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Elvenking (Aydan)

Di - 18 Settembre 2010 - 0:10
Elvenking (Aydan)

Intervista raccolta da Marco Migliorelli.

Assomiglia ad Hansi Kursch ma è italiano ed è Aydan ancora una volta qui su Truemetal per guidarci in profondità nelle acque del sesto studio album degli Elvenking: Red Silent Tides. Due ore scorrono come se al posto del telefono ci fossero un bicchiere di bianco e del frico tradizionale. Sin da subito vengono scavalcate le barricate delle domande e ci si ritrova nel campo libero della conversazione. L’idea di fondo consiste nel comprendere le ragioni di un disco, soprattutto quando si muove in direzioni ulteriormente nuove rispetto al passato.

Aydan, è un piacere ritrovarsi dopo un anno. Prima di tutto auguri a te e agli Elvenking per la vostra prima decade di musica. Risale al 2000 la vosta demo, The oak was bestowed, finalmente riproposto nella special edition del vostro ultimo album.

Raccontaci di questa bella idea.

Ciao Marco, si tratta di una iniziativa della AFM. Da principio non eravamo entusiasti dell’idea di affiancare ad un disco come questo, che rappresenta in modo inequivocabile le nostre sonorità attuali, una demo rappresentativa di un sound risalente a dieci anni fa. Non che non avessimo mai considerato l’ipotesi di pubblicarlo. In realtà avremmo voluto aggiungerlo al progetto di una compilation, contenente diverse canzoni uscite per il mercato giapponese, miste ad altri pezzi registrati come demo e mai inseriti in un album. AFM però ha preferito tenere queste canzoni per proporle in futuro ed è così che è nata l’idea di questo bonus.

E’ rimasterizzato?

No è l’originale in tutto e per tutto. Non so nemmeno dove siano i nastri originali! La base è quella della demo che distribuivamo all’epoca. Insomma è la demo così come uscì con tutti i difetti che ha. Anche se forse qualcuno la preferirà al sound del nuovo disco [ride]. Era questo il senso: dare quello che c’era allora senza ritoccare. Questo per sottolineare l’evoluzione di un percorso spontaneo senza dimenticare tutto quello che abbiamo fatto nostro negli anni.

Il paragone stilistico è spiazzante..

Certo! questa demo non rappresenta la band odierna; tuttavia c’è un risvolto importante. Sappiamo che diversi fan hanno l’han cercata trovandola a prezzi assurdi. Qualcuno negli Stati Uniti è arrivato a sborsare 50 dollari. Questo non ci andava bene ed è stata un’ottima ragione per dare l’ok. Ci piaceva poi l’idea, in accordo con la AFM, di una edizione speciale che avesse senso, che potesse valere quei due euro in più rispetto alla versione normale.

In effetti ormai è una consuetudine, anche presso band di spessore mondiale. Penso a quella di The final Frontier dei Maiden, un simpatico vezzo estetico…

Sì, l’ho presa anch’io quella e non è gran cosa alla fine! [ride]

C’è comunque una novità riguardante i contenuti multimediali della special edition. Si tratta della versione di Jigsaw Puzzle ricantata da Damna. AFM non voleva ma qui ci siamo impuntati noi e così abbiamo stabilito che fosse reperibile come bonus track ascoltabile tramite link.

Sul sito sembrava fosse un capitolo rimandato…

In realtà non ne abbiamo avuto la certezza fino all’ultimo momento e così te lo dico ora..

Fantastico. Un bel modo di festeggiare dieci anni di lavoro intenso..

Sì! AFM deve aver pensato anche a questa ricorrenza. Anche se siamo attivi da prima del 2000, la demo, lo ricordo ancora bene, fu registrata e ultimata nel gennaio di quello stesso anno. Noi saremo impegnati con la promozione di Red Silent Tides fino a metà del 2011 ma c’è l’idea di organizzare qualcosa di particolare per festeggiare, magari concerti specifici..

Come fecero gli Blind Guardian, ricordi..?

