Report: Nightwish, Milano – Palalido 02/03/2008

Di - 6 Marzo 2008 - 11:18
Report: Nightwish, Milano – Palalido 02/03/2008

Servizio a cura di Gaetano Loffredo

Al Palalido, riempito da fan assiepati davanti ai cancelli fin dalle prime ore del mattino, l’atmosfera è quella delle grandi occasioni: dopo oltre due anni e mezzo dall’ultima data nel nostro paese, dopo le vicende che hanno visto il plateale licenziamento della storica cantante Tarja Turunen, il clamore suscitato dai media, la lunga ricerca di una nuova front-woman, l’alone di mistero sull’identità della prescelta che ha tenuto con il fiato sospeso i fan di tutto il mondo per mesi, l’uscita a settembre 2007 di un attesissimo album e dopo l’inizio di un tour mondiale fittissimo di tappe, è giunto il tempo della inevitabile prova del nove.

Li attendevamo al varco, soprattutto per testare le capacità on stage della nuova beniamina del pubblico: Anette Olzon.
La cantante svedese se l’è cavata piuttosto bene durante le registrazioni dell’ultimo maestoso Dark Passion Play, album che mi ha addirittura riavvicinato a quel “Il Pozzo e il Pendolo” di un Edgar Allan Poe mai così tremendamente attuale, e tutto ciò grazie alla mente “diabolica” che risponde al nome di Tuomas Holopainen, leader indiscusso di una delle formazioni scandinave più importanti di sempre: i Nightwish.

La location prescelta è al centro della solita Milano, caotica e trafficata come non mai, tanto disordinata da costringermi a raggiungere il Palalido con una buona oretta di ritardo: giusto il tempo per perdermi i Pain, il gruppo spalla sulla cui prestazione ho raccolto diverse opinioni contrastanti. Spiace non essere in grado di commentare lo show di Peter Tägtgren & Soci, mancanza alla quale sopperiremo quanto prima, è una promessa.
Dicevamo: domenica piena di concerti in quel di Milano, dal Palalido dei Nightwish all’Alcatraz dell’Italian Gods Of Metal, passando per il Palasharp dei Cure, esaurito in ogni ordine di posto. Ho optato per il primo dei tre eventi, andiamo a scoprire se ne è davvero valsa la pena.

Davanti a migliaia di fan con gli occhi puntati sul palco, pronti a cogliere il primissimo istante dell’entrata in scena della band e a tributarle una calorosa accoglienza, il concerto si apre con l’esplosiva Bye Bye Beautiful, uno dei singoli del nuovo album che richiama le sonorità di Wish I Had An Angel di Once ed offre al pubblico l’occasione perfetta per liberare il proprio entusiasmo. Il bassista Marco Hietala è subito protagonista, anche come cantante visto il duetto con Anette, che si dimostra subito sicura solare e sorridente nei confronti di un pubblico che le dimostrar un affetto quasi sorprendente (presente sugli spalti anche uno striscione tutto a suo favore).
A seguire, un’iniezione di adrenalina con Dark Chest of Wonders, opening track dell’album precedente, brano con il quale Anette sfoggia la propria personale interpretazione, completamente diversa dallo stile “classicheggiante” di Tarja ma altrettanto potente ed efficace sulle note più acute.
I fuochi d’artificio solitamente previsti come coreografia sui primi due pezzi questa volta non ci sono… colpa delle ristrette dimensioni del palco? In ogni caso non mancano efficaci giochi di luce che colorano a dovere l’atmosfera.
Si continua con Whoever Brings the Night, l’unico pezzo di Dark Passion Play la cui musica è stata composta interamente dal chitarrista Emppu Vuorinen (canzone che non sono ancora riuscito ad apprezzare), a proposito di Emppu: tarantolato.
I ritmi movimentati dei primi tre brani cedono il passo all’acclamata Ever Dream, uno dei pezzi storici dei Nightwish di Tarja e forse uno di quelli che più dividono l’opinione del pubblico a causa della discutibile interpretazione di Anette. Le luci si abbassano, illuminando solo Tuomas Holopainen e Anette che intona la dolcissima intro. La grande attenzione del pubblico ansioso di sentire una delle loro melodie preferite re-interpretata dalla nuova cantante è palpabile.
Il pezzo successivo riporta ancora una volta a Once: The Siren è forse una scelta inaspettata nella scaletta ma che si rivela efficace, così come l’interpretazione di Anette che dimostra di saper tenere testa al glorioso passato della band rivisitandolo, perlomeno, con personalità e coraggio.
Non poteva mancare il secondo singolo del nuovo album e forse il pezzo più orecchiabile e ricordato da tutti, Amaranth, eseguito con disinvoltura dalla “svedesina” che trascina un pubblico visibilmente entusiasta. A proposito di Anette, ma tutte quelle scenette e quei movimenti un po’ goffi sul palco sono proprio necessari?

