Gods Of Metal 2006 – Day Two – 2 giugno 2006

Di Alberto Fittarelli - 20 Giugno 2006 - 0:00
Gods Of Metal 2006 – Day Two – 2 giugno 2006

Ringraziamo Michela Solbiati per aver fornito le foto della giornata

Eccoci arrivati alla seconda giornata del Gods Of Metal 2006, quella dedicata in blocco al metal italiano: una soluzione che non trova d’accordo alcuni musicisti (i Novembre, ad esempio) e – permettetemelo – anche il sottoscritto: una forma di ghettizzazione resasi necessaria forse per ragioni commerciali, comunque discutibili, ma che dimostra come la scena italica venga sempre trattata come ‘serie B’ rispetto agli artisti esteri, il tutto dai propri compatrioti! Puntualizzazioni a parte, dobbiamo precisare che la parte iniziale della giornata coincide con uno dei momenti di maggior impegno per lo staff di TrueMetal, che tra pass che non arrivano in tempo e stand da allestire è costretta a perdersi qualcuno degli artisti proposti all’inizio. Ci scusiamo quindi con Boom e Mellow Toy per la loro mancata presenza in questo resoconto.
Ed ora via con il report!

Giovanissimi, hanno la grande occasione di suonare al Gods of Metal. L’occasione viene tristemente sprecata. Da loro? No, assolutamente. Quando la band comincia a suonare, dentro all’area concerti siamo in quattro (contati personalmente) e i cancelli sono ancora chiusi. I primi figuri cominciano ad arrivare verso la fine di uno show che non è affatto male. I pezzi hanno traino e nonostante qualche ingenuità qua e là il livello è ben più alto di quanto sia lecito attendersi da una band con un solo demo alle spalle. Insomma, per i Perfect Picture sarebbe statp un bel successo ma niente. L’atmosfera non si concretizza mai al di qua delle transenne perché il pubblico è ancora tutto in fila davanti ai cancelli. Per chi suona un genere come il glam/street poter far presa su certi fattori è fondamentale. Inoltre, per chi si trova a dover affronta un palco prestigioso come quello del Gods of Metal, avere davanti un pubblico e poter giocarsi tutte le proprie carte è vitale, specialmente se la band è davvero giovane come in questo caso. Ai Perfect Picture questo non è stato concesso: davvero un peccato.

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

Freschi del nuovo advance Cd contenente tre pezzi in anteprima che finiranno sul loro prossimo lavoro, i vicentini White Skull, incuranti della posizione nel bill – un poco avara nei loro confronti -, dispensano acciaio vergine in faccia ai convenuti senza fronzoli di sorta. Il singer Gus è in piena forma e si nota come abbia preparato nei minimi particolari la performance, dall’altra parte Tony e il resto della band costituiscono la classica macchina da guerra che non fa prigionieri. Complice un impianto di alta caratura, i Nostri sputano sul pubblico una manciata di brani vecchi alternati ad altri più recenti con la particolarità di fare sentire le chitarre direttamente sullo stomaco dell’audience. Si chiude con il classico Asgard una performance breve ma intensa e coinvolgente, che ha dispensato HM di matrice germanica a profusione, senza lesinare. Il vero heavy metal diretto e coinvolgente non morirà mai finché in giro ci saranno band come i White Skull che, nonostante i parecchi anni di milizia, danno sempre prova di divertirsi e divertire sulle assi di un palco, sia che si tratti del Gods of Metal sia che si tratti dell’osteria sgangherata nei dintorni di Vicenza.

Stefano Ricetti

Tra le sorprese più liete della giornata meritano sicuramente una menzione particolare gli Infernal Poetry. Nonostante i suoni tutt’altro che ottimali, la death metal band marchigiana si scatena nella mezz’oretta a sua disposizione e infiamma il palco con un’esibizione carica di dirompente energia, dimostrando di possedere in abbondanza la personalità e la grinta richieste dagli eventi più prestigiosi. Ciliegina sulla torta la personalissima cover finale dell’immortale Fear of the Dark, a tutti gli effetti uno dei pezzi forti del repertorio della band, irresistibile richiamo per decine di spettatori che fino a quel momento non si erano ancora gettati nella mischia.

