Yes + PFM: Report

Di - 4 Luglio 2004 - 20:17
Yes + PFM: Report

Mi trovo nella caserma di cavalleria situata in quel di Voghera per assistere ad un concerto che a giudicare dalle presenze sul palco avrà ben poco da lasciare l’amaro in bocca (purtroppo non sarà cosi NdR).
Al mio ingresso nell’arena incrocio diversi membri del fan club italiano dei nostri beniamini con i quali scambio quattro parole del più (Yes) e del meno (Yes). Il posto non è proprio il massimo della vita, in particolare i problemi sussistono verso coloro che hanno pagato una sberla da 40 euro di biglietto, poichè hanno trovato una mediocre tribuna situata addirittura dietro il mixer, il quale impedisce abbondantemente la visuale.

Intorno alle 19.30 i Maalavia accompagnati da Tony Pagliuca (ex tastierista de Le Orme) si presentano su un second stage, situato a fianco al main stage, il quale contiene tutta la strumentazione degli headliner inglesi e della nostra Premiata Forneria Marconi.
Non ho seguito tutta l’esibizione della giovane band, a tratti mi distraggo parlando con i colleghi Yessomani perché l’attesa è tutta per il quintetto. In sintesi la band è parsa tutt’altro che impreparata anche se la parte più apprezzata di questo breve spettacolo è rappresentato da Uno sguardo verso il cielo de Le Orme

Finalmente il nostro Franz Di Cioccio sale sul palco. Un concerto della PFM che si rispetti deve partire per forza di cose con River of life, riconosciuta al volo praticamente da tutti.
Purtroppo siamo già in netto ritardo e molti brani tra cui Maestro della voce e La luna nuova, per altro importanti vengono spesso ignorati dal pubblico (fatta eccezione per coloro che esultano da fronte palco); c’è chi va in giro a guardare dischi, a spennarsi sul merchandise degli Yes, a tracannare birre e a farsi bellamente gli affari propri.
In conclusione Impressioni di settembre e Celebration chiudono un buon co-headlining con Di Cioccio che funge da animatore.

Finalmente è arrivato il momento dei miei progressivi preferiti Yes. Sono le 23 passate e la Firebird Suite di Stravinsky rappresenta l’intro della band che sopraggiunge on stage con un fare tutt’altro che rassicurante. Anderson mi è parso molto irrequieto in quanto ha in mano la setlist e smanaccia piuttosto nervosamente verso Squire. La prima cosa che si pensa è il taglio di tutto il set acustico (cosa che poi avverrà NdR).
I motori si scaldano con Going for the one, Sweet dreams e I’ve seen all good people. La terza mi ha lasciato leggermente impressionato poiché è la primissima volta su quattro concerti visti che sento questo splendido brano in cima alla setlist; di solito viene lasciata come encore assieme a Roundabout.
Ho come l’impressione che la tensione stia aumentando a dismisura: Wakeman sempre più incavolato ha qualche problema con il controller midi della sua Korg, Squire si volta più volte verso il suo tecnico, probabilmente per un fastidioso ronzio che è stato di disturbo quasi fino alla fine.

Pazienza. Per fortuna che c’è Mind Drive, brano molto dinamico introdotto da un drumming furioso di White; Wakeman pare che abbia preso gusto ad usare ottime orchestrazioni mediante la sua tastiera che si adattano perfettamente. All’incirca a metà canzone parte South side of the sky acconsentita a gran voce; Steve da grande professionista suona mostruosamente senza sbagliare mezza nota e più volte durante lo spettacolo mi è sembrato il componente meno teso e più “trascinatore”.

Lo show procede con Yours is no disgrace dal terzo album, la tanto amata/odiata dal sottoscritto Owner of a lonely heart (tutto sommato si lascia sempre ascoltare), Rhythm of love e per concludere il primo set eccoci accontentati mediante And you and I in cui c’è sempre la massima commozione da parte del pubblico.
Non è per niente finita: il come back ci tiene col fiato sospeso, le prime file sono insaziabili, qualcuno dopo l’inossidabile Starship Troopers chiede Awaken e Gates of Delirium, Anderson li sfotte scherzosamente in quanto richieste simili in quelle circostanze e con tempi cosi stretti non sono proprio esaudibili. Di conseguenza Roundabout chiude lo show.

Il concerto volge al termine e la band si ritira nel backstage. La security è tutt’altro che cortese verso i membri del fan club (me compreso); riusciamo a incontrare Jon Anderson e Alan White che si trattengono con noi. Di sfuggita passa anche Steve Howe ad accontentare un paio di ragazzi e poi via tutti. Wakeman e Squire erano molto nervosi, Paul Silveira, manager della band pare abbia fatto una mega-litigata con il promoter locale per i consistenti ritardi.

La location in cui hanno suonato non è propria della band, e quindi è comprensibile una certa svogliatezza e magari anche freddezza da parte degli Yes di suonare a festivals più o meno improvvisati e organizzati sempre all’acqua di rose. Avendoli visti in tempi decisamente migliori non posso fare altro che confermare quanto ho appena scritto.

Il sottoscritto pur avendo ottenuto un permesso speciale da Paul Silveira non è riuscito a scattare foto a causa dei simpaticoni ometti della security. Poco male, ci vediamo a Brescia per un report certamente più ricco e (si spera) fotografico.

Per ora è tutto.