Report: Deep Purple live ad Acireale (CT)

Di - 12 Marzo 2007 - 19:11
Report: Deep Purple live ad Acireale (CT)

Deep Purple – 10 Marzo 2007 – Palasport – Acireale (CT)

Report a cura di Giuliano Latina

Quando la Leggenda bussa alla nostra porta, chiedendo ospitalità per riposarsi un po’ e, successivamente, riprendere il suo lungo e glorioso cammino, a noi mortali si presentano due possibilità: la prima è non aprirle, continuando nei nostri soliti, limitati, miseri affarucci quotidiani; la seconda è farla accomodare, facendola sentire a proprio agio, con ospitalità e riguardo. Nel caso di cui ci apprestiamo a raccontare, cioè la prima volta dei Deep Purple in Sicilia (o, meglio, la seconda, dato che la prima è stata quella del giorno precedente, a Palermo), alcune persone, purtroppo, hanno scelto la prima strada, non recandosi al concerto, adducendo motivi vergognosi, come il fatto che in futuro ci saranno serate più importanti (più di questa?) o più vicine al loro stile musicale preferito (ancora sterili divisioni!), per non parlare di chi ritiene i Deep Purple troppo leggeri, vecchi, superati (pura blasfemia!), ecc. E’ veramente un peccato che ci sia gente che in Sicilia, da sempre terra affamata di rock, continua a ragionare in tal modo, comunque non ci si può lamentare, visto che coloro i quali hanno seguito la seconda via sono certamente la maggioranza, dato che il Palasport di Acireale (CT) è gremito in ogni ordine di posti, compresi i gradini di accesso agli spalti.

Senza voler esagerare, sono presenti oltre 6000 persone, tra cui parecchi ultracinquantenni, qualche bambino portato dai genitori ed altri seguaci di età intermedia, tra cui, naturalmente, un cospicuo numero di defenders accorsi da tutta la Sicilia orientale. L’attesa è enorme da mesi, tanto che molti hanno da tempo comprato il biglietto in prevendita, per maggior sicurezza: la fila ai cancelli si fa numerosa, ma ordinata, fin dalle prime ore del pomeriggio. La serata si prospetta epica, dato che attendiamo l’apertura, prevista per le 18.30, sotto una pioggia insistente, che sferza la Sicilia da tre giorni, illusa di poter bastare, da sola, a fermare i veri defenders.

Alle 20.30 è salito sul palco il gruppo spalla, i catanesi Volver, artefici di un pop-rock senz’altro valido dal punto di vista strumentale, ma assolutamente fuori luogo in ambito hard rock. Infatti, a parte gli applausi, normali per chi gioca in casa ed ha l’appoggio dei propri fan, il commento più generoso è stato: “Andate a Castrocaro!” (evitiamo di riportare insulti e bestemmie di vario genere). In ogni caso, per puro servizio di cronaca, è giusto riportare che i Volver hanno suonato per mezz’ora: sei brani in italiano, pieni di effetti computerizzati, spesso tendenti a ritmi disco, anche se qui e lì hanno fatto capolino alcuni elementi, come il wha-wha, o qualche assolo, che hanno reso il tutto più sopportabile. Ricordiamo, in particolare, il singolo “Parlami”, con spruzzi di funky, “Ossessione”, molto orecchiabile, insieme ad altri pezzi dal sapore sanremese (detto senza alcun disprezzo, ma soltanto con obiettività). Un prodotto piuttosto commerciale, insomma, lontano anni luce dall’ottica dei metallari, ma supponiamo che anche chi segue semplicemente il rock abbia avuto da ridire sulla scelta del gruppo spalla. Limitandoci alla Sicilia, non sarebbero stati più appropriati i Fiaba, già supporter in passato di una data di Fish (ex Marillion)?