Nuovo cambio di atmosfera con il pezzo acustico The Islander, ballata scritta e interpretata da Marco che imbraccia una chitarra acustica e, con la voce che sa trasformare i toni più aggressivi in note calde e morbide, regala ai presenti un momento di grande suggestione.
Spazio ora al capolavoro di Dark Passion Play, l’imponente opening track The Poet and the Pendulum, una suite di oltre 14 minuti che viene riproposta integralmente e che ha il potere di affascinare tutti dal primo all’ultimo secondo, consacrando la genialità del suo compositore.
Di nuovo un tuffo nel passato con Sacrament of Wilderness che ci riporta addirittura all’album Oceanborn, giunto ormai al suo decimo compleanno, prima del ritorno al presente con l’esotica Sahara, seguita da un richiestissimo classico di Once, il singolo Nemo. E l’emozione è ingigantita dalla suggestiva coreografia di fiocchi bianchi che scendono lentamente su tutta la platea, come una grande nevicata, a richiamare l’ambientazione creata per il video.
E’ proprio con Nemo che Tuomas annuncia la conclusione del concerto scomparendo dietro le quinte… potevano mancare i bis? La band riappare sul palco sulle note di un altro pezzo forte del nuovo album, la splendida 7 Days to the Wolves, che con i suoi 7 minuti abbondanti e la sua carica di energia vale per due. In arrivo un altro grande classico del passato, la storica Wishmaster, accolta con un boato e un coro, soprattutto sui versi iniziali. Il concerto si chiude con un altro brano entrato nel cuore dei fan per la sua energia, Wish I had an Angel dall’album Once, sulla quale la gente balla e si scatena sotto una pioggia di coriandoli bianchi e neri resa ancora più seducente dalla luce colorata dei riflettori. E sull’ovazione finale, dopo un’ora e mezza di concerto, la band si riunisce sul palco a salutare il pubblico con numerosi “Ciao!” e “Grazie!” rigorosamente in italiano.

Il lato atmosferico dei Nightwish è emerso puntualmente. Ma ammettiamolo: Anette Olzon non è Tarja Turunen e Tarja Turunen non è Anette Olzon, e se gli scandinavi hanno guadagnato da un lato, raccogliendo consensi per la prova frizzante della new entry, hanno chiaramente perso dal punto di vista dell’immagine; con la Turunen al microfono le sensazioni erano quelle di una band molto meno scanzonata e decisamente più evocativa.
I limiti inappuntabili sono legati alla scelta di una scaletta che ha scontentato un po’ tutti (limite della band) e ad un’acustica insufficiente a garantire un suono corposo e solenne come quello che sentite sugli ultimi due dischi (limite della location) confermando che al Mazda Palace, è proprio il caso di dirlo, era tutta un’altra musica.

Nightwish promossi con una sufficienza abbondante, non di più.

Gaetano Loffredo, fotografie a cura di Gaetano Loffredo e di Elisa Bonora

Setlist:
Bye Bye Beautiful
Dark Chest of Wonders
Whoever Brings the Night
Ever Dream
The Siren
Amaranth
The Islander
The Poet and the Pendulum
Sacrament of Wilderness
Sahara
Nemo

Bis:
7 Days to the Wolves
Wishmaster
Wish I had an Angel

FOTOGRAFIE: