Report: Winger (Bologna – 22/10/2006)

Altro appuntamento targato Bologna Rock City: sul palco i redivivi Winger, i promettentissimi Markonee e gli svedesi Fatal Smile.
Fatal Smile
Soltanto un giorno dopo la data con i W.A.S.P. di Cesena (qui recensita) i Fatal Smile tornano su un palco italiano. Come era stato per lo show del Vidia si tratta di un’esibizione che non convince né per attitudine né per proposta musicale. Probabilmente la band risulta anche estranea a un contesto tendenzialmente volto verso stampi old school, ma l’impressione è che a mancare sia proprio la qualità dei brani.
Markonee
La musica cambia del tutto quando sulle assi dell’Estragon mettono i loro stivali i Markonee. Si comincia a fare sul serio non tanto in quanto al genere – a ognuno i suoi gusti – ma quanto alla caratura della proposta. Il salto di qualità è totale. Per l’occasione la band emiliana lascia da parte le cover che avevano caratterizzato tutte le uscite del passato (Queen, Judas Priest, Grand Funk Railroad…) e si butta a capofitto sul proprio bellissimo debut “The Spirit of Radio” (Recensione) da cui pesca tutti gli episodi migliori. Si viaggia a pieno ritmo ‘hard rock vecchia scuola’ con Officer & Gentleman, Every Beat of my Heart e la presentazione dell’inedita Marconi Marconi, di stampo più ottantiano rispetto alle sorelle del primo disco ma forte di un ritornello catchy davvero trascinante. Burning chiude quella che conti fatti sarà l’esibizione più intensa di tutta la serata: nessun calo, grinta da vendere e una compattezza sonora da far invidia alle band più rodate. Forse non i migliori dei tre, ma a parere di chi scrive sicuramente i più piacevoli.
Winger
Dopo un fiacchissimo IV, uscito recentemente sul mercato mondiale, i Winger si presentano per dimostrare di saper ancora regalare soddisfazioni agli appassionati del loro progressive-aor. In novanta minuti di vecchie glorie e nuove leve si manifesta subito tutta la differenza tra il materiale più datato e gli estratti del nuovo lavoro: il divario è abbastanza0 imbarazzante e sin dalle prime battute le nuove nate di casa Winger vengono letteralmente spazzate via da brani come Seventeen, a cui il pubblico riserva una risposta totalmente diversa.
La platea pullula di tutta la carovana Frontiers e di diversi personaggi del panorama nazionale: dai locali Rain e Crying Steel, a Michele Luppi e Pino Scotto, a dimostrazione dell’interesse e della curiosità di una certa frangia di “pubblico consapevole” nei confronti di questi musicisti americani.
I Winger sono quasi un simbolo della frangia più tecnica e contorta del genere e il loro show è infatti un continuo sfoggio di doti strumentali. L’ esibizione è, ovviamente, assolutamente impeccabile dal punto di vista tecnico, con Kip Winger che passa con disinvoltura dalla dodici corde al basso nell’arco dello stesso pezzo, e tutta la band che si muove altrettanto bene girandosi persino gli strumenti quando è il caso. Nell’arco dell’esibizione la band pesca da tutti e quattro i propri album da studio, intervallando trance di pezzi con assoli ed esibizioni soliste di notevole durata. Un bene per gli amanti del virtuosismo, un male per chi invece predilige occupare ogni secondo disponibile con i pezzi veri e propri.
Probabilmente anche per questo lo show comincia a diventare un po’ indigesto per coloro che non sono fan sfegatati della band o di esibizioni tecniche soliste. I Winger recuperano però nel finale, con qualche vecchia gloria ben assestata, su tutte una bellissima Miles Away, probabilmente il pezzo più acclamato di tutta la setlist.
Alessandro ‘Zac’ Zaccarini