Live Report: Back To The Beginning @Villa Park, Birmingham – 05/07/2025

BACK TO THE BEGINNING
Villa Park, Birmingham, 5 luglio 2025
Report a cura di Davide Sciaky
Back To The Beginning, l’addio di Ozzy Osbourne e dei Black Sabbath.
Difficile comprendere appieno queste parole, l’addio ai palchi di musicisti che su quei palchi suonano da prima che tanti di noi nascessero, che hanno accompagnato la nostra vita con la loro musica e che hanno ispirato quasi chiunque altro suoni il nostro genere preferito.
I più cinici vorranno ricordare i passati “addii alle scene” di Ozzy e dei Sabbath, ma per quanto mi riguarda la verità è una sola: da un lato le condizioni di salute di Ozzy rendono ovvio che questo sia davvero un addio. Dall’altro, quando lavoro e passione coincidono, e quando non hai fatto altro per tutta la vita, è impossibile lasciare questo mondo. Ozzy e i Sabbath hanno iniziato a suonare insieme giovanissimi e non hanno mai smesso, trovo quindi difficile giudicare chi, dopo essersi allontanato dai palchi, si è reso conto di non poterne stare lontano.
Negli scorsi giorni si è anche letto chi accusava Sharon Osbourne di voler sfruttare il povero Ozzy per far soldi con questo evento, ma anche qui la verità è che fin dall’inizio il concerto è stato annunciato come concerto di beneficenza, e anche Randy Blythe dei Lamb of God ha confermato che le band non hanno visto un centesimo, e soprattutto bisogna ricordare di come per anni Ozzy abbia detto in ogni intervista che avrebbe voluto tornare un’ultima volta sul palco per salutare i suoi fan.
Fatta questa doverosa premessa, vogliamo raccontare non solo del concerto – che grazie alla diretta streaming tanti avranno già visto – ma tutta l’atmosfera che ha circondato questo evento.
Sono arrivato a Birmingham venerdì e da subito ho trovato una città in piena celebrazione: già negli scorsi giorni erano iniziate le attività dedicate ai Sabbath, ad esempio quando ai quattro è stata conferita la più alta onorificenza civile della città.
Appena usciti dalla stazione troviamo gli enormi murales che rappresentano la band, già inaugurati alla presenza di Ozzy Osbourne, Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward – e da loro autografati (ora gli autografi sono protetti da delle teche) – qualche giorno prima. Una camminata di qualche minuto, durante la quale notiamo che varie strade del centro sono decorate da bandierine con il logo della band, ci porta in una piazza dove dei cartelloni mostrano le copertine di tutti i loro album corredati da foto d’epoca e dalla storia di ogni disco. Appena dietro l’angolo, poi, troviamo il museo della città dove c’è una mostra dedicata ad Ozzy con vari cimeli, in particolare premi e dischi d’oro. Ancora pochi minuti di camminata e arriviamo al “Black Sabbath Bridge”, il ponte dedicato alla band con la panchina che riporta le facce dei quattro musicisti.
La panchina ormai è tappa obbligatoria per chiunque passi dalla città, e nei giorni che hanno preceduto lo show abbiamo visto tanti dei musicisti che ci hanno suonato fotografarsi proprio qui, a partire da Metallica e Pantera.
Ma, al di là delle iniziative dedicate alla band, quello che colpisce è la quantità di persone con magliette di Ozzy e dei Sabbath che si vedono in giro. Sembra che una persona su due sia qua per il grande evento, che sia per strada, entrando in un locale o nel proprio hotel. Si sentono lingue da tutto il mondo, l’atmosfera è cameratesca, non è raro venire fermati da chi ci chiede se sappiamo dove trovare la panchina o semplicemente, “Tu in che settore sarai domani?”, o “Sei esaltato per il concerto?”. In giro si trovano tanti volti noti, sono tantissimi anche i musicisti che sono accorsi da spettatori per assistere a questo momento storico, da Nergal dei Behemoth, ad Alissa White-Gluz degli Arch Enemy, a Joey Vera degli Armored Saint, e non mancano le persone che raccontano di essere andati a pranzo in tal posto e di aver incontrato gli Slayer, o di essere andati a cena in un altro posto e di essersi trovati accanto a Sharon Osbourne.
La sera ho anche l’occasione di andare a vedere la proiezione in anteprima del nuovo documentario “The Nine Lives of Ozzy Osbourne” con un Q&A con Jack Osbourne che ci racconta del padre. Tra le altre cose parla di come il giorno prima, parlando con Lars Ulrich, questi abbia riflettuto come di solito tributi simili avvengano quando la persona omaggiata purtroppo non c’è più, e che quindi è bello poterlo fare alla presenza di Ozzy.
Sono andato a tanti festival che trasformano le città in cui si svolgono – da Wacken all’Hellfest – ed ero anche a Birmingham per l’ultimo concerto dei Sabbath nel 2017, ma un’atmosfera del genere davvero non l’avevo mai vista.
Arrivando al grande giorno, mi avvicino allo stadio dell’Aston Villa, il Villa Park, la mattina presto dove trovo già un po’ di gente tra chi fa la fila ai banchetti del merch e chi è già in coda (non così tanti però da rendere necessario accamparsi giorni prima come però ha fatto qualcuno).
Le barriere aprono presto, alle 11, per permettere a tutti di prendere posto con calma in attesa dell’inizio dei concerti alle 13. Non mi soffermerò troppo sui concerti dato che il live streaming ha già dato modo a tanti di vedere in prima persona il concerto, anche se non fisicamente presenti allo stadio.
Nei giorni precedenti era circolato un programma “pirata” con gli orari delle esibizioni che si rivelerà presto veritiero: le prime band hanno a disposizione un quarto d’ora, tempo che andrà a crescere con il progredire della giornata fino all’apice dei Metallica che suonano 40 minuti, poi 20 minuti per Ozzy solista e 35 per i Black Sabbath. Nel mezzo cambi palco di 7 minuti, un tempo così breve che sembra impossibile ma che si conferma vero grazie al palco rotante che permette di mantenere il ritmo elevato della giornata. Cominciano quindi i Mastodon, succeduti dai Rival Sons, poi gli Anthrax. Col poco tempo a disposizione tutti suonano un paio di pezzi propri insieme ad una cover dei Sabbath o di Ozzy.
Con i Mastodon abbiamo uno dei primi ospiti a sorpresa della giornata: quando la band suona “Supernaut” dei Sabbath, infatti, vengono sul palco a suonare dei rullanti Mario Duplantier, Danny Carey e Eloy Casagrande. Se la presenza dei primi due è ovvia dato che più tardi saliranno sul palco Gojira e Tool, il batterista degli Slipknot, ed ex Sepultura, è una sorpresa.
Gli omaggi non si limitano solo alle performance, ad esempio troviamo gli Anthrax in “divisa”, tutti i membri con una maglietta con scritto “Sabbath Bloody Anthrax” (con gli stessi caratteri di “Sabbath Bloody Sabbath”) e con dietro il nome del membro dei Sabbath con cui condividono lo strumento (e quindi Iommi per Scott Ian, Butler per Frank Bello e via dicendo.
Per dare meglio l’idea dell’aria che si respirava anche sul palco, e non solo tra gli spettatori, riporto quanto scritto da Scott Ian sui social: “Ieri non siamo andati allo show per dire addio, ma per ringraziare e celebrare Tony, Geezer, Bill e Ozzy e ciò che hanno dato a tutti noi. Grazie gentlemen. Detto questo, ieri ho pianto una mezza dozzina di volte per l’immensità di ciò che tutto questo significa per me e per il mio legame con la loro musica. È stata una giornata bellissima e incredibile.”
Le cover spaziano da chi rimane molto fedele all’originale e chi aggiunge un tocco personale, come nel caso di “Children of the Grave” suonata dai Lamb of God con un Randall Blythe evidentemente emozionato e assolutamente fuori dalle righe che a fine esibizione lancia plettri e poi si toglie le scarpe e lancia anche quelle al pubblico.
Riportiamo anche le sue parole condivise sui social: “Se eravate tra il pubblico, dovreste sapere che ogni singolo membro delle band con cui ho parlato era nervoso di salire sul palco… e intendo proprio TUTTI (Dio solo sa quanto lo ero anch’io). Il fatto che tutti noi ci sentissimo così è un segno del nostro rispetto per i quattro che hanno creato questa musica. Volevamo onorarli, mostrare rispetto, ringraziarli per questa vita folle che ci hanno dato e rendere giustizia ai loro brani: tutti noi possiamo viaggiare per il mondo e suonare questa musica grazie a ciò che questi quattro ragazzi hanno iniziato.”.
Durante la giornata si avvicendano sul palco anche due supergruppi formati da tantissimi musicisti, alcuni precedentemente annunciati altri no: Nuno Bettencourt, Jake E Lee, David Ellefson, Mike Bordin, e molti altri. Se Nuno Bettencourt si era annunciato da solo sui social, e la presenza di Steven Tyler era stata annunciata informalmente a Sharon Osbourne in un’intervista, troviamo anche delle vere sorprese con la presenza di Travis Barker dei Blink-182, Yungblud e nientemeno che Ronnie Wood dei Rolling Stones.
Il giovane Yungblud aveva già incrociato la strada degli Osbourne quando aveva ospitato Ozzy e Sharon nel video di una sua canzone e, anche se musicalmente non è particolarmente affine ai Sabbath, ha dimostrato tante volte di avere grande amore e rispetto per la musica più dura. Sul palco canta “Changes” che con la sua carica emotiva e un’esibizione di altissimo livello per quanto mi riguarda si inserisce di diritto tra i punti più alti della giornata. Nei momenti dei supergruppi insieme a canzoni di Ozzy e dei Sabbath vengono suonati anche alcuni brani dei musicisti coinvolti, come una stupenda “Breaking The Law” con Billy Corgan, Tom Morello, K.K. Downing, Adam Jones, Rudy Sarzo e Danny Carey, e “Walk This Way” con Steven Tyler, Nuno Bettencourt, Tom Morello, Andrew Watt, Rudy Sarzo e Chad Smith. Sorprende, tra l’altro, l’esibizione di Tyler dopo che era stato costretto a cancellare le ultime date con gli Aerosmith per problemi alle corde vocali, ma che in questa breve esibizione offre una prestazione di livello altissimo. Anche la breve comparsa di Tobias Forge/Papa V Perpetua è molto gradevole con una “Bark at the Moon” perfetta per la voce del cantante svedese.
Tra le esibizioni compare Jason Momoa, attore noto principalmente per il suo ruolo in Game of Thrones, che funge da presentatore e che mostra tutto il suo entusiasmo: proprio prima dei Pantera dice agli spettatori di aspettarlo perché vuole raggiungerli nel pogo, cosa che fa pochi momenti dopo, probabilmente causando morti e feriti.
A questo punto il tempo a disposizione delle band aumenta e quindi i Pantera hanno tempo di suonare due cover – “Planet Caravan” e “Electric Funeral” – e i Guns N’ Roses decidono di “strafare” suonandone ben tre: “Never Say Die”, “Junior’s Eyes” e “Sabbath Bloody Sabbath”. Purtroppo le condizioni già note della voce di Axl Rose inficiano un po’ una esibizione che a livello strumentale è invece ottima. Nel mezzo gli Slayer portano a Birmingham tutta la loro cattiveria aprendo diversi pit nel pubblico. Arriva infine il turno dei Metallica che suonano quattro classici insieme a due cover, “Hole in the Sky” e “Johnny Blade”.
Finalmente arriva il momento più atteso da tutti.
Nei giorni, settimane e mesi passati tanti si interrogavano sulle condizioni di Ozzy, e il cantante stesso aveva detto che avrebbe cantato in base a come si sarebbe sentito il giorno del concerto. C’era chi ipotizzava che Ozzy sarebbe stato sul palco, magari cantando qualche verso qua e là, ma che sarebbe stato aiutato da altri musicisti, invece sul palco abbiamo assistito a qualcosa di magico.
All’ora X dal palco si apre un buco e spunta fuori un trono con sopra il cantante, un grande sorriso stampato in faccia e le mani alzate a fare il segno della vittoria.
Ed è esattamente questo quello avviene, una vittoria: la vittoria di un eterno ragazzo che non si è mai arreso e che con tutte le limitazioni a cui l’ha costretto un morbo crudele come il Parkinson, è salito per l’ultima volta su quel palco a ringraziare i fan per la vita che gli hanno permesso di vivere (parole sue).
Ozzy ha un costante sorriso stampato in faccia mentre canta “I Don’t Know”, poi “Mr. Crowley” e “Suicide Solution” con una voce in ottima forma. Il cantante si rivolge poi al pubblico, “Non so cosa dire, sono stato immobilizzato per sei anni, e non avete idea di come mi senta ora. Grazie dal profondo del mio cuore.”. Boato dal pubblico. Poi arriva “Mama, I’m Coming Home” e la voce gli si spezza: “Times have changed and times are strange Here I come, but I ain’t the same”, “I tempi sono cambiati, sono tempi strani. Eccomi qui ma non sono più lo stesso”, un testo che sembra più che mai autobiografico e finalmente la realtà colpisce tutti i presenti come un pugno in faccia, Ozzy ci sta davvero dicendo addio.
Si aprono i rubinetti e la maggior parte dei presenti piange commossa davanti alla toccante canzone. Al fianco del cantante il gigante gentile che è Zakk Wylde interviene prontamente al microfono ad aiutarlo, e per tutta l’esibizione lo vediamo spesso girarsi per assicurarsi che Ozzy stia bene. Il chitarrista aveva appena 19 anni quando si è unito alla band ed è letteralmente cresciuto insieme al cantante. Non è quindi un’esagerazione quando lo chiama “Father Oz”, per lui è davvero una figura paterna e lo si vede nello sguardo colmo d’amore con cui lo segue pronto ad intervenire nel momento del bisogno.