Riccardo Angelini

Cambia la band, rimangono i problemi al sonoro. Non ne trae certo giovamento il black sinfonico degli Stormlord, che tuttavia calcano il palco con determinazione e riescono a offrire una prova di tutto rispetto. La setlist privilegia la produzione più recente della loro ormai decennale discografia, con diversi pezzi tratti dall’ultimo The Gorgon Cult e anche un antipasto del nuovo full-length. A chi assisteva per la prima volta a un’esibizione dal vivo della formazione capitolina sarà forse rimasta la curiosità di rivederla esibirsi in condizioni ottimali, ciononostante si può ben dire che il bilancio finale dell’esibizione sia da considerarsi a tutti gli effetti positivo.

Riccardo Angelini

Una buona prestazione quella dei Novembre, attesi nonostante l’ora impietosa (ed il caldo distruttivo) da molti dei presenti: la band è apparsa tranquilla, conscia dei propri mezzi e capace di grande feeling col pubblico. Tutti fermi a guardarli quindi, con i nuovi brani che scorrono (su tutti Aquamarine, Geppetto e la title-track dell’ultimo disco, Materia) e con un pubblico attento a valutarli ed a recepire le atmosfere di cui sono pregni i loro brani. Brani che non arrivano solo dagli ultimi lavori, ma tornano indietro sino alla lontana The Dream Of The Old Boats, direttamente dal loro debut album. Tecnici ma non in modo spudorato, affiatati ma lontani dalla furia metal tout-court, i Novembre sono stati forse una band un po’ fuori contesto (così come gli Opeth il giorno prima), rendendosi però capaci di adattare la scena alle loro esigenze con una performance assolutamente degna.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Personalmente ho sempre ritenuto i Domine LA band power italiana, vuoi per la simpatia che certi personaggi come i fratelli Paoli e Riccardo Iacono hanno sempre dimostrato, vuoi perché musicalmente la formazione toscana ha sempre fatto scelte oneste e a mio parere assolutamente condivisibili. Mi riferisco al loro trademark, mai accantonato nemmeno quando cambiare qualcosa avrebbe voluto dire vendere di più; e mi riferisco alla loro disponibilità a suonare: non c’è palco di festival italiano, piccolo o grande, su cui i Domine non abbiano fatto calare il loro sudore. La gente lo sa e infatti l’accoglienza per loro in questo Gods of Metal è caldissima. Tra l’incedere di The Hurricane Master e la coraggiosa The Aquilonia Suite, fino alla conclusiva Defenders, non c’è pezzo che non colga nel segno. I Domine suonano come sanno e il pubblico è tutto con loro. Canta e alza la polvere. Ogni volta che questa band sale su un palco riceve sempre lo stesso affetto e la stessa devozione, ci sarà un perché.

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

Gruppo controverso, amato/odiato dal pubblico italiano, i Necrodeath hanno dimostrato per l’ennesima volta di saperci fare sul palco: la band, fresca di negozio con il nuovo 100% Hell, ha saputo infatti rendere al meglio il proprio thrash/black ferale ma ragionato anche nel contesto del Gods Of Metal che, si sa, non è esattamente il più facile al mondo. La proverbiale esterofilia del pubblico italiano però questa volta sembra non aver influito sull’accoglienza di brani come The Creature, Necrosadist, Mater Tenebrarum o delle nuove Forever Slave e 100% Hell, che scivolano via in fretta sotto al solleone davanti al polverone alzato dal pogo, ottimo segno anche per la band stessa. Rodati da anni di attività, i Necrodeath si confermano come uno degli esponenti di punta della scena estrema italica.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Scocca l’ora dei Vision Divine, che si presentano sul palco dell’Idroscalo con una formazione rinnovata; tre dei sei componenti sono infatti “freschi di ingaggio”: Cristiano Bertocchi (bass), Alessio Lucatti (Keys) e Ricky Quagliato (Drums) a sostenere la vecchia guardia composta dall’ex turnista Federico Puleri (Guitar), Michele Luppi (Vocals) e Olaf Thorsen (Guitar) per uno show basato totalmente su cuore e grinta. La scaletta si incentra sui cavalli di battaglia degli ultimi due lavori, The Perfect Machine e Stream of Consciousness, ed è proprio la title track del primo ad accendere gli animi di un pubblico accorso in gran numero all’evento. Le prime note dimostrano che, in sede live, il gruppo riesce ad ottenere un suono molto più pesante che su disco, quasi a trasformare il fine power metal che li caratterizza in qualcosa di molto più battagliero ed impetuoso. I reiterati problemi al microfono costringono Luppi a ricercare con lo sguardo, e in continuazione, i tecnici, che riescono a smussare il problema al termine della seconda First Day of a Never-ending Day. Quanti sono i cantanti che possono vantare risultati live uguali o migliori di quelli ottenuti in studio? Beh, Michele Luppi rientra nella categoria e lo conferma con l’entusiasmante Colours of my World in questo caso enfatizzata da acuti eccezionali. In ordine The Secret of Life, The Ancestor’s Blood, The Fallen Feather, La Vita Fugge e Through The Eyes Of God prima della chiusura con la brillante God is Dead. Sempre preciso Olaf Thorsen e sempre più importante l’apporto di Federico Puleri, da rivedere invece i nuovi arrivati che avranno tempo e modo di amalgamarsi alla perfezione. Spassosi infine, i siparietti comici messi in piedi dalla band e le battute a profusione illimitata di Michele, segno che i ragazzi sono, nonostante tutto, a loro agio. Vision Divine promossi a pieni voti.

Gaetano Loffredo

Francamente il lavoro reso necessario dallo stand di TrueMetal (e dalle interviste ai musicisti) tocca l’apice durante l’esibizione degli Extrema, ormai lontani anche dal genere trattato su queste pagine (anche se loro si professano “IL metal italiano. Punto”. La accendiamo?) se non per il passato Pantera-style di Positive Pressure… Of Injustice. Riusciamo a cogliere quindi poco di un’esibizione che comunque non sembra distanziarsi di moltissimo, quanto ad energia, da quanto già mostrato ad esempio in occasione dell’Heineken Jamming Festival 2003. Sarà per la prossima volta.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Pino Scotto ha dimostrato di tenere particolarmente a questa performance presentandosi sul palco in ottima forma, conscio del fatto di rappresentare un’icona del metallo di casa nostra difficilmente sostituibile. I Fire Trails hanno proposto pezzi propri alternati ad alcuni classici dei Vanadium che hanno riscontrato parecchi osanna da parte del pubblico presente, segno che la buona musica rimane immortale. Il resto della band si è dimostrato all’altezza del compito, con un Larsen Premoli particolarmente spettacolare – senza nulla togliere agli altri componenti – che da dietro le sue tastiere ha fatto il diavolo a quattro. Durante il concerto il singer Pino Scotto non ha accennato il minimo cedimento, alla pari del suo mentore Lemmy Kilmister dei Motorhead, a documentare che ormai anni di abusi hanno temprato il suo fisico rendendolo immune al passare del tempo. I Fire Trails chiudono con la cover Long Live Rock’n’Roll una prestazione da incorniciare, degna della posizione di co-headliner loro attribuita. Se tutto va bene il concerto uscirà fra un po’ come Dvd ufficiale della band.

Stefano Ricetti

Inutile nasconderlo: moltissimi dei presenti sono convenuti all’Idroscalo di Milano per rivedere dal vivo Bud Ancillotti affiancato da Enzo Mascolo, accompagnati nell’occasione dai due giovani – rispetto a loro – Cappanera, per consegnare ai metallari italiani un sogno covato sotto la cenere da lustri: far brillare di nuovo per una notte la stella della Strana Officina. Dietro la loro performance vi sono mesi di lavoro fatti di prove e di sacrifici, particolare che si estrinseca alla grande. Bud è giustamente emozionato ma implacabile e carismatico come sempre, Enzo è il solito professionale che poco lascia allo spettacolo puntando solamente alla sostanza mentre i due Cappanera sono la vera rivelazione della serata. Il chitarrista Dario sprigiona feeling ed entusiasmo da tutti i pori: spettacolare – con posa alla Zakk, tanto per intenderci! – e veloce negli assoli. Il batterista Rolando risulta tremendamente efficace e preciso: da incorniciare la sua performance in piedi durante l’ultimo pezzo eseguito. Il risultato è un muro di potenza terrificante: questo ha fatto percepire la Strana Officina nella notte di venerdì. I classiconi storici sono stati suonati più o meno tutti, compresi i pezzi mai incisi ma famosi come Officina, Profumo di Puttana e Non Sei Normale, tra il tripudio dei convenuti. Una notte magica, probabilmente unica, che resterà scolpita nel cuore di tutti i metallari che aspettavano da anni e anni di rivedere il vecchio Bud a fianco di Enzo con il logo della Strana alle loro spalle. Da lassù Roberto, Fabio e Marcello sono sicuro che avranno apprezzato… grazie di cuore ragazzi!

Stefano Ricetti