Live Report: Metalitalia.com Festival 2013 a Milano
Metaliatalia.com Festival 2013 – Live Club – Trezzo Sull’Adda (MI) – 11/05/2013
Secondo appuntamento con il Metalitalia.com Festival, organizzato dall’ omonima webzine in collaborazione con la Eagle Booking Live Promotion che ha già dato ottimi risultati con l’edizione dell’anno scorso, e che solo per lo sforzo profuso dovrebbe diventare una tappa obbligata per ogni metal fan italiano, anche perché non è da tutti i giorni portare sul palco cotante band, e farlo soprattutto con passione. Sebbene il bill di quest’anno sia ricco e variegato, non si può fare a meno di notare il forte sbilanciamento verso il thrash metal, cosa che avrebbe fatto sicuramente piacere al prematuramente scomparto Jeff Hanneman, ricordato anche da Trevor durante l’esibizione dei nostrani Sadist.
Alle 13:10 ci sono già un centinaio di persone pronte per assistere all’evento.
Ore 13.30, è tempo di iniziare.
Sono i giovanissimi norvegesi Tantara i primi a salire sul palco del Live, e a colpire i pubblico con il loro thrash metal diretto, solido ed efficace e chiaramente influenzato da gruppi come Heathen e Sodom, ma reso fresco anche dall’impostazione vocale potente del cantante Fredrik Bjerko, e dagli assoli melodici quasi neoclassici, del chitarrista solista Per Semb assoluta rivelazione della giornata. A parte qualche piccolo problema con il volume del microfono, la breve apparizione dei Tantara viene accolta dal pubblico con calorosi applausi. Band da tenere d’occhio per il prossimo futuro.
Luca Cardani
Prima delle band italiane presenti al festival a esibirsi, i Furor Gallico non hanno certo bisogno di presentazioni. Il loro folk metal è ormai sinonimo di prestazioni efficaci, e sempre acclamate a suon di applausi dal pubblico in ogni loro apparizione, come in questa occasione. Le magiche melodie che strumenti come l’arpa e il violino riescono a creare, in contrasto con le strumentazioni moderne riesce sempre a rapire l’attenzione del pubblico che su brani come “Banshee”, inframezzata da “Breaking The Law”, e la onnipresente “La Caccia Morta”, non può fare a meno di saltare e scuotere la testa. I cinque brani proposti sono più che sufficienti alla band per confermarsi ancora una volta. Certezza assoluta.
Luca Cardani
Il ritorno alle sonorità thrash è annunciato dai milanesi Hellstorm, che fin da subito aggrediscono il pubblico con il loro sound diretto e senza compromessi. I brani proposti sono per lo più estratti dal loro primo album “The Legion Of the Storm”, scatenando gli headbanger dei presenti e finalmente il primo dei molti moshpit che offrirà la giornata, le incitazioni del vocalist Hurricane Master sono continue, e tonnellate di riff violenti e ipercinetici si abbattono sui presenti come un fulmine dal cielo con un solo messaggio: devastazione totale. La violenta e concreta proposta sonora, risulta però troppo legata agli schemi classici del genere rendendo i brani nuovi troppo simili a quelli di vecchia data, appesantendo un po’ quella che rimane pur sempre una buona prestazione.
Luca Cardani
Dopo il trittico iniziale è la volta dei sardi Icy Steel, approdati nel continente proprio per poter suonare dal vivo all’interno di un Festival di livello quale il Metalitalia. Alle 15 e 14 spaccate Stefano Galeano e sodali attaccano a suon di watt il pit, che enumera un buon numero di persone, con il loro heavy metal di stampo epico, poggiato in particolar modo sulla musicalità pura, peculiarità che rappresenta croce e delizia della Loro proposta, particolare molto evidente nelle soluzioni dal vivo. Nonostante questo, pezzi come “The War Within” spaccano quanto devono e il pubblico dimostra di apprezzare. Sciolti nell’esecuzione e a proprio agio sulle assi del Live Club gli isolani, come annunciato, danno poi spazio allo special guest Rhino Earl, indimenticato bombardiere dei Manowar e si lanciano insieme con lui in una commovente riproposizione di “Metal Warriors”, da “Triumph of Steel“, fra gli applausi degli astanti. Chiusura affidata allo stesso Rhino, autore di un drum solo d’altri tempi. Alle 15.42 vengono staccate le spine e gli Icy Steel si diranno soddisfatti della Loro prova, nelle ore successive, all’interno di uno scambio di opinioni con lo scriba. Band credibile, efficace, con il look e l’attitudine giusta: sicuramente da non farsi scappare nel momento in cui si materializzerà di nuovo on stage in futuro.
Steven Rich
Le fila del pubblico si vanno lentamente a incrementare, e a una manciata di minuti alle 16:00 è turno dei brasiliani Torture Squad, che festeggiano sul palco i loro vent’anni di attività, a incendiare il pubblico con il loro personale thrash/death. Tutta l’esperienza di questo consolidato trio investe i presenti con un misto di violenza e tecnica, quest’ultima incarnata soprattutto nel batterista Amilcar Christofaro, un vero mostro dietro la batteria. Non sfigurano nemmeno il bassista Castor, che si diletta in brevi assolo, e il chitarrista Andrè Evaristo, entrambi si alternano con estrema efficacia dietro al microfono, diventando devastanti sulle parti corali. Mezz’ora di esibizione sono quanto basta ai ragazzi di Sao Paulo per convincere i presenti, che premiano la band a suon di applausi.
Luca Cardani
Considerazione personale: oltre alle band “classiche” da festival, Uriah Heep esclusi, la primizia del Metalitalia Fest è rappresentata proprio dagli Schizo, indi complimenti agli organizzatori e agli ideatori dell’evento per aver pensato a questo gruppo storico, sicuramente a credito sia con la fortuna che con le occasioni per esibirsi in ambiti di un certo peso. Forti di un singer incappucciato stile Samson dei tempi d’oro con Thunderstick dietro le pelli, i siciliani spaccano alla grande, con la tipica sfrontatezza, anche sonora. La Loro è un’autentica onda d’urto fatta non solo di Metallo ma anche di contaminazione intelligente e l’impatto è davvero devastante, nonostante i suoni non siano dei più eccelsi. Band atipica, coraggiosamente proposta all’interno di un bill fondamentalmente legato alle soluzioni più tradizionaliste dei vari generi abbracciati, riesce comunque a radunare di fronte a sé un discreto numero di appassionati. S.B. Reder denuncia una certa staticità sul palco ma non è affatto un problema per il resto del gruppo, che senza sosta e rinunciando a inutili orpelli picchia duro dal primo all’ultimo minuto, trovando il tempo di proporre, fra i vari classici – devastante “Demise:Desire” -, anche brani nuovissimi che andranno a comparire nella prossima release discografica. Pogo indiavolato, doppia cassa da paura e sudore dal sapore antico: questa la ricetta degli Schizo da Catania, ieri come ora e sempre. Per lo scrivente fra i migliori della giornata; a livello di potenza vomitata sull’audience, una bella lotta quella fra i Nostri e i macellai di Weil am Rhein chiamati Destruction…
Steven Rich
Da un gruppo più navigato, si passa ai più giovani e spregiudicati Gama Bomb, a loro il compito di tenere alta la temperatura dopo l’esplosiva performance precedente, missione non facile ma decisamente riuscita visto i numerosi circle pit che hanno animato la loro esibizione. Ottima la prestazione vocale del cantante Philly Byrne, dotato di un timbro molto particolare e ben lontano dai classici thrasher vocalist, che non si è mai stancato un momento di incitare il pubblico, né di richiedere costantemente le corna alzate. E se il giubbotto di jeans con le paiette indossato da Byrne risulta decisamente esilarante, non lo sono i due velocissimi chitarristi che si agitano e si divertono come matti, oltre a scaricare sul pubblico una sequenza impressionante di riff. Personalità e forza sono gli ingredienti chiave della prestazione dei nord irlandesi, favorevolmente accolta dal pubblico con la giusta dose di ovazioni.
Luca Cardani
Dave Hill, mica un Pinco Pallino qualsiasi, si aggira per il Live Club fin dal primo pomeriggio, prodigandosi in semplici strette di mano piuttosto che foto ricordo con tutti quanti lo richiedono: l’ennesima lezione di stile e umiltà che il mondo metallico sa fornire. Indi, quando ci si imbatte in-quelli-che-se-la-tirano per partito preso senza averne la seppur minima titolarità, basti sapere che trattasi di mosche bianche, che come tali vanno trattate. Al di là degli aspetti legati alla sociologia siderurgica, lo show dei Nwobhm heroes Demon prende forma alle 18 e ventisette. Molti dei presenti sono giunti a Trezzo D’Adda proprio per loro e infatti il pit regala un colpo d’occhio degno del blasone della band sul palco. I “Demoni” inglesi apprezzano e ringraziano, sciorinando una performance coinvolgente, fatta di antichi e obbligatori Cavalli di Battaglia – “The Grand Illusion”, “The Spell”, “Don’t Break the Circle” – alternati a pezzi tratti dall’ultimo “Unbroken”, fra i quali la stessa title track e “Fill your Head with Rock”, anche se va registrata una risposta decisamente più tiepida, da parte del pubblico, riguardo le new entry. Apoteosi, come prevedibile, durante l’esecuzione di “Night of the Demon” e chiusura alle 19.20. Per molti dei presenti una delle migliori performance dell’intera giornata, quella dei vecchi Leoni d’Albione, peccato non abbiano suonato “Liar”, ma tant’è.
Steven Rich
Ormai siamo entrati nel rush finale e la stanchezza inizia ad affiorare sul viso dei presenti. Ma il riposo è un lusso che non ci si può concedere, come disse qualcuno, visto che sul palco si appresta a salire un’altra vecchia conoscenza del thrash nord europeo: gli Artillery. La prima cosa che salta subito all’occhio è la differenza di età tra il nuovo cantante Michael Bastholm Dahl e il resto della band, e fino a qui il discorso di un ricambio generazionale ci può stare, ma che un cantante di una band thrash metal usi tonalità al limite del power quando dovrebbe sprigionare rabbia e violenza da tutti i pori, questo non va per niente bene. E se oltre a questo ci mettete anche i problemi nei volumi che entrambe le chitarre hanno avuto, capirete che la prestazione dei nostri, fondata per lo più sull’esecuzione degli ultimi brani come “Death Is An Illusion” e su qualche vecchio pezzo come “By Inheritance”, “Khomaniac” o “The Challenge”, non è stata tra le più felici del festival. Nonostante tutto gli headbanger del pubblico sono continuati dalla prima all’ultima nota della loro esibizione dimostrando un totale attaccamento sia al genere proposto che alla band. Di sicuro andrà meglio la prossima volta.
Luca Cardani
Dopo l’accesa esibizione degli Artillery, tocca ai Vicious Rumors salire sul palco del Metalitalia.com Festival. Spazio quindi ancora a dei veterani (l’esordio, ricordiamolo, è del 1985), che, come vedremo, sapranno infiammare quanto basta il pubblico in vista delle esibizioni più calde della giornata. Per l’occasione, Geoff Thorpe (leader indiscusso della band) e compagni sono accompagnati alla voce da James Rivera (storico frontman degli Helstar) vista la momentanea defezione del vocalist di ruolo Brian Allen, bloccato a casa per imprecisati problemi familiari dell’ultima ora. Ed è proprio la presenza di James Rivera che accende e valorizza la prestazione di una band che ha comunuque un’ottima reputazione per le esibizioni dal vivo. Il piccolo cantante texano ha infatti dalla sua carisma ed esperienza e, benché unitosi al tour da pochissimi giorni, sembra davvero essere di casa, dopo l’esperienza estemporanea nella band dei tempi di “Warball” (2006). Regge il palco alla grandissima e, in men che non si dica, conquista gli astanti. Ovviamente, chi è al suo fianco non è da meno: Thorpe è l’architrave della band e macina riff alla grande, il suo socio da tantissimi anni, Larry Howe, sembra distruggere il drumkit tanta è la potenza che ci mette, Thaen Rasmussen alla chitarra solista sa il fatto suo e il giovane Stephen Goodwin è oramai perfettamente integrato, completando ottimamente la sezione ritmica e mostrandosi all’altezza anche dal punto di vista visivo, grazie a pose ben azzeccate e mai ridicole. Spazio ai pezzi del nuovo album “Electric Punishment”, appena uscito, e, come era da aspettarselo, ad diversi estratti da quel “Warball”, che nessuno ha dimenticato e che rimane unica esperienza in studio di Rivera con i Vicious Rumors. Colpisce la spontaneità dei nostri, che non hanno bisogno di giocare a fare i cattivi, al contrario, non si risparmiano in sorrisi verso una prima fila esaltata. Lo show giunge ben presto al termine; sulle note del classico “March Or Die” cala il sipario, almeno metaforicamente, tra cenni di intesa tra i musicisti sul palco e il pubblico e con la certezza che la band è in uno stato di forma davvero convincente, segnale davvero confortante per il futuro.
