Live Report: XX Agglutination Metal Festival

Di Vittorio Sabelli - 25 Agosto 2014 - 22:44
Live Report: XX Agglutination Metal Festival

CARCASS + BELPHEGOR + ENTOMBED A.D. + BUFFALO GRILLZ

ELVENKING + SINHERESY + EVERSIN + LEHMANN

23/08/2014 XX Agglutination Metal Festival, Senise (PZ) 

Live Report a cura di Vittorio Sabelli

Intro

E sono 20! Venti le edizioni dell’Agglutination Metal Festival (dal 2007 in memoria di Alberto) che da due decenni riunisce il popolo del metal di Centro e Sud Italia in quel di Senise, anche se fino a due anni fa il Festival si splittava tra Chiaromonte e Sant’Arcangelo, in pieno centro cittadino. Fare l’elenco delle band che si sono alternate nel corso della sua lunga storia è praticamente impossibile, ma menzionare band del calibro di Vader, Cannibal Corpse, Overkill, Marduk e Dismember ci fa rendere conto della grandissima volontà del suo ideatore Gerardo Cafaro di far crescere l’evento fino a renderlo un punto fermo nella sezione Festival con la F maiuscola, da dare in pasto agli amanti del metallo (e non solo). Oltre alle band citate è da dire che l’organizzazione nel corso delle venti edizioni ha ospitato non solo le realtà storiche del metallo ‘nostrano’, ma anche dato l’opportunità a decine di band emergenti di esprimere il loro potenziale e di proporre la loro musica in una location dove migliaia di fan si riversano sotto il sole cocente di fine agosto. Per questa ventesima edizione il bill non ha avuto nulla da invidiare a più blasonati e quotati Festival d’oltralpe, perché trovare in scaletta band come Carcass, Belphegor ed Entombed A.D., oltre a realtà italiane più (Buffalo Grillz e Evenking) o meno (Eversin, Sinheresy e Lehman) conosciute, la dice tutta sulla qualità della manifestazione. Il caldo torrido del primo pomeriggio non ha di certo scoraggiato chi ha deciso di non perdersi questo appuntamento tanto importante quanto unico, e la dimostrazione sono i tanti bus organizzati provenienti da Abruzzo, Sicilia, Campania e Puglia. Tutti uniti per la causa Agglutination e dopo l’apertura dei cancelli alle 16.30 è successo che…

 

 

Di recente formazione, tocca alla band bolognese capitanata da Matteo Lehmann aprire le danze, e i Lehmann si ritagliano il loro spazio in maniera dignitosa con brani dell’unico disco “Lehmanized”, che spaziano da terreni di heavy metal classico ad aperture hard rock e grooveggianti, davanti a un centinaio di fan, che incuranti del caldo estremo, hanno dato il loro supporto alla band, sostenuta dalla fisicità del leader che si dimena su tutto il palco. Purtroppo l’audio non è particolarmente brillante, e la cosa sarà abbastanza frequente per le prime band.

I triestini Sinheresy salgono sul palco con la doppia voce di Stefano Sain e Cecilia Petrini e sfruttano il loro tempo a disposizione presentando brani del loro album “Paint The World” dello scorso anno. Il loro set è incentrato su un melodic/symphonic heavy metal che non esalta particolarmente nell’occasione, con la voce femminile abbastanza sterile e anonima, invece di essere l’arma in più per aizzare gli animi, anche se gli intrecci vocali sono ben architettati. Il ‘su le mani’ (declamato anche da altre band nel corso della manifestazione) in contesti del genere non rientra nei parametri personali del sottoscritto…ma sarà senz’altro un mio difetto.

 

 

Gli Eversin sono una band di Agrigento che può mettere in campo la formazione-tipo, che vede la voce di Angelo Ferrante per l’ultima volta con la band, visto che qualche settimana fa è stata data notizia dell’abbandono del vocalist subito dopo questo concerto. I brani dell’ultimo disco “Tears On The Face Of God” del 2012 compongono buona parte della setlist e il loro stile che oscilla tra Annihilator e Nevermore dal vivo non è affatto male, anche se i suoni continuano a non essere d’aiuto al buon thrash/prog metal espresso dai siciliani.

 

 

Dopo gli Eversin tocca ai Buffalo Grillz, e finalmente si inizia a respirare polvere! Perché se finora buona parte dei presenti che stazionava dalla parte opposta del palco nelle zone d’ombra, alle prime note della band romana iniziano a farsi avanti al richiamo del ‘grind’. E se le proposte precedenti erano incentrate sulle melodie e sulle ‘belle voci’ melodiche, basta poco per cambiare la direzione e iniziare a massacrare tutto e tutti sotto colpi feroci e atroci. Si parte subito a mille con “Gux e Gabbana” e si scatena l’inferno con una nube che si sprigiona e si protrarrà per tutta la durata dello show. Show incentrato sull’ultimo disco e come ‘da tradizione’ Napalm Death e Nasum brani come “Lapo Elgrind”, “Forrest Grind”, “Bufalismo”, “Sacro e Scrofano”, “Linkin Pork” si alternano veloci e spietati, tiratissimi a mille. Tombinor si dimena sul palco, correndo, sferzando e arrampicandosi, ululando le ‘no-lyrics’ e tenendo ottimamente il palco in compagnia dell’ascia malefica di Cinghio, del quattro corde di Gux e del nuovo batterista Maurizio Montagna, alla sua prima apparizione live. Un finale arroventato con “La Canzone del Sale”, che apre a tratti di romanticismo d’altri tempi, e la conclusiva “New World Disagium”, dal primo disco “Grind Canyon”. Solita ottima prova dei Buffalo Grillz, che alzano ulteriormente la temperatura, confermandosi una delle migliori band italiane in ambito grind.

