Heavy Thrash

Live Report: Five Finger Death Punch + Megadeth @ Alcatraz, Milano 16/02/2020

Di Davide Sciaky - 20 Febbraio 2020 - 12:10
Live Report: Five Finger Death Punch + Megadeth @ Alcatraz, Milano 16/02/2020

FIVE FINGER DEATH PUNCH + MEGADETH + BAD WOLVES

16/02/2020 @Alcatraz, Milano

Quando ho firmato il contratto per diventare metallaro ho implicitamente accettato una serie di clausole tra cui l’odio per i Metallica (venduti dal Black Album), per il Grunge (che ha distrutto il Metal negli anni ’90), e ovviamente per il Nu Metal (brrr).
Poco importa se io condivida o meno queste opinioni, il metallaro DEVE odiare una serie di categorie, band e album.
Ovviamente all’epoca non era ancora stato concepito un tour in cui i Megadeth avrebbero supportato i Five Finger Death Punch, altrimenti questo sarebbe stato abbastanza in alto nella lista delle cose da odiare.

Se effettivamente sono andato a questo concerto principalmente per vedere i Megadeth e con solo una leggera curiosità per i Death Punch, sono bastate poche canzoni degli headliner per farmi ricredere completamente.

Arrivato un paio di minuti in ritardo, sentendo da fuori l’inizio della prima canzone del gruppo di supporto sono entrato all’Alcatraz immaginando di trovarmi davanti una band di musicisti muscolosi e in canottiera. Non sono andato troppo lontano dato che effettivamente il chitarrista rispecchiava la previsione (con l’aggiunta di un cappellino girato al contrario). Insomma, i Bad Wolves sono esattamente la band che ci si aspetta di trovare vestita così: a cavallo tra Hard Rock e Metal moderno molto “americano”, qualche momento quasi tendente al Groove Metal, tanto testosterone.
I cinque non sono particolarmente memorabili, ma fanno il loro onesto lavoro come band di apertura, e scaldano il pubblico il giusto, in particolare quando il cantante scavalca la transenna e canta una ‘Zombie’ (cover del celebre pezzo dei Cranberries) conclusiva in mezzo al pubblico.

Arriva quindi il turno delle vittime del “grande torto”, i Megadeth relegati a band di supporto.
A differenza di altri, io non l’ho mai vista così e all’annuncio del tour non mi sono particolarmente stupito: Dave Mustaine era reduce di un tumore alla gola – già un tumore non è una passeggiata, poi uno alla gola per un cantante… – ed era comprensibile che volesse evitare sforzi eccessivi; un tour da band di supporto gli avrebbe permesso di suonare un po’ meno ogni sera riuscendo comunque a tornare sui palchi dopo lo stop forzato.
Insomma, onore a Dave che pur di tornare in gioco il prima possibile ha messo da parte il suo ben noto ego e ha deciso di partecipare a questo tour come band di supporto.

Vedendo il musicista saltare sul palco, chitarra a V in mano e un ghigno stampato in faccia, non ci si può che emozionare un po’ per il ritorno sui palchi di uno dei Grandi del Metal.
Si inizia in quarta con un grande classico, ‘Hangar 18’, che scatena immediatamente il pubblico per passare ad una recente ‘The Threat is Real’; la band evidentemente crede molto nel suo album più recente, che ha ricevuto molti consensi da fan e critica, da cui suonerà anche ‘Conquer or Die!’ e ‘Dystopia’.
In mezzo ai pezzi nuovi e ai classici immancabili – ‘Peace Sells’, ‘Holy Wars’ e simili – la band inserisce anche alcune sorprese come un’ottima ‘Angry Again’, che in Italia non veniva suonata dal 2005, e una sorprendente ‘Dread and the Fugitive Mind’, reinserita in scaletta nella data precedente dopo 19 anni dall’ultima volta in cui era stata suonata.
Nel mezzo Dave parla poco, per introdurre rapidamente qualche canzone e si dilunga di più quando racconta della sua recente battaglia col cancro: “Ero incazzato, ho pensato a voi, ho pensato alla mia band, alla mia famiglia e ho detto, “Fanculo, combatterò questo male con tutto quello che ho”. Il 16 ottobre il dottore mi ha detto, “Dave, sei guarito al 100%, puoi andare in tour”, quindi grazie a tutti voi per essere qui”.
Il duro Dave Mustaine, noto per il suo carattere non esattamente docile e per le sue litigate con colleghi e non, si commuove e si gode l’affetto del pubblico; dopo ‘Peace Sells’ la band lascia il palco ma poco dopo Dave torna, braccia spalancate come a voler abbracciare tutti i suoi fan, e si immerge nei “Dave! Dave!” cantati dal pubblico. Gli altri membri della band tornano per concludere il concerto con ‘Holy Wars” che, ancora una volta, fa esplodere il pubblico.
“You’ve been great, we’ve been Megadeth”, conclude Dave, prima di congedarsi.
Concerto non troppo lungo ma certamente intenso ma, soprattutto, che conferma che Dave Mustaine è davvero tornato e che non ha intenzione di andare da nessuna parte.

Forse solo a questo punto faccio caso al numero di magliette dei Five Finger Death Punch e alle persone con una mano rossa dipinta in faccia: se sui social moltissimi erano indignati dall’accoppiamento delle band in tour, e molti dicevano che sarebbero venuti solo per i Megadeth, in realtà forse i fan italiani dei Five Finger Death Punch sono più di quanto si poteva pensare (e d’altronde la data è andata sold-out già da parecchi giorni).

La band salta sul palco suonando ‘Lift Me Up’, canzone che in studio vedeva la presenza di Rob Halford, ma anche senza il cantante dei Judas Priest il pezzo è una mazzata che definisce il ritmo dello show.
La band prosegue implacabile con ‘Trouble’ e ‘Wash It All Away’ e a pochi minuti dall’inizio ho già capito il mio errore: gli americani sanno il fatto loro, il suono è massiccio, potente, ogni canzone è un concentrato di energia ed è impossibile non farsi coinvolgere.
Alla chitarra solista Andy James rimpiazza Jason Hook che per motivi di salute ha dovuto lasciare il tour; la performance di James è molto buona, soprattutto considerando quanto in fretta il chitarrista ha dovuto imparare le canzoni. Su quasi venti canzoni, il chitarrista sbava soltanto l’inizio di ‘Battle Born’ che ricomincia da capo mentre Moody scherza, “Forza amico, ce la puoi fare”.
La setlist è molto interessante con un bel mix di pezzi da tutti gli album della band, da “The Way of the Fist” all’ultimo album, “F8”, che uscirà tra pochi giorni da cui viene suonato il nuovo singolo, “Inside Out”.
Se lo show si concentra per lo più sui pezzi più massicci e adrenalinici, non mancano neanche i momenti più rilassati ed intimisti: dopo ‘Got Your Six’, sul palco viene portato un divano e una piantana, le luci si fanno soffuse e seduto sul divano Zoltan Bathory impugna una chitarra acustica e accompagna Moody su una ‘The Tragic Truth’ solo accennata e poi su ‘Wrong Side of Heaven’ cantata a gran voce dal pubblico.
Moody sprizza energia da tutti i pori, salta, corre da un lato all’altro del palco per fissare negli occhi quanti più spettatori possibili; le sue movenze un po’ “rap” possono ricordare un Fred Durst, ma la sua intensità personalmente mi ha evocato anche un che di Phil Anselmo (eresia? Questo è quello che mi è venuto in mente guardandolo cantare).
Dopo un piacevole assolo di batteria e una ‘Burn MF’ che fa saltare tutto l’Alcatraz la band lascia il palco per tornare poco dopo per l’immancabile encore: ‘Inside Out’, ‘Under and Over It’ e ‘The Bleeding’ concludono un’esibizione davvero notevole dei Five Finger Death Punch.

Insomma, l’accoppiata Five Finger Death Punch/Megadeth è indubbiamente insolita, ma in qualche modo ha funzionato e la serata è stata divertente, coinvolgente e tutti i presenti non possono che essersi goduti le tre ore di musica che hanno riempito l’Alcatraz.