Progressive

Intervista Dream Theater (Jordan Rudess)

Di Davide Sciaky - 22 Ottobre 2021 - 9:00
Intervista Dream Theater (Jordan Rudess)

Intervista a cura di Davide Sciaky 

Ciao Jordan, come stai?

Sto bene, grazie, va tutto bene.

 

La prima cosa che ti voglio chiedere è su quest’ultimo anno e mezzo, la pandemia, un periodo difficile, strano, qualcosa di senza precedenti nella nostra vita. In che modo la pandemia vi ha influenzati come band, e non intendo solo il nuovo album, in generale i rapporti tra voi e tutto quello che riguarda i Dream Theater?

Questo periodo è stato sicuramente sfidante per chiunque.
La cosa fantastica è che anche in questo periodo siamo riusciti ad andare in studio e a realizzare un album. Non è stato facile a causa della situazione, a causa delle diverse opinioni di tutti su quello che stava succedendo, ma ce l’abbiamo fatta.
Una volta entrati in studio ci siamo sentiti subito ispirati a metterci al lavoro, a creare nuova musica.
Credo che il COVID-19 abbia creato una situazione dove c’è semplicemente un sacco di musica che la gente può ascoltare, perché le band non possono andare in tour, e anche noi abbiamo avuto l’opportunità di registrare molto.
Come probabilmente saprai abbiamo dovuto rimandare il nostro tour nordamericano, quello è stato un peccato e una decisione non semplice da prendere.
La pandemia sicuramente ha messo in difficoltà l’organizzazione della band.

 

Parlando del nuovo album, “A View From the Top of the World” è il vostro quindicesimo album, un numero di dischi che poche band possono vantare. Dopo così tanti album, quanto è difficile, o facile, scrivere nuova musica che vi soddisfi? Perché ovviamente non si tratta solo di scrivere musica che funzioni, ma di scrivere musica di cui siate soddisfatti e che vi sentiate di pubblicare con il vostro nome.

Certo, hai ragione.
È sempre difficile, penso, quando inizi un nuovo progetto immaginare dove possa arrivare. Hai questa sensazione, “L’ho fatto prima ma… posso farlo di nuovo?”.
La cosa con noi è che quando entriamo in studio e cominciamo a lavorare… le cose semplicemente succedono! Questo è quello che siamo [ride] parliamo la lingua della musica: entriamo nello studio e lavoriamo su idee individuali, ma poi ci ispiriamo l’un l’altro.
Penso che sia molto bello, magari Mike Mangini comincia a suonare un pattern e io mi dico, “Oh mio dio, questo mi fa pensare a questa cosa!” e suono qualcosa, poi magari entra John Petrucci a suonarci sopra. Tante volte basta poco per dare il via ad una conversazione musicale tra di noi.
Da quel punto di vista devo dire che non siamo mai a corto di idee o di ispirazione, e ci esaltiamo perché ci piace quello che facciamo e una volta iniziato il processo in meno che non si dica siamo in mezzo alle registrazioni e all’organizzazione classica dei Dream Theater.

Com’è il processo di controllo della qualità in casa Dream Theater? Voglio dire, considerate solo l’opinione di voi cinque o ci sono altre persone che vi danno feedback e vi aiutano a decidere come muovervi con un album?

Ci affidiamo principalmente all’opinione di noi cinque, e a volte c’è poi un giudizio finale di John Petrucci, perché ha fatto da produttore.
Lui è bravo a lasciare a tutti lo spazio perché ognuno faccia le proprie cose, ma a volte dà anche indicazioni per portare una canzone in una direzione più coesa che pensa possa funzionare bene.
Sicuramente aiuta avere qualcuno che sia incaricato di mantenere le cose nella giusta forma, che abbia un’idea della visione d’insieme.

 

Avevate qualche obiettivo specifico con questo album, tipo scrivere un album più pesante, o provare nuovi suoni, o nuove soluzioni musicali, o cose del genere?

Volevamo un album un po’ più aperto, senza darci troppi limiti.
Con l’album precedente, “Distance Over Time”, volevamo un album un po’ più limato, con delle canzoni più brevi e dritte al punto. Con questo volevamo concederci più respiro per fare assolutamente tutto quello che volevamo.
Per questo ci sono canzoni più lunghe, puoi anche sentire riff più lunghi, degli scambi estesi tra me e John Petrucci; ci siamo concessi più libertà per far respirare meglio le canzoni.
Poi ci siamo anche sentiti ispirati dal fatto che avevamo appena portato in tour tutto “Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory”, quindi ripensando a quei tempi, a quello che avevamo fatto con quel disco, e vedendo la risposta del pubblico, abbiamo cercato di catturare un po’ di quell’energia in questo album.
Questo è più o meno quello che pensavamo quando ci siamo messi al lavoro.

 

Discutete apertamente ad alta voce di queste cose, vi dite, “Voglio un album che sia così, così e così”, o è semplicemente il modo in cui si sono sviluppate le cose?

No, discutiamo di queste cose, sicuramente, prima di metterci al lavoro lo facciamo sempre.
In ogni album lo facciamo in modo diverso, ma è noto che abbiamo una grossa lavagna dove ci segniamo tutte le idee, un po’ come a scuola! [Ride]
Ai vecchi tempi ci segnavamo addirittura che influenze volevamo sull’album, da quali dischi volevamo prendere ispirazione. Siamo una band che è molto consapevole di sé stessa; facciamo piani, dei concept e solo dopo ci mettiamo al lavoro sulla musica.