Il set si conclude con l’immancabile “Crazy Train”, durante la quale vengono proiettati sugli schermi video di Randy Rhoads, amatissimo chitarrista di Ozzy scomparso in un tragico incidente nel 1982.
Il momento più atteso della serata è chiaramente lo show dei Black Sabbath, per la prima volta in 20 anni di nuovo sul palco in formazione originale con Bill Ward dietro la batteria.
Anche su di lui ci sono dubbi dopo i problemi di salute che ha affrontato in passato, ma come per Ozzy tanti sono arrivati senza aspettative, pronti semplicemente a ringraziare i musicisti per una vita di musica che ci ha cambiato l’esistenza.
Quando arriva il momento sugli schermi compare la scritta “Black Sabbath” infuocata, il palco rotante comincia a girare e vengono portati sul palco Ozzy sul suo trono e la batteria con dietro Ward con il pugno alzato che stringe le bacchette.
Basta questa vista a stringere il cuore di chi con la musica dei Sabbath è cresciuto.
I due sono subito raggiunti da Tony Iommi e Geezer Butler e la festa ha inizio con “War Pigs”.
Rispetto all’ultima volta sui palchi troviamo Geezer imbiancato, ha smesso di tingere barba e capelli, ma nonostante l’aspetto “più vecchio” il bassista pesta il suo basso come se per lui il tempo non fosse mai passato e sforna un esibizione di livello altissimo. Iommi, invece identico all’ultima volta che l’abbiamo visto sul palco, ricorda a tutti chi è che con i propri riff immortali ha forgiato un suono che ha cambiato la vita di noi tutti. Semplicemente immenso.
Mi accorgo che chitarrista e bassista passano la maggior parte del tempo verso il fondo del palco, vicini ai loro amplificatori, venendo avanti solo più raramente e realizzo che anche loro vogliono omaggiare Ozzy: questa è la sua sera ed è lui che deve stare in primo piano, soprattutto ora che è immobilizzato sul suo trono.
E Bill Ward? Nonostante i timori anche lui tira fuori un’ottima esibizione, tagliando magari qualche fill, ma mostrando ancora una volta tutto il carattere che ha reso unica la sezione ritmica dei Sabbath. Ma, forse anche più dell’esibizione, quello che mi colpisce di più è come dopo la seconda canzone, “N.I.B.”, il batterista si tolga la maglietta come faceva 50 anni fa mostrando un corpo ora invecchiato senza farsi alcun problema per la cosa. Bill è sempre stato quello che non si interessava delle apparenze e in questo momento ci ricorda che se il suo corpo ha 77 anni, nella sua testa non è passato un momento dagli anni ‘70. La band procede quindi a suonare “Iron Man” dopo la quale Ozzy si rivolge al pubblico, “E’ il momento della nostra ultima canzone… di sempre. Devo dirvi qualcosa da parte dei Black Sabbath e da parte mia: il vostro supporto negli anni ci ha permesso di vivere la vita che abbiamo vissuto, grazie dal profondo del mio cuore. Vi amo, tutti noi vi amiamo.”.
La band suona per l’ultima volta la leggendaria “Paranoid”, il pubblico si scatena ancora una volta, poi esplodono i cannoni che sparano in aria coriandoli celebrativi.
I musicisti salutano, Geezer porta ad Ozzy una torta (nonostante gli errori di regia dello streaming che fanno sembrare che la band se ne vada senza salutare) e poi si allontanano per lasciare Ozzy da solo qualche momento a immergersi per l’ultima volta nell’abbraccio del pubblico.
Partono i fuochi d’artificio, il pubblico acclama la band, e il cantante viene accompagnato fuori con un sorriso stampato in faccia mentre sente ancora una volta tutto l’amore dei suoi fan.
E’ difficile realizzare appieno quello a cui abbiamo assistito al Villa Park.
I Black Sabbath sono stati una costante nella vita di tantissimi di noi e la loro musica ha influenzato direttamente e indirettamente la nostra vita in innumerevoli modi.
L’idea di non poterli mai più vedere su un palco sembra incredibile, eppure questa sera abbiamo davvero detto addio a Ozzy e ai Sabbath.
Nonostante tutte le difficoltà Ozzy ha dimostrato ancora una volta di essere un guerriero ed è salito sul palco per ringraziare noi, e noi siamo arrivati a Birmingham per ringraziare lui e i Sabbath. Lacrime di commozione solcano la faccia della maggior parte dei presenti, così come quella di Ozzy, ma il sorriso con cui è sbucato sul palco è qualcosa che non dimenticheremo mai.
Grazie Ozzy, grazie Black Sabbath.