[ride]…non a quei livelli credo! Ma l’idea c’è. Nulla di definito ancora…

Torniamo al vostro nuovo lavoro. Sei album consacrati alla varietà ma Red silent tides è come dire: l’inatteso. Mostra tutti i tratti familiari dei precedenti dischi ma il suo volto è differente.

“…and dream are drowning in a red silent tides…”. Così l’incipit narrato in Dawnmelting…

Nessun concept dietro il disco ma testi e musiche sono legate a periodi vissuti da noi personalmente, prima e durante la loro stesura. Questo è il vero filo conduttore: situazioni particolarmente impegnative se non dolorose, fino alla perdita di una persona cara…ed è così che nasce la musica, poi vengono i testi. Le coordinate sono queste quindi: decadenti e tristi ma attraversate da un filo di forte positività. Certo ci sono testi cupi, dal fascino decadente a tratti anche musicalmente ma resta una positività di fondo che è la “luminescenza” propria della musica. Sentita e poi suonata, trasforma il negativo in positivo, nella vita. Questo è il filo conduttore del disco.

Perchè questo titolo allora, cosa rappresentano queste maree…

Graficamente…immagina una barca perduta; persa in un mare rosso. Rosso come lo sono i nostri sogni e i nostri incubi. Tutto questo rappresenta noi stessi. La barca stessa ci rappresenta e il faro ancora: è la direzione…

la luminescenza..

la speranza. Questa è la direzione che il faro indica.

Non ti nascondo le mie perplessità al primo incontro con Red silent tides. Non deve però mancare la voglia, di approfondire per comprendere le ragioni della musica prima di giudicarla. Dopo averti sentito raccontare le ragioni del disco ricordo con rabbia alcune “stronzate” che ho letto ultimamente sul vostro profilo facebook: noto con amarezza come si tenda a liquidare una canzone sulla base di download sommari ed un ascolto superificiale…

Ai miei tempi c’erano il cd e l’ascolto profondo che ne seguiva. Da piccolo compravo un cd al mese, dovevi sceglierlo. Veniva naturale la necessità di comprenderlo appieno, di andare affondo nei testi, leggerli per immergermi nella musica in modo più profondo. Comprendere il significato di ogni canzone.

Oggi come si può far questo. Come si può “capire” in una playlist di 2000 brani…e non è colpa del povero ragazzo che non ha soldi per il cd. Il discorso è un altro: l’ascolto di mp3 secondo queste modalità non permette altro che di scalfire la superficie di un disco, se non di perdere, nello specifico, il collegamento fra il testo costruito sulla canzone e il senso complessivo del pezzo.

..che poi in altri casi si tratta del giusto tempo di un disco. Come per la lettura dei libri, fra l’acquisto di un disco e il suo ascolto può passare del tempo…

Esatto. Anch’io ho lì dei cd da anni…ed aspetto di trovare il momento adatto per scoprirli, o ri-scoprirli, comunque ascoltandoli molte volte prima di arrivare a comprenderli…come l’ultimo degli Blind Guardian

T’è piaciuto?

Non mi ha entusiasmato per ora, ma necessita di altri ascolti. Personalmente non sono ancora veramente colpito da questo ritorno al passato. Preferisco che uno continui ad evolversi e non a cercare il passato…ma sono giudizi ancora troppo affrettati!

Torniamo agli Elvenking. Una curiosità prima di addentrarci nel cuore musicale del disco. Perché Cabal, come singolo, e non una The Last Hour, brano molto più catchy e immediato?

Quando dobbiamo scegliere un singolo ci riuniamo e ne parliamo; poi ognuno propone la sua canzone. The last hour era fra le proposte ma alla fine abbiamo optato per Cabal. Sapevamo che avrebbe portato delle critiche: eravamo preparati. Prima ancora si riversò un mare di critiche su Divided heart: questo non ci spaventa, ci interessa semmai…ad esclusione di quei ragazzini che dietro nomi altisonanti s’abbandonano al lato più superficiale e improduttivo della critica.

Ovvio poi che la scelta del singolo possa essere fatta secondo criteri di orecchiabilità; questo magari non è il canone metal ma mi vien da ridere, così come quando scegli la cosiddetta canzone “commerciale”: questi sono discorsi che lasciano il tempo che trovano. Il discorso è diverso. Vorremo proporci a un pubblico più vasto e poi far approfondire il tutto. Vogliamo mostrare tutte le sfaccettature degli Elvenking. Deve poter emergere ogni aspetto del nostro sound. Tutto il nostro suono con la sua personalità di fondo. Ora ci stiamo preparando per un secondo video su una canzone di Red silent tides più heavy, più veloce e pesante. Dobbiamo decidere solo quale.

Questo non eviterà che qualcuno anche con le migliori intenzioni, possa avvertire il tutto come un “tradimento” o che altri senza preamboli vi condannino superficialmente per un mancato atto di fede alla Religo del Metallo..

Guarda, questo posso capirlo. E’ accaduto ed accadrà sempre….lo stesso accadde a me a 16 anni con Colony e Projector. Mi aspettavo il sound cui In flames e Dark Tranquillity mi avevano abituato fino ad allora, così alla prima virata di stile ero lì a gridare al tradimento. Poi anni dopo sono tornato a riprendere in mano quei dischi e come questi altri che pure avevo rivenduto, per ascoltarli con orecchio diverso e comprenderli.

Sul pubblico metal sono combattuto…alcune volte penso sia fra i più intelligenti, capace di sorprenderti con gente culturalmente di un certo livello; altre volte vedo l’opposto. Non voglio però abbandonarmi a generalizzazioni. Sono combattuto.

Torniamo a Red silent tides. Questo disco è importante prima di tutto per un motivo: l’ingresso di una seconda chitarra, Raphael, ha cambiato notevolmente la fisionomia del vostro sound. Quanto è stato decisivo nel costituire la personalità del vostro nuovo lavoro?

Per me gli Elvenking son sempre stati da due chitarre. Il fatto che per un periodo siamo stati con una sola chitarra, su disco non cambia molto perché le ritmiche le suono io…però pensare i pezzi; pensarli per due chitarre è tutt’altra cosa. Ed è fondamentale: su due chitarre possiamo creare incroci e armonie…come poi abbiamo sempre pensato. Certo per un periodo non proponemmo questa soluzione perché non trovavamo un elemento stabile. Per tutto un anno abbiamo avuto un chitarrista ma scelse di tirarsi indietro quando l’impegno con gli Elvenking richiese più tempo. Ora con Raphael è possibile realizzare quell’idea precisa del gruppo con due chitarre. Sotto il profilo tecnico lui è preparatissimo ma è come “persona” che mi interessa di più: quando si riesce a comunicare, a mettere in relazione personalità differenti creando un rapporto…. Abbiamo quindi potuto cambiare le canzoni strutturalmente, lavorando sulle chitarre fino a fare simbiosi…

…“simbiosi”,ecco la parola chiave: l’impressione è che tu e Raphael facciate musica insieme da molto tempo. Senz’altro è stata decisiva l’attività live. Il risultato è notevole. Tu che ne dici?

In realtà Raphael suona con noi da quasi due anni. Per la precisione dal 2007, quindi da prima di The Scythe. Abbiamo fatto moltissimi concerti insieme…e poi suoniamo insieme in una cover band. Siamo molto diversi in realtà, lui è molto tecnico io sono più rock e melodico. Per questo siamo un’ottima squadra.

Che ha costellato l’album di solos!

Certo! volevamo riproporre in avanti la chitarra, precedentemente arretrata negli anni passati. È stata una vera e propria liberazione. Con Raphael e finalmente due chitarre abbiamo potuto dar sfogo a questa voglia!

con uno spiccato accento hard’n’ heavy

Esattamente..

La presenza di una seconda chitarra ha influito sensibilmente anche su brani più tradizionali e più vicini alla vostra matrice folk-power originaria. Ne ha messo in discussione gli equilibri. Penso a un brano da scaletta come “Silence de Mort”. Qui c’è un degno assaggio di cosa sono le sezioni strumentali del vostro nuovo album. Elvenking inediti. Cosa sta cambiando…o meglio che altro sta emergendo?

