Ad aprire le danze i neozelandesi Sinate, band dedita a un death potente e preciso che non disdegna le contaminazioni thrash, capace di regalare all’ascoltatore un mix esplosivo fatto di suoni potenti e ben bilanciati, di folate di violenza incontrollata e di una grande voglia di comunicare con il pubblico presente.Lo spettacolo dei quattro ragazzi di Auckland si ancora fedelmente alle due release all’attivo estrapolando la set list dai full-length “Beyond Human” e “Violent Ambitions”. La buona scelta dei pezzi ha convinto i presenti rendendo la prestazione dei Nostri come una vera e propria sorpresa. Qualche piccola sbavatura quasi impercettibile del batterista Sam Sheppard non ridimensiona minimamente il giudizio complessivo: promossi a pieni voti.
Brutalità: Mastic Scum
Ad alzare maggiormentei ritmi cardiaci degli spettatori ci pensano i Mastic Scum, band austriaca che da più di dieci anni dall’album di debutto “Zero”, ha consacrato l’attività musicale alla violenza sonora allo stato puro, un death metal brutale nelle ritmiche al fulmicotone, contaminato da numerosi stacchi grind, veri e propri mattatori della musica di Maggo Wenzel e soci. Da sottolineare l’incalzante lavoro alle pelli di Man Gandler – già session man dei Belphegor negli anni dal 1997 al 2002 - vero e proprio protagonista di un sound violento e privo di fronzoli tanto da essere il precursore del mosh che troverà l’apice nelle esibizioni dei due gruppi di punta. L’esibizione dei salisburghesi, convincente in ogni frangente, si è incentrata in particolare sull’ultimo album “Dust”, uscito lo scorso novembre e di fatto il primo album del cantante Wenzel dopo lo split con il frontman precedente Will. La prova canora è parsa da subito all’altezza, dimostrazione tangibile di un perfetto affiatamento con la band e di una buona scelta da parte del gruppo.
Riscatto: Vader
Riscatto a titolo puramente personale. Visti quest’estate al Metalcamp, i polacchi non mi avevano convinto affatto. Giustificati da una posizione in scaletta abbastanza infelice e da una gestione dei suoni non proprio ottimale, i Vader mi erano sembrati alquanto statici, monotoni, “senza troppa voglia” per capirci. Niente a che vedere con lo spettacolo offerto in questa occasione. Il riscatto, per quello che mi riguarda, si è consumato appieno con una prestazione sopra le righe di “Piotr” e compagni, in grado di sferrare fendenti micidiali agