Death Progressive

Live Report: Opeth + The Vintage Caravan @Teatro degli Arcimboldi, Milano – 27/09/2022

Di Davide Sciaky - 28 Settembre 2022 - 18:26
Live Report: Opeth + The Vintage Caravan @Teatro degli Arcimboldi, Milano – 27/09/2022

Opeth + The Vintage Caravan
@Teatro degli Arcimboldi, Milano – 27/09/2022

Qui puoi vedere le nostre foto del concerto.

… e finalmente è il turno degli Opeth.
Come tanti colleghi, anche gli svedesi sono stati costretti a rinviare più volte i concerti italiani, e il tour, per cause ben note, ma finalmente sono riusciti a tornare nel nostro Paese dove ieri sera sono potuti salire sul palco del Teatro degli Arcimboldi di Milano.
E che ritorno!

Ma andiamo con ordine.
Ad aprire le danze abbiamo i The Vintage Caravan, gruppo islandese dedito ad un Hard Rock dal suono molto vintage che pesca a piene mani dagli anni ’70. I tre ragazzi fanno parte della corrente che negli ultimi anni è esplosa in un po’ tutto il mondo, che ha portato sui palchi tantissimi gruppi che rievocano le atmosfere e i suoni di quegli anni.
Cosa c’entrano in questa serata? Effettivamente è quello che ci chiediamo anche noi: i The Vintage Caravan non hanno particolari affinità sonore con gli Opeth, e per di più li avevano già supportati nel tour precedente. Forse proprio per questo la sala non è pienissima durante il loro show, ma gli islandesi non se ne curano e danno il massimo nei tre quarti d’ora a loro disposizione in cui suonano brani da tutta la loro discografia, con un focus sull’ultimo disco, “Monuments”.
Come dicevamo, la musica è spiccatamente vintage, e come se non bastasse i musicisti indossano vestiti altrettanto vintage. Insomma, a guardare il palco sembra di essere tornati indietro di cinquant’anni.
Grande energia e adrenalina, assoli “acidi” e quasi psichedelici, i The Vintage Caravan fanno scuotere diverse teste tra il pubblico seduto e, per chi apprezza queste sonorità, il concerto non può che essere un momento piacevole. Rimane il dubbio del perché sia stato deciso di fare un nuovo tour con la stessa band di supporto vista nel 2019 quando un gruppo diverso, e magari più affine come sonorità e/o genere agli headliner, avrebbe potuto attirare più interesse tra gli spettatori e valorizzare ulteriormente la serata.
Gli islandesi comunque vengono salutati con un certo entusiasmo, segno che c’è chi ha apprezzato il loro show.

Nei minuti seguenti, mentre viene allestito il palco, la sala si riempie fino a raggiungere un numero di spettatori apparentemente vicino alla capienza totale del Teatro. Allestimento non particolarmente complicato dato che il gruppo ha una scenografia abbastanza minimale che consiste quasi esclusivamente in potenti luci led posizionate in diversi punti del palco.
Alle 21.00 inizia puntuale la musica registrata che introduce la band sul palco, al buio, con solo delle luci alle spalle dei musicisti che ne proiettano la sagoma mentre i fan li accolgono con urla e applausi entusiastici.
Il concerto finalmente ha inizio e gli svedesi non indugiano di certo aprendo lo show con la micidiale doppietta di “Demon of the Fall” e “Ghost of Perdition”.
Se da anni i concerti degli Opeth sono imprevedibili e a seconda della serata possono essere prevalentemente focalizzati sui pezzi recenti della svolta Prog o meno, un inizio così non può che far venire l’acquolina alla bocca a tutti gli amanti del primo periodo della band.
Nonostante il tour sia dedicato all’ultimo disco, “In Cauda Venenum”, il terzo brano della serata, “Hjärtat vet vad handen gör”, è l’unico estratto da questo album.
Seguono infatti “The Leper Affinity” e “Reverie/Harlequin Forest” ed ormai è chiaro che per questa serata Mikael Åkerfeldt e i suoi hanno deciso di pescare a piene mani dal materiale d’annata della band.
Il frontman tra una canzone e l’altra chiacchiera e fa battute, racconta di come sia di un ottimo umore dopo che ha fatto una passeggiata per la città nel pomeriggio (in cui ha cercato di arrivare al centro di Milano, ma probabilmente non si è allontanato più di tanto dalla zona non centralissima del Teatro, dice lui), e scherza affermando che la pizza svedese sia migliore di quella italiana.
Dopo “Nepenthe,” Åkerfeldt introduce la stupenda “Hope Leaves” raccontando come all’epoca della pubblicazione di “Damnation” temeva che i fan non avrebbero accettato quella musica tanto diversa dallo stile più classico degli Opeth di quegli anni. Ovviamente non è così, e lo dimostrano anche questa sera gli spettatori che la cantano a gran voce.
Si prosegue con “The Devil’s Orchard” e poi il cantante prende il microfono per annunciare al pubblico che questa sera ci sarà probabilmente una prima volta per il Teatro degli Arcimboldi, la prima volta che nel teatro risuoneranno dei blast beat. Dopo questa introduzione non può che seguire la stupenda “The Lotus Eater”. Tra una canzone e l’altra Åkerfeldt aveva raccontato del suo rapporto speciale con l’Italia fin dal primo concerto nel 1996, quando era rimasto stupito dal calore del pubblico che aveva “cantato” i riff e le melodie delle loro canzoni, e questo succede di nuovo all’inizio di “The Lotus Eater” che viene intonato dall’intero pubblico del Teatro.
A questo punto la band si ritira momentaneamente dietro le quinte prima di tornare per suonare “Sorceress”, brano che dal vivo non stona a fianco dei brani più datati suonati finora, e infatti il pubblico risponde con entusiasmo.
Siamo ormai quasi al termine del concerto, ma gli svedesi, e Åkerfeldt in particolare, forse galvanizzati dall’entusiasmo del pubblico, si lanciano in un medley in cui una dopo l’altra vengono suonate parti “The Moor”, “Benighted”, Face of Melinda”, “Windowpane”, “Harvest” e “Bleak” seguendo le richieste del pubblico, ma che ogni volta vengono interrotte dopo qualche verso dal cantante che sostiene di non ricordarsi il testo o come si suona il resto della canzone. Gli altri musicisti, da grandi professionisti quali sono, non ci mettono mai più di qualche secondo a riconoscere e seguire ogni canzone che Mikeal accenna, dimostrando per l’ennesima volta il talento di tutti i membri della band.
Quando qualcuno chiede “Master’s Apprentices” il frontman si gira verso Waltteri Väyrynen, nuovo batterista della band entrato tra i ranghi solo qualche settimana fa, e gli chiede se la conosce e in risposta il finlandese inizia a suonare il brano. La band quindi accenna anche questo pezzo prima di suonare (questa volta per intero) l’ultima canzone della serata, la monumentale “Deliverance”.

Al termine la standing ovation è d’obbligo, e il pubblico acclama gli Opeth per lunghi minuti in cui la band saluta dal palco, prima di fare un inchino e allontanarsi.

Dopo tre anni lontani dall’Italia gli Opeth ci hanno portato una band affiatata e precisa, e di questo non dubitavamo, ma soprattutto una setlist che ha superato le nostre più rosee aspettative. Insomma, tre anni d’attesa sono ben valsi un concerto assolutamente superlativo.