È sempre più difficile creare un giusto equilibrio ad esempio fra due chitarre e il violino. Ora il violino deve tenersi più indietro rispetto al passato: deve creare ceselli fra le due chitarre che vanno in intreccio. In realtà il violino suona per tutto il pezzo ma non lo si avverte sempre nitidamente.

vi è mai capitato di trovarvi a scrivere un pezzo “sul” violino?

Costruiamo sulla voce perché la “senti”: letteralmente, e subito. Cerchiamo melodie vocali interessanti e su queste lasciamo crescere il resto del brano. Quando pensiamo al riffing ed in genere allo strumentale, riflettiamo su come distribuire i ruoli, ma è assolutamente la voce il punto di partenza. Mai strutturiamo la voce sul pezzo strumentale. Altri gruppi adottano questo metodo ma si avverte quando la voce è “posticcia” e diventa banale. Capita tantissimo e credo ormai di riconoscere quando avviene questo “copia e incolla”.

Quanto è importante nella crezione del vostro sound il lavoro di cesello sugli arrangiamenti e le sovra incisioni, affinché elementi più delicati come il violino, il pianoforte e le partizioni acustiche non vadano perdute? Le introducete in aggiunta come degli orpelli a brano composto o accade diversamente?

Tutti gli arrangiamenti che lavoriamo a cesello sono assolutamente seguiti in tutte le fasi del loro percorso, ma in buona parte sono difficili da capire a un livello superficiale di ascolto. Se ti dai tempo e attenzione però emerge tutto. Considera che in generale, se un qualsiasi strumento suona solo per farsi sentire come dire, “casca il palco”. Vogliamo che funzioni la canzone non il singolo strumento. In questo consiste lo specifico del nostro studio maniacale sulla forma canzone. Credo che creare 4 minuti densi sia più arduo che 9 con orchestrazioni varie: è più difficile trovare una melodia semplice che orchestrazioni.

Altro brano da scaletta, questo sì, ancor più potente, è “Runereader”. Canzone tradizionale trasfigurata però da “one hot minute” strumentale. Batteria in doppio pedale, chitarre in crescita babelica e soprattutto un coro profondo, d’atmosfera, sul quale il violino sembra “volare tagliente come impazzito” per qualche secondo. Semplicemente. Come è nato, Aydan, questo minuto.

Una delle canzoni più citate fino ad ora. Ed anche una delle più complesse. L’idea che avevo a suo tempo di quella canzone è ben rispecchiata dal risultato, ma quando l’ho presentata al gruppo è stato arduo farla intendere agli altri. Nel momento in cui inizi a provare ed il brano è ancora tutto in testa, la situazione è molto scarna. Creare un contesto di partenza non è facile, tutto quello che gravita intorno all’idea principale del pezzo, l’atmosfera, le sfumature sono lì nella tua testa ma devi farle intuire agli altri. Devono poterle “vedere”…c’era poco entusiasmo. Però ho insistito e persistendo tutti, il risultato ottenuto è quello che desideravo e che corrispondeva a quanto inizialmente non ero riuscito a far capire agli altri. In questo frangente è stato prezioso Antonio Agate, ex tastierista dei Secret Sphere.

Runereader” è un brano epico e con la scelta di quel coro suggerisce quanto ancora la vostra creatività potrebbe attingere al power originalmente. In quel minuto ho visto una possibile breccia per sviluppi futuri…

Ci siamo riaccostati agli stili che abbiamo esplorato meno. Vogliamo sempre far quel che proviene dalle nostre emozioni e nello specifico di questa canzone attualizzare un percorso antico che ci è comunque dentro, ma con la consapevolezza del profilo moderno della band.

Restando sui cori, ce n’è uno in particolare di Damnagoras che letteralmente esplode l’inizio di The Last hour ed insolito nel suo genere, quasi agli antipodi di quanto generalmente si respira in un vostro brano; l‘immagine è quella di un brano catchy dai risvolti quasi …ora tiro fuori l’anticristo…pop!

