iceberg dell’essere indipendenti, nell’espressività artistica quanto sul mercato.

Perché così è: l’artista ormai non deve essere solo un artista in musica ma anche nel marketing. Crisi dell’industria discografica? Può essere ma, a sorpresa, principale responsabile della crisi non è l’artista, è la Label. Le band emergenti sono soggette ad una teoria del valore che è assai prossima a quelle dei bambini che cuciono i palloni dela Nike (con la sottile differenza che le band si divertono nella loro attività). Di ogni cd venduto a 15 €, ogni singolo musicista intasca 30 centesimi. E la label 9 euro.

Sicché è piuttosto chiaro che sia soprattutto l’artista a voler promuovere se stesso e a cercare di trarre il più possibile dalle vendite (oltre che dai concerti, che costituiscono il grosso dei proventi di una band ad oggi). Tra i primi a capire la soluzione ci furono i Nine Inch Nails, inventori del cosiddetto

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L’album era Ghosts I-IV, le copie del boxsetsuperlusso erano 2.500, il prezzo di ciascuna 300 $. Andarono sold out in 3 giorni.

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Fu una svolta. Da lì tutti presero a fare un profluvio di edizioni speciali, di box set, di formati diversi, il vinile conobbe un nuovo boom. Dopodiché si arrivò alla corsa al merch e al gadget sexsupercool. I nostri Fleshgod la pasta, i Maiden la birra, gli Opeth qualsiasi cosa. Si trattava semplicemente di ingrifare l’aficionado, consci che non avrebbe esitato a comprare qualsiasi cosa per distinguersi dalla massa dei fan normali.

Personalmente ho sempre detestato questo tipo di operazioni, perché sono essenzialmente da avvoltoi. Però quando a un concerto mi trovai innanzi al doppio box vinile con copertina in bassorilievi a lamine d’argento di Heliocentric/Anthropocentric dei The Ocean, diciamo pure che mi sono un po’ imbarzottito anzichenò. Idem quando i Kauan intrapresero il progetto dell’edizione speciale (di …Kuu mi pare), vale a dire fare un CD con la scatola in legno, in maniera totalmente artigianale, solo per chi lo avesse ordinato. In entrambi i casi la barzottitudine fu bromurata dal costo.

Veniamo ora (era ora direte voi) al Pacific Myth.

A questo punto si dovrebbe, fatte fuori le prime 500 parole, dissertare un po’ di musica. In realtà Pacific Myth può essere riassunto con questo celebre trimetro di Lord Byron

La solita figata

(Lord Byron)

Sostanzialmente Pacific Myth non va molto più in là di quanto sentito in Volition, è un altro esempio di quello che definisco progabillyemodjentcore. E con i suoi 35 minuti va molto vicino ad essere un album fatto e finito.

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Ma più della musica in sé, comunque di alto profilo, quello che è curioso è il modo in cui l’ep è stato promosso, perché sta esattamente all’opposto del trend di produrre superboxset e merch di lusso. E parte da un assunto molto semplice, che i nuovi metallari di tutto il mondo hanno colto alla grande: la caduta tendenziale del saggio di profitto si è capovolta, in parole povere

internet sta trasformando il music biz, facendolo diventare, da un luogo in cui pochi si prendevano quasi tutto, a un luogo in cui moltissimi riescono ad accaparrarsi qualcosa.

Gli eroi canadesi hanno pubblicato una canzone al mese esclusivamente su bandcamp. E ognuno poteva downloadare una canzone per un pugno di denari che finivano direttamente nelle tasche degli eroi. E l’album è stato realizzato „in progresso“, sta a significare che quando la prima canzone è uscita, le altre 5 ancora non esistevano. ora in estate dovrebbero uscire diversi altri formati.

A corredo, ogni song aveva un suo cover art work, peraltro di rara figaggine, sicché i PTH, annunciavano una nuova canzone cambiando la loro immagine su facebook. In questo modo i nostri hanno cementato la loro fan base, soprattutto quella d’oltre oceano, rimanendo sulla bocca dei fan per mezzo anno ininterrottamente, e l’hanno accresciuta enormemente (circa 50 mila nuovi fan su facebook). Non si sa di preciso quanto abbiano racimolato, ma indiscutibilmente la loro popolarità ne ha tratto giovamento.

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Something like this “working” is a very nebulous concept: what quantifies this working or failing? I think it was a good business decision for the band, as it allowed them to drum up a lot of hype in a relatively short amount of time, and this made Pacific Myth stay on people’s’ tongues and minds for a lot longer than most new releases do, especially EPs. It also allowed them to gauge how much of an active, participatory fanbase they have. The reward they got for this risk was certainly worth it in my opinion.

Da Heavyblogisheavy

Di fatto, però, questa mossa commerciale ha funzionato perché i PTH hanno un’ottima fan base. Può funzionare per tutti? Difficile dirlo, lecito sospettare che non sia così. Tuttavia Pacific Myth esponenzializza una tendenza abbastanza recente nel music business indipendente ed underground: quella del fundraising (che sarebbe corretto chiamare ormai fan-raising).

Ovvero le band cercano di promuoversi tramite internet tramite campagne di raccolta fondi in cui i fan possono fare delle donazioni LIBERE. Gli stessi PTH lo hanno fatto per registrare Volition, e hanno guadagnato 170.000 $. I Ne Obliviscaris lo hanno fatto per potersi permettere un tour in Europa, e hanno cavato dal buco oltre 50.000 €.

E la cosa bella è che questo modo di promuoversi, chiedendo un piccolo sostegno ai fan anziché costringere gli aficionados a svenarsi per avere qualche oggetto di megalusso, è molto metal. Il metal nasce – e dovrebbe essere ancora – partendo dal basso, dall’underground, ed è sempre stato caratterizzato da un certo disprezzo del divismo tradizionale. È un genere venuto dalla working class, dai diversi. Non dall’élite. Ed è pertanto un genere di rottura, non di conservazione.

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Quindi ben venga internet, ben venga il supporto di molti che donano poco per qualcosa di fondamentale come un tour o un nuovo album, piuttosto che quello di pochi che donano tanto per qualcosa di relativamente accessorio. Non che debbano sparire i vinili o i gruppi black che pubblicano solo su cassetta (oddio, questi ultimi…). Ed è il pubblico a decidere se qualcosa vale o meno, non è la label che ti impone il 31374878 dei Manowar (con tutto il rispetto) perché è sicura del fatto che qualcuno lo compri grazie al “nome grosso”.

Ben venga lo streaming e il download, ben venga il crowdfunding, ben vengano le operazioni che consentono a una buona band sconosciuta del Nebraska o della Chelyabinskaya Oblast’ di arrivare, anche con un po’ di culo, ad essere conosciuta in tutto il mondo. Queste operazioni continuano a testimoniare che la musica (non solo il metal) continua ad essere più viva e originale che mai.

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