Lasciando da parte le scelte stilistiche, probabilmente da ricondurre ad accordi manageriali locali, passiamo a raccontare ciò che ci interessa di più, cioè la comparsa dei Deep Purple, intorno alle 21.30. Si comincia con “Pictures of Home”, brano storico, ma, a nostro parere, poco azzeccato come apertura, dato che iniziare con “Highway Star”, come avviene di solito, avrebbe infiammato di più gli animi. Comunque sia, spetta ai musicisti fare le scelte: noi ci limitiamo a raccontare che “Pictures of Home” è proposta in medley con la nuova “Things I Never Said”, che scorre veloce, con le tipiche sfide tra strumenti, tra cui il tamburello di Ian Gillan, che sarà utilizzato dal cantante anche in altri pezzi. Segue “The Battle Rages On”, dall’album omonimo, ultimo arricchito dalla presenza di Blackmore; l’assenza del “Man in black” rimane una grave perdita, ma Steve Morse riesce a renderla sopportabile (impresa non facile), rendendo la canzone una perla rara, tramite il riff insolitamente darkeggiante. Naturalmente, i Purple sanno infiammare la platea: ne abbiamo un esempio quando parte “Strange Kind of Woman”, travolgente, con i duetti voce – chitarra che, se da un lato, per ovvi limiti fisici, non sono quelli degli anni ’70, sono comunque pieni di passione, tanto che sul palco vola uno striscione, gettato dal pubblico in delirio. Al termine Ian Gillan ci grida che siamo “fantastic”, “superb”, “unbelievable”: vorremmo vedere, dopo quarant’anni di attesa!
Il clima si fa più tranquillo con la nuova, arabeggiante “Rapture of the Deep”, che dà il titolo al nuovo album: un mid-tempo raffinato, con vari cambi di ritmo. Il pubblico ritorna ad incendiarsi con la mitica “Fireball”: il solo pensare che il brano è del 1971, ma suona quasi heavy metal, la dice lunga sull’innovazione che i Deep Purple portarono al rock e sul debito che tutti i defenders dobbiamo loro; non a caso, al termine della canzone, una parte dei presenti si alza ad applaudire i Maestri. Si continua con la nuova “Wrong Man”, dura, ma ricca di effetti, compreso un gran finale, seguita dall’esibizione solista di Steve Morse: lo strumentale “The Well Dressed Guitar” è magnifico, tanto che anche Gillan invita tutti ad applaudire il collega. Commovente è l’esecuzione di “When a Blind Man Cries”, lento blues del 1972, pezzo d’arte che ha, ancora oggi, tanto da insegnare a gente che si spaccia per musicista blues, anche in Italia. Si prosegue con “Lazy”, della stessa annata, frizzante, aperta dalle tastiere di Don Airey, già da qualche anno degno sostituto di Jon Lord (impresa titanica per chiunque altro), e con la nuova “Kiss Tomorrow Goodbye”, molto energica. Un altro spazio solista è riservato a Don Airey, che inizia la performance con un suono di organo, per procedere poi con pezzi di pianoforte e di honky, con la canzone popolare siciliana “Ciuri Ciuri” ed infine con effetti spaziali.
Tutto ciò è l’originale introduzione per “Perfect Strangers”, unico brano proposto risalente alla produzione degli anni ’80, che avanza maestoso, con favolosi effetti di luci; alla fine, Gillan ci grida che siamo “lovely”. Se all’inizio ci potevano sembrare convenevoli di circostanza, aggettivi che il cantante ripete in ogni città dove si esibisce, la frase “You are my friends” non è certo roba da poco e provoca i brividi, dato che è evidente che la band si sta trovando davanti un pubblico innamorato, fedele, che, probabilmente, non incontra così spesso, neanche nella loro patria.
Si conclude ancora con il 1972, precisamente con “Space Truckin’”, resa più lenta della versione originale, ma ugualmente incalzante ed arricchita da una immensa prestazione di Ian Paice, seguita dall’attesissima “Highway Star”, con intro blues, più lunga del solito, che si conclude con una standing ovation. Lo stesso tributo si verifica con una particolare versione di “Smoke on the Water”, aperta da Morse con la celeberrima “More Than a Feeling” dei Boston: il coinvolgimento dei fan è intenso, tanto da terminare con un lungo applauso, nuovamente in piedi.
Quanto abbiamo finora visto varrebbe da solo il prezzo del biglietto ed anche oltre, ma, dopo una breve pausa, richiesti a gran voce, i Deep Purple tornano sul palco, devastando l’auditorio con una lunga, spettacolare versione di “Hush” e soprattutto con “Black Night”: grandiosa nella sua semplicità, impreziosita dall’assolo fulminante di Roger Glover al basso e da un prolungamento di durata, dovuto a Steve Morse, che rende heavy metal ciò che heavy metal non era e gioca con il pubblico, creando dei duetti voce – chitarra, ben riusciti, anche se non ci permettiamo nemmeno lontanamente di accostarci a quelli che riuscivano (e riescono ancora oggi, anche se in maniera differente) a creare la voce e la chitarra della band.

Si chiude intorno alle 23.30, dopo due ore di grande hard rock; torniamo a casa, dopo aver trascorso oltre un’ora imbottigliati dentro una lunghissima coda per uscire dalla zona del Palasport, ma la soddisfazione rende il tutto tollerabile. Sulla band non c’è da aggiungere molto, tranne il ricordare la loro professionalità e la loro eccellenza come strumentisti, che, anche con l’avanzare dell’età, rimane di primissimo piano. Ringraziamo Barley Arts e Giuseppe Rapisarda Management per l’ottima organizzazione (con il piccolo appunto del gruppo spalla, assolutamente inadatto all’occasione, pur tecnicamente decente) e Polizia di Stato e Vigili del Fuoco per l’efficiente servizio d’ordine. Ricordiamo, infine, il fantastico pubblico che, a parte la defezione di qualche elemento di bassa lega, ha partecipato in massa, dimostrando, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la Sicilia reclama a gran voce i concerti hard rock ed heavy metal che da sempre le sono stati negati, a causa di una sfavorevole posizione geografica, di una classe dirigente che ha sempre fatto da ostacolo, promuovendo l’arretratezza musicale e sociale della Sicilia, anziché il suo progresso, nonché di “organizzatori” competenti solo di denaro e non di qualità, al servizio della classe dirigente di cui sopra.