[risate]

Sarà la maturità o semplicemente l’essere avanti negli anni…vedila come vuoi ma non abbiamo più la paura di creare schemi e non restarne prigionieri. Se parli di pop siamo quasi contenti! Ci sono artisti pop brillantissimi e se ne senti le influenze nel disco ben vengano. Si parla di musica per la gente e non mi vergogno nel dirti che ascolto quasiasi cosa. Se su mtv passa un brano con buona melodia e un ottimo arrangiamento voglio giudicarlo per la sua qualità musicale. Come musicista voglio poter individuare e capire anche fra generi differenti un buon pezzo… poi ci sono ambiti musicali come il jazz e il blues che non mi interessano e sui quali non mi esprimo.

Il discorso principale su Red silent tides riguarda comunque l’hard rock e l’heavy melodico….

Influenze hard rock…beh non mi stupisce perché abbiamo ahimè, più di trent’anni e nella giovinezza fra i primi 90 e fine degli 80 quella era la nostra musica, quello il nostro genere. Poi ok, c’era anche il metal. Siamo cresciuti coi Guns e Bonjovi che in quegli anni erano un elemento importante dei nostri ascolti. Quindi arrivò l’onda del grunge che spazzò via tutto. Capisco quindi che chi ha iniziato col metal dopo il ‘94 possa restare disorientato, spiazzato. Per noi però è normale. Ecco perché sento Red silent tides fra i dischi degli Elvenking più vicini al mio modo di intendere la musica. C’era la voglia di fare qualcosa di diverso ed anche quando ad esempio ora lo metto su in macchina, io sento un album fresco che mi comunica l’idea del viaggio e della volontà di intraprenderlo. C’è del positivo proprio a livello di sensazioni immediate! So che può spiazzare ma dico che chi conosce gli Elvenking sa ormai che non esistono album che danno aspettative. Wyrd era diverso da Heathenreel, questo era diverso da Winter wake, per non parlare di The Scythe…l’acustico poi…!

Proprio come i Dream Theater [risata]. Nel 2011 saranno già a lavoro sul nuovo disco. Saggio Portnoy che ha preferito staccare, prendere una pausa di riflessione. Il gesto è monumentale ma personalmente aspetto a dire che sia un male…

L’ho pensato anch’io…i Dream Theater non li seguo più da un pò. Non han molto da dire. Li ho visti recentemente dal vivo e sono fenomenali! ma da lì al resto…

 

Dopo le chitarre, altro elemento caratterizzante cui già abbiamo accennato: un’atmosfera ottantiana. Penso a “What left on me” che conserva atmosfere fiabesche ma anche a pezzi come “Those Days” o “Possession” in cui la prossimità è quella all’heavy più melodico e tradizionale. Sei d’accordo?

Abbiamo scritto “incoscientemente” queste canzoni. Sono venute fuori in modo del tutto naturale. Successivamente ci siamo chiesti se inserirle o no… -che cosa succede se le mettiamo?- …-Sicuramente i fan andranno fuori di testa fra insulti e simili e allora…beh, ottimo, è il caso di inserirle!- [risate]

Se solo iniziamo a pensare di non inserire nel disco una canzone perché agli altri può non piacere allora addio! Sappiamo bene che riceveremo critiche ma non ci interessa. Non è una mancanza di rispetto nei confronti di chi ci segue. Chiediamo comprensione: dobbiamo restare noi stessi, non suonare per qualcuno. Ecco, “What left on me” ha chitarre molto poco distorte, più rock. A noi piace molto per questa sua caratteristica e ad altri non piacerà ma amen! Facciamo autenticamente quello che sentiamo.

Non credo sia poco. Il salto creativo è stato coraggioso. “Those days” ne è prova riuscita. Certo c’era il rischio per voi stessi di smarrirsi…(io ad esempio mi sono smarrito e scrivere della vostra musica è stato più difficile del solito!) Vuoi raccontarci come è nato il feeling di questi brani?