Vittorio Cafiero
In questa giornata anche i nostrani Sadist, una delle band più longeve del panorama italiano e che all’estero sicuramente ci invidiano, hanno qualcosa da festeggiare: il ventennale del loro primo album “Above The Light”, che verrà riproposto su questo palco in forma completamente rivisitata con l’ausilio di un gruppo di archi, due violini, una viola e un violoncello, suonati da giovanissimi ragazzi che, come ha detto Trevor, “hanno sposato la causa del metal”. Alla strumentale “Nadir” il compito di accompagnare sul palco la formazione ligure che da subito da prova della sua classe con la successiva “Breathin’ Cancer”, dove il chitarrista Tony Talamanca si destreggia tra la sua sei corde e la fidata tastiera, affiancato nelle parti più melodiche dall’incedere armonico degli archi, per un’unione tra strumentazione classica e moderna che durerà per tutti i quaranta minuti della loro esibizione, e che impreziosisce ulteriormente le stupende trame musicali dei Sadist. Perfetto anche l’apporto del bassista Andy Marchini e del batterista Alessio Spallarossa, per una sezione ritmica solida come la roccia. Unica sbavatura di questa prestazione è arrivata sul finale di “Happiness ‘n’ Sorrow”, tagliata a causa del protrarsi dei ringraziamenti di un Trevor, sobrio e preciso per tutto il tempo, verso i presenti e verso chi non è più tra noi per poter ascoltare band come questa, che ha saputo rapire l’attenzione della platea come nessuna band era riuscita a fare fino ad ora. Semplicemente immensi.
Luca Cardani
In un Live ormai gremito di persone, si apprestano a fare la loro comparsa su un palco dove svettano non un ma ben tre microfoni, uno al centro e due ai lati, il primo dei due headliner di questa lunga giornata, i tedeschi Destruction. Mai monicker fu più azzeccato vista la devastante prestazione di questo trio dalla ormai trentennale esperienza. Schmier sembra essere indiavolato, corre da un microfono all’altro senza un momento di sosta, incitando il pubblico che non ci pensa due volte a scatenare circle pit e crowd-surfing a ripetizione. I Detruction tengono fede al proprio nome macinando riff assassini a raffica e pescando a mani basse dal loro ultimo lavoro “Spiritual Genocide”, inframezzando i sempre vecchi e cari cavalli di battaglia come “Bestial Invasion”, che ha scatenato letteralmente il massacro per la gioia dei numerosi thrasher presenti all’evento. Prima di terminare il loro show, Schmier da grande mattatore si rende protagonista di un allegro siparietto, facendo fare al pubblico e alla band gli auguri al chitarrista Mike per i suoi 48 anni. Precisione e devastazione, questo è stato il mix proposto dai tedeschi per il penultimo atto di questa intensa giornata di metal, e su cui gli Uriah Heep dovranno calare il sipario.
Luca Cardani
Passata la bufera Destruction i più si apprestano a raccogliere le ultime forze rimaste in corpo, dato che la lunga giornata sta per arrivare al suo clou, per assistere all’esibizione degli storici rocker Uriah Heep. Band in pista ormai da quasi quarantacinque anni, formata nel 1969 dal compianto e talentuoso cantante David Byron, scomparso negli anni Ottanta, e dal chitarrista Mick Box, ad oggi l’unico membro originale rimasto. Gruppo che nel corso dei Settanta ha rilasciato alcuni dei più importanti lavori di hard rock britannico sulla spinta anche del tastierista e mastermind Ken Hensley, rimpiazzato ormai da tanti anni da Phil Lanzon; senz’altro un degno scudiero e perfettamente integrato, ma non carismatico e determinante come il suo predecessore. A completare la line-up, per questo show speciale, non ritroviamo i convalescenti Trevor Bolder al basso, sostituito dal giovane promettente Dave Rimmer, e il singer Bernie Shaw più che degnamente rimpiazzato da John Lawton, già in forze nella band nella seconda metà degli anni ’70. Infine, dietro alle pelli ritroviamo lo straripante Russell Gilbrook.