Una cosa che mi ha colpito subito la prima volta che ho ascoltato il disco è la batteria di Mike Mangini, molto interessante e godibile. C’è stato qualcosa di diverso con lui, gli avete chiesto di suonare in modo particolare o, di nuovo, è come si sono naturalmente sviluppate le canzoni?

Penso che dal punto di vista sonoro, negli anni abbiamo provato cose diverse con i suoni della batteria. Mike è stato sicuramente strumentale allo sviluppo del sound della batteria fino a giungere a quello che è oggi; lui e il nostro fantastico, giovane e incredibilmente talentuoso ingegnere del suono Jimmy T [James Meslin] che ha fatto un lavoro meraviglioso nel registrare la batteria.
Personalmente penso che la batteria non abbia mai suonato così bene.
Per quanto riguarda il contenuto di quello che ha suonato Mike, penso che lui ora si senta un po’ più libero di suonare come vuole in studio, ci ha presentato molte delle sue idee ritmiche e quindi abbiamo, non saprei come dirlo diversamente, lasciato libero lo spirito di Mangini [ride].
E’ come se gli avessimo detto, “Suona qualcosa di figo e faremo in modo di usarlo”, abbiamo usato le sue idee ritmiche come base per molte canzoni ed è fantastico perché è qualcosa che fa molto bene.

 

Essendo in lockdown sicuramente avete avuto molto più tempo a disposizione per lavorare all’album di quanto avete normalmente nelle pause tra i tour. Avete cambiato in alcun modo il processo di registrazione o di scrittura rispetto al passato?

Abbiamo registrato l’album nel nostro quartiere generale e questo è stato molto figo.
Quando sei nel tuo spazio non hai limiti di tempo, puoi semplicemente lasciare che le cose si sviluppino nel tempo necessario senza che nessuno ti butti fuori dallo studio.
Questo tipo di esperienza ci ha permesso di gestire diversamente tutto il processo di creazione dell’album.
Personalmente, un’altra cosa che ho fatto diversamente è che ho portato le mie tastiere nella control room e io e Jimmy T abbiamo giocato molto con il sound, ci siamo presi il nostro tempo per ottenere i suoni migliori possibili: avevo i miei strumenti vintage, il mio Minimoog, dei software all’avanguardia per fare i suoni orchestrali…
E’ stata il tipo di esperienza in cui ti prendi il tuo tempo per fare tutto davvero bene, e penso che si senta nel prodotto finale.

 

Parlando delle canzoni, ce n’è qualcuna per cui hai un attaccamento maggiore, o che ha un significato particolare per te?

Mentre creavo l’album con i ragazzi ogni giorno sentivo attaccamento per una canzone diversa [ride]. Mi alterno perché con questo album non riesco a decidermi su una canzone preferita.
Ma devi dirti che sono molto fiero della title-track, una canzone davvero epica, per molti motivi: uno di questi è che ho potuto usare dei suoni davvero fantastici di orchestra con il software che ti accennavo. Dal mio punto di vista, poi, la cosa è che nella parte centrale della canzone ho suonato un’app chiamata GeoShred, un’applicazione sviluppata dalla mia compagnia Wizdom Music. È una delle nostre applicazioni e si usa sull’iPad.
Il suono di violoncello che puoi sentire nel mezzo della canzone sono io che uso quell’app su un’iPad; quindi, è stato davvero divertente poter usare quello strumento e permettergli di parlare, per così dire, nella title-track.

 

Quindi è la prima volta che usi una tua app nello studio? Perché mi ricordo che l’ultima volta che abbiamo parlato abbiamo discusso proprio di come tu avessi già introdotto l’iPad nei vostri concerti.

No, avevo già usato nel passato le mie app nello studio, ma questa è la prima volta che… sai, abbiamo recentemente fatto un grosso update per introdurre i suoni orchestrali, questa è una cosa nuova, quindi non avevo mai usato prima questa possibilità dell’app in studio.
Quindi ora l’ho usata qui, e quando andremo in tour ho in programma di usarla anche nei concerti.

 

Ecco, parlando di concerti ti volevo chiedere: quando scrivete nuova musica pensate anche a come portare sul palco le nuove canzoni, o è qualcosa a cui pensate solo in un secondo momento?

Il mondo delle tastiere è un interessante perché puoi suonare tutti questi suoni diversi, tante volte faccio suoni orchestrali, cose che sembrano effetti speciali, piano, organo, tante cose diverse.
Quindi, riuscire a tradurre tutto ciò nella dimensione live può essere una sfida, perché quello che succede se hai un piano, degli archi, un corno o altro ancora, è che può essere difficile fare tutto questo dal vivo.
Parte del mio lavoro è riuscire ad ottenere esattamente i suoni che voglio in studio, e il passo successivo è capire come portare questi suoni sul palco.
E’ qualcosa di cui sono consapevole mentre sono i studio, registro tracce su tracce ed intanto penso, “Come diamine farò a suonare queste cose dal vivo?!”. Sono felice di poter dire che [in passato] ho avuto successo nel portare molto di quello che ho registrato in studio sui palchi, dal vivo.
Quello che non mi piace è avere tracce preregistrate, voglio mettere le mani sulle tastiere e poter suonare davvero tutto quello che il pubblico sente.

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