È tutto molto relativo. “What left on me” nacque come canzone acustica, simile a “Miss conception” per intenderci. Era semplice per questo motivo, così l’abbiamo voluta trasformare e nel farlo è venuta fuori la sua carica hard rock ma non ci ha spaventato. Anche “Those days” ha quell’appeal particolare. Si parla di quando sei costretto a fermarti a pensare e torni a quei giorni in cui credevi nella totale felicità della gioventù: non c’erano vere preoccupazioni e responsabilità e tutto era più libero e semplice. Quando poi arrivano tutte le problematiche che devi affrontare rispetto alla innocenza di quegli anni, ci si chiede se soltanto quello sia stato un periodo felice o se ci sia una sfumatura diversa di felicità in ogni fase della vita.

La chiave di lettura sta nella mobilità del proprio punto di vista, della capacità di ascolto…

Per questo anche non vogliamo entrare a far parte di una determinata scena o essere paragonati a gruppi che con semplice spettacolo scenico e testi a tema unico propongono sempre lo stesso show.

Per esempio ci han paragonato ai Korpiklaani quando non abbiamo mai scritto testi vicini alle loro tematiche. Con tutto il grande rispetto che portiamo verso questo tipo di scelte, noi semplicemente siamo diversi. Vorrei capiste che non dobbiamo essere facilmente paragonati, per la sostanza del messaggio di fondo che teniamo a trasmettere.

Allibisco. Così si appiattiscono i gruppi sulla facilità di paragoni superficiali proprio quando si lamenta una generale, soverchiante perdita di personalità.

Proprio ieri in Germania ci han paragonato ai Rhapsody eppure non abbiamo mai scritto un disco fantasy. Forse dipende dalla superficialità dell’ascolto…

Come per “Hastings 1066” dei Thy Majestie. Disco fenomenale paragonato più volte, secondo me a torto, alla musica dei Rhapsody…li conosci?

Ho il primo loro, li conosco ma questo manca…

Ascoltalo! Terza novità di Red silent tides: la voce di Damnagoras. Riflette un’altra scelta rilevante e vincente: un cantato completamente in pulito. Perché avete eliminato growl e screaming?

Tutte le scelte artistiche avvengono in fase compositiva. Se scrivo un pezzo con il growl viene eseguito così ma se ne discute comunque. Ognuno ha la possibilità di dire la sua sulla parte di ogni strumento. C’è lavoro di squadra in fase di arrangiamento. Scritta di getto la canzone, si pensa in un secondo momento. Durante i lavori su Red silent tides non ci è mai passata per la testa la soluzione del growl e solo alla fine di ogni pezzo ci rendevamo conto che mancava. Ce ne siamo accorti alla fine perché come sempre scriviamo d’istinto. Abbiamo dato ascolto a quei sentimenti, di cui ti ho parlato ed in questo tipo di testi, non c’è “naturalmente” stato spazio per una simile sottolineatura vocale. Facciamo quello che serve in funzione della canzone, non nell’ottica di un ben definito target di gusti. Certo la domanda ce la poniamo: -Manca questo…qualcuno là fuori si chiederà il perché-, non vogliamo però sottoporci a questo genere di interrogativi. Se nel disco non c’è necessità di determinate soluzioni è perché accade spontaneamente. E poi growl…13 anni fa era innovativo e aveva ancora freschezza, oggi ha perso quell’effetto di novità ma se capiterà in futuro che un nostro brano lo richieda, non esiteremo ad inserirlo.

Insomma Aydan, non si tratta di creare un trademark…

Forse siamo stupidi noi. Se avessimo un’impostazione aziendale nata per vendere sicuramente ci siederemmo al tavolo e discuteremmo cosa inserire, cosa togliere.

Un bel briefing aziendale…

Non siamo proprio in grado di farli questi discorsi. Crediamo ancora che seguendo noi stessi ci sia gente che abbia volontà di capire. Anche sbagliando! Certo, potevamo costruire tutto alla perfezione ma non è qui che ha ragion d’essere il nostro suonare. Sono fiero di questa atipicità e mi piace che ci sia gente che lo apprezzi. Sono sicuro che per ogni album che esce perdiamo metà dei fan ma recuperiamo poi con quelli che comprendono…che capiscono davvero come intendiamo la musica.