Si cambia ancora, e questa volta in maniera radicale! Dal grind dei Buffalo Grillz tocca ai friulani Elvenking esprimere il lato folk che lo scorso anno apparteneva ai Folkstone. Anche se da qualche anno il sestetto, attivo da oltre un decennio e con ben otto album alle spalle, di cui l’ultimo “The Pagan Manifesto” uscito qualche mese fa, è alla ricerca di soluzioni più hard-rock rispetto agli esordi. La band impatta subito in maniera ottimale col pubblico grazie alla carica del vocalist Damna che riesce a catalizzare l’attenzione dei presenti, e il violino di Lethien che regala nuovi colori. La setlist alterna brani dall’ultimo album con altri tratti da quelli precedenti, sempre con un più che discreto livello musicale e di coinvolgimento, e la prova ne sono i tanti appassionati (e non) del genere che sostengono gli Evenking.

 

Come da copione ci si aspetta il logo Belphegor, e invece sul meraviglioso tramonto di Senise viene innalzato quello Entombed A.D. Non è di vitale importanza, ma col senno di poi la mossa è stata eccellente, considerando il massacro che gli svedesi e i Carcass hanno scatenato, a differenza degli austriaci, che hanno permesso di tirare il fiato. Dopo l’ascolto dell’ultimo disco, di buona caratura ma non particolarmente entusiasmante, l’attesa (mia personale) per la prova di Petrov e soci non è particolarmente elevata, sia perché il vocalist è rimasto il solo membro originale degli Entombed, e soprattutto perchè i nuovi musicisti potrebbero aver bisogno di tempo per rodarsi e integrarsi tra loro dal vivo. Il primo brano (“Pandemonic Rage”) anticipato dall’intro violinistica ne è (quasi) la conferma, col batterista Olle Dahlstedt che ‘perde’ una bacchetta dopo solo un minuto. Ma dalla seguente “I for an Eye” (da “Morning Star”) non ce n’è per nessuno, perchè Petrov e soci sanno benissimo che hanno un potenziale enorme, e lo sfruttano in maniera integrale, scatenando l’inferno sotto il palco con un trittico terrificante concluso da “Revel in Flesh” e “Living Dead” (rispettivamente dal primo, storico album “Left Hand Path” e dal secondo disco “Clandestine”). Devo ricredermi e tuffarmi nella mischia, perché non c’è altra via d’uscita con i ‘nuovi’ Entombed sul palco, con Petrov che sembra un bambino divertito per l’intera esibizione. Lancia bottiglie d’acqua, fa video, sorride, ma soprattutto aggredisce il microfono come in pochi sanno fare, mettendo venticinque anni d’esperienza al servizio della band e dei fan. Le chitarre sono spianate e il loro sound è una caratteristica unica e riconoscibile in mezzo a migliaia di band, e Nico Elgstrand sa il fatto suo, avendo avuto modo di essere al fianco di Hellid nel penultimo album “Serpent Saints – The Ten Amendments”, anche se in qualità di bassista. Intanto acqua nebulizzata viene spruzzata in maniera regolare da un volontario della Protezione Civile, per abbassare la temperatura corporea e ambientale del pubblico, pogatori e non. L’audio diventa possente, a dispetto della prima fase del Festival, e il risultato è di tutto rispetto, risaltando appieno il sound marcio e unico degli Entombed (A.D.). “Kill to Live” e “Waiting for Death” dal nuovo album “Back to the Front” assumono (finalmente) un loro perchè dal vivo, e alternate a “Eyemaster” (da “Wolverine Blues”), “Chief Rebel Angel” e le deliranti “Left Hand Path” e “Supposed to Rot” portano la band ad un finale in crescendo, che decreta ancora una volta gli Entombed (A.D.) come una macchina da guerra infernale, che ha assalito in maniera distruttiva i presenti, divertendo ed entusiasmando (in maniera particolare il sottoscritto) come in pochi riescono a fare.   