Durante la lunga attesa per il cambio di strumentazione ci accorgiamo che gran parte dei giovani thrasher che fin dalle prime ore del pomeriggio avevano occupato sistematicamente le prime file adesso si trovano in posizione più defilata, mentre una schiera di ultra quarantenni, accorsi forse esclusivamente per l’esibizione dei propri beniamini, inizia a farsi strada riempiendo definitivamente il locale. Calano le luci e il combo londinese fa il suo ingresso per la gioia dei loro più datati sostenitori e la curiosità dei più giovani. I Nostri partono un po’ in sordina sulle note di “Against The Odds”, tratta da uno dei più recenti album, “Sea Of Light”, per poi proseguire principalmente con brani estratti dai tre lavori nei quali ha cantato Lawton – sebbene probabilmente poco conosciuti dai presenti, in generale tutti ben accolti – come “The Hanging Tree”, “Sympathy” e “I’m Alive”, inframmezzati dall’acclamata “Stealin’”, cantata a gran voce. Ma è solo quando Lawton annuncia la leggendaria “Gypsy” che gli animi cominciano davvero ad accendersi di quella scintilla che di lì a poco diventerà un indomabile incendio. Da quel momento è tutto un susseguirsi di classici del primo periodo e lo show raggiunge l’apice con un’esecuzione da brivido di “July Morning” che strappa più di un’ovazione a brano in corso per la prestazione da incorniciare di Lawton e per le cavalcate lisergiche del ‘magician’ Box, chitarrista mai domo e sempre pronto a dispensare soli torrenziali. Da incorniciare poi l’acustica “Lady In Black” con il pubblico che talvolta arriva persino a sovrastare il gruppo, tanta è la partecipazione, prima dei saluti di rito che anticipano l’encore. Giusto il tempo di riprendere fiato e gli Heep tornano sul palco portandosi con sé alcune fortunate ed avvenenti fanciulle scelte tra il pubblico, alle quali viene lasciato libero sfogo durante l’esecuzione della dinamica “Free ‘n’ Easy”. Lo show poi si chiude sempre ad altissimi livelli con l’immancabile “Easy Livin’”, sigillo conclusivo di una giornata in grado di regalare senz’altro tante soddisfazioni a tutti gli appassionati intervenuti e vari momenti di palpabile emozione.
Orso Comellini
Conclusioni
Complimenti ai “cugini” di Metalitalia per aver avuto il coraggio di proporre una scaletta irrealizzabile anche solo qualche lustro fa, senza per forza riandare agli anni Ottanta. L’usuale alto grado di vivibilità offerto da un locale moderno come il Live Club di Trezzo d’Adda ha poi sicuramente aiutato le varie fasi del Festival, così come l’ampia presenza dei vari stand musicali, che hanno fornito colore e un ottimo diversivo alla manifestazione durante i pochi, invero, tempi morti. Una domanda, però, giunge spontanea: perché costruire un bill formato da così tante band quando l’esperienza insegna che più gruppi si hanno più ritardo si accumula, quantomeno in Italia? L’effetto si riversa poi inevitabilmente su headliner e compagnia appena precedente, ma questo non costituirebbe poi un gran problema, quantomeno per tutti i convenuti residenti e dormienti entro il raggio di cento chilometri; situazione differente e ben più pesante per quelli venuti da lontano, maggiormente se dipendenti da mezzi di trasporto esterni, a districarsi fra orari antelucani e chilometri da macinare, dopo essersi gustati lo show fino alla fine. Comunque, al netto di tutto, sicuramente vincente il rapporto qualità band/prezzo praticato in quel di Trezzo, particolare NON da poco in questi hungry years… Thumbs Up, quindi!
Cosa resterà di questo Metalitalia Festival? Tanti ricordi e persone incontrate, ma senza dubbio le espressioni attonite di quei grandi vecchi rockettari con i capelli d’argento convenuti in quel del Live Club in attesa dello show degli ‘Heep raccolte durante il massacro sonoro portato avanti dai Destruction… Impagabile poi vedere gli stessi Destruction, con i loro sguardi sognanti, stando a lato del palco, godersi dalla prima all’ultima nota dello show degli Uriah Heep con evidente trasporto, esattamente come i Demon, questi ultimi però dalla zona ristorante rialzata posta dal lato del locale opposto al palco.
Steven Rich