Di mio sono “stupido” come voi ma è indubbia la necessità di riconoscimenti d’altra natura…meritati del resto…

Per continuare a fare musica e portarla avanti serve anche il riconoscimento economico. È impensabile andare in Russia o in Israele solo con la dedizione e con il cuore. Serve anche il riscontro economico che per noi al momento non c’è. Reinvestiamo tutto nel gruppo e lo facciamo comunque con la passione. Chi critica magari potrebbero anche non pensarlo…

Torniamo alla voce di Damna, notevolmente maturata anche solo rispetto a The Scythe.

E’ stato interessante udirla in presa diretta nella seconda parte del vostro studio report. Versatile, è veramente un elemento caratteristico del vostro sound…

In questo disco la sua performance è superiore. Tutte le linee vocali sono di alto livello. La presenza di un professionista come Dennis Ward in cabina di regia ci ha aiutato tanto nella produzione generale, quanto nello specifico della voce. Dennis ha seguito tutta la registrazione e ha dato la sua impronta. Inconfondibilmente. Credo che si senta. Damna poi anche dal vivo si è migliorato molto. È un po’ che non ci vedi live ma ce ne sono state di prove e quest’ultimo disco dimostra quanto la sua voce sia maturata. Ora ci aspettano venti date di fila, vediamo come va, la voce come sai, non è uno strumento qualunque…basta un colpo di freddo…

Una maturità all’altezza dell’importanza che date alla voce in fase di arrangiamento…

Fulcro di tutto è scrivere sulla voce. La voce viene dapprincipio. E tutti questi movimenti, in crescendo, in calando, gli affievolimenti, le riprese di intensità sono l’ossatura della canzone, la accompagnano sottolineando fin dapprincipio il nesso fondamentale: concetto-emozione-sensazione finale che sentiamo di esprimere. Quando leggerai i testi con le canzoni ti tornerà un significato più marcato. Noterai come la voce varia sul significato. Spero davvero che con i testi sott’occhio la musica risalti in modo più profondo. Con i testi capisci perché in un punto trovi una determinata sfumatura, perché in un altro momento c’è una strofa più incalzante.

Questo ci interessa: essere stati in grado di dare questa sfumatura importante.

Per chi ha la decenza di comprare ancora…

Magari fra me e te facciamo disquisizioni e approfondimenti mentre si parla di un disco che scarichi e ascolti una volta soltanto. Tutto questo mi fa sorridere ma questa è la realtà.

Sebbene la voce di Damna non ne faccia rimpiangere l’assenza, devo chiederti perché avete scelto di abbandonare le voci femminili. Penso alla voce stupenda di Laura de Luca sui brani lunghi di The Scythe…

È lo stesso discorso di poco fa. Non ne abbiamo avuto la necessità. Nelle canzoni di questo disco, a ripensarci, anche adesso non troverei spazio per una voce femminile come quella di Laura. Probabilmente perché non le abbiamo composte dall’inizio con questa urgenza. Se in futuro ne avremo ancora bisogno ricorreremo alle voci femminili ma attualmente Damna è così completo che non serve qualcosa di diverso. Molti sono legati a questo aspetto del nostro sound e io ti dico: nel futuro non escludiamo alcuna possibilità.

Come per il brano lungo…

Esatto, è lo stesso discorso: è nostra consuetudine farlo e molti se lo aspettavano a conclusione del disco. Sinceramente io il disco, questo disco, lo sento perfetto così. Gli altri dischi li sento prolissi in alcuni passaggi. Questo è completo così. Si tratta di esigenze artistiche…perché auto-obbligarci a buttar giù un brano lungo sapendo che in questo modo non verrebbe bene? Quel che ti dicevo riguardo agli Blind Guardian vale anche per noi. Un gruppo deve restare fedele a quel che fa. Si tratta di qualità…

Infatti Red Silent Tides propone pezzi nella media dei 5 minuti. Questo da una parte denota anche maturità compositiva.

Questo viaggio è durato dieci anni. Sono sempre stato affascinato da chi condensava una grande canzone in pochi minuti. Il nostro minutaggio è andato via via riducendosi nel tempo. Noterai ad esempio nel demo tutte canzoni da 6 minuti. Spesso giovani band han sempre minutaggi lunghi. Con più spazio fai più cambi e riesci a dare l’impressione che cambiando le atmosfere tutto sia più interessante. Noi abbiamo invece sempre cercato di condensare, facendo in modo che i brani che andassero dritti al punto perché è la melodia di fondo a dover essere vincente. Questa è maturità che cercavamo da tempo. Non significa che d’ora in poi dovremo sempre attenerci alla regola dei 4 minuti ma è per noi un risultato importante aver raggiunto una forma canzone soddisfacente con questa brevità.

Si tratta di acquisire padronanza sul lungo così come sul breve minutaggio. Credi che per voi si tratti di procedere “per levare” sul vostro sound o semplicemente di riequilibrarlo?

Tutti e due. È un processo di calibratura. Dovevamo riequilibraci con le chitarre. Correvamo il rischio di perdere il violino invece se fai attenzione ti accorgi che lavora ancora alla grande. Dando troppo spazio a tutto senza un minimo di equilibrio, si sfora invano nei minuti e si allunga la struttura della canzone. Il brano si perde. Se equilibri invece, sacrifichi qualcosa ma tieni la tua forma canzone. Non possiamo fare 4 solos di chitarra e 2 di violino, personalmente lo troverei noioso. Ecco allora che entra in gioco l’equilibro.

Aydan, due anni fa avevi ribadito quanto fosse importante per gli Elvenking non limitarsi a riproporre continuamente gli stereotipi del folk. Più di recente ho letto una dichiarazione in cui affermi che questo disco è per chi ha ancora voglia di sognare.

Credo che per te siano parti di uno stesso discorso e che qui Aydan il chitarrista ed Aydan “il sognatore”, si incontrino.

Se per te non è troppo personale, vorrei che me e parlassi in relazione ai contenuti testuali di questo disco. Non è una domanda. Non c’è una direzione precisa. Si tratta di parlare per sensazione.

Spesso anche fra noi, quando si vuole comunicare il feeling di una canzone, ci si mantiene nella vaghezza delle sensazioni piuttosto che nella precisione di una spiegazione. Questo accade già fra noi…ecco allora che un disco è riuscito nella misura in cui riesce a trasmettersi in questo modo: sognando in relazione alla musica, si trova nella realtà l’energia per uscire dai momenti più difficili. Questo vorremmo che l’ascoltatore sentisse. L’album è personale. Personalissimo, in quest’ottica. Se qualcuno sintonizza l’ascolto sulla scia di questo sogno noi siamo soddisfatti.

Se per dirti, dal Brasile ci scrivono che con la l’energia della nostra musica è stato possibile venir via da un momento durissimo, per noi è gioia pura. Ok, devo fare 2000 km senza guadagnarci nulla? Se è per questo lo facciamo con piacere.

Ed ora pensiamo un pò ai live; come sta andando in Italia e all’estero, come vi prefigurate l’anno alle porte?

All’estero sta andando alla grande e il disco promette bene perché abbiamo già dei primi riscontri molto positivi. Addirittura Rock Hard tedesca ha valutato con un 8 Red silent tides mentre ai dischi precedenti ha sempre dato 5 o 6 [allibisco]. In Italia va meglio, a Bologna per il concerto di Rock Hard suoneremo alle 13, è un’oraccia ma va bene. Nel tour entrante con i Primal Fear qui in Italia suoniamo da co-headliner ma è un ruolo che all’estero spetta ai Kissing Dynamite, molto poco conosciuti qui ma amatissimi ad esempio in Germania.

Avete altre proposte? che mi dici del Sud d’Italia?

Abbiamo contatti per suonare in Israele a gennaio, ma al momento non c’è nulla di definito. Quanto al Sud, la reazione del pubblico è stata sempre buona. In primavera abbiamo suonato nel casertano e a Napoli con soddisfazione. Anche a Roma c’è una buona risposta. Per quella data al Blackout verremo direttamente su da Bari.