Trovare i Belphegor in un Festival è già una grande notizia, se poi pensiamo che l’Agglutination è la loro unica data italiana e tra le prime dopo l’uscita del nuovo album “Conjuring The Dead” non è il caso di farseli ‘scappare’. Perché il fascino che c’è dietro la loro storia, la loro blasfemia, il loro ‘credo’, rende i live degli austriaci un’esperienza unica, tra sermoni e rituali decantati dalla mente perversa di Hemuth. Ossa di animali e umane (appartenenti alla collezione privata del leader!) vengono posizionate a ridosso del palco e non appena si spengono le luci si inizia con i tre di spalle allo stadio davanti la batteria che aspettano il momento propizio per sprigionare le loro fiere. E il quartetto capitanato da Helmuth e Serpenth ha il duro compito di tener vivo il pubblico dopo la grande esibizione degli Entombed A.D., e soprattutto in vista del gran finale che ci aspetta. La setlist è incentrata maggiormente sui brani degli ultimi due dischi, “Blood Magick Necromance” e “Conjuring The Dead”. L’opener “In Blood – Devour This Sanctity” è efficace, anche se tutto il set dei Belphegor si snoda tra teatralità e pause tra i brani che danno modo a Helmuth di dare la sua ‘benedizione’ e di anticipare i brani stessi, che hanno un loro particolare rituale. Non ci sono segni di ‘comunicazione’ vera e propria, anche se lo stile della band è forgiato su epicità e aggressione, che vengono fuori con (ahimè) la nuova “Gasmask Terror”, ma in maniera più convinta e aggressiva dal loro feroce inno “Lucifer Incestus”. Non ci sono segni dei primi tre dischi, mentre il periodo Nuclear Blast è alla base dei ‘nuovi Belphegor, con “Justine: Soaked in Blood” e “Bondage Goat Zombie”, title-track dello stesso album, e l’ottima “Belphegor – Hell’s Ambassador” da “Pestapokalypse VI”. Più che discreta prova della band austriaca, giusto momento di riflessione solenne tra i due colossi Entombed A.D. e Carcass, che comunque lascia ottime sensazioni tra i presenti, che però hanno (già) la mente rivolta altrove…ed è più che comprensibile!

Ultimo cambio stage e il gran finale è servito per questo eccellente XX Agglutination Metal Festival.

 

 

Ore 23 in punto, si spengono le luci e risuona l’Intro 1985 (composto quando ancora erano Disattack), che anticipa l’ascesa del quartetto di Liverpool. Impossibile descrivere a parole la calda accoglienza riservata a Bill Steer e soci, ma non c’è tempo per pensare che già i primi stacchi di “Buried Dreams” riecheggiano nell’aria, e il delirio impazza. La band è una macchina perfetta, rodata a puntino e pronta a dar battaglia sin dall’uscita dell’ultimo “Surgical Steel”. La prova è superba, con Walker che (a dispetto di molti scettici e dell’ultimo concerto dello scorso anno al Live Club di Trezzo) sembra aver ritrovato lo smalto dei giorni migliori. La sua ugola è assassina e profonda, oltre al solito ottimo apporto in chiave ritmica in simbiosi con l’eccelso drumming del giovane Daniel Wilding, spaventoso motore propulsore e impeccabile macchina perfetta durante tutto il set. Scrivere delle chitarre è impresa ardua e coraggiosa, se non tanto per il nuovo arrivato Ben Ash, che svolge il suo compito in maniera più che dignitosa, sia in fase di riffing che nei soli (creati dal ‘rosso’ Amott), quanto per la presenza di uno dei più grandi chitarristi e compositori dell’intera storia del metallo che porta il pesante nome di Bill Steer. Presenza scenica invidiabile, chioma fluida come se il tempo non passasse mai, e quelle mani sulla sei corde che esprimono in settanta minuti tante emozioni con una classe unica e immensa. I presenti impattano in un sound perfetto che il quartetto sfrutta per tutta la durata del set, passando in rassegna l’intera discografia, aggredendo l’aria fresca notturna scesa a fine serata. Dopo l’opener si parte subito con la distruttiva “Incarnated Solvent Abuse” e impazza il pogo sfrenato tra la nube di sabbia creata sotto il palco. I quattro continuano il massacro con una serie di brani dal nuovo album (“Cadaver Pouch Conveyor System”, “Unfit for Human Consumption”, “The Granulating Dark Satanic Mills”) inframezzati da altri storici quali “This Mortal Coil”, “Reek of Putrefaction” e la mini-suite composta da “Genital Grinder / Pyosisified (Rotten to the Gore) / Exhume to Consume”. Qualche piccolo problema per i ‘jack’ del basso di Walker non fa che allentare momentaneamente la morsa e far rifiatare band e fan, lasciando lo stesso vocalist a distribuire birra e acqua alle prime file. C’è spazio per “Keep On Rotting in the Free World” dal poco amato “Swansong” e il finale è killer con “Captive Bolt Pistol”, “Corporal Jigsore Quandary / The Sanguine Article” e la pluriacclamata “Heartwork”, che manda tutti a riposo dopo una lunga ed estenuante giornata, decretando, come se ce ne fosse ancora bisogno, il ritorno prepotente dei Carcass, band che sta vivendo una seconda vita, e che dal vivo, come in studio, è tornata ad essere tra le migliori band del pianeta, come intensità e come qualità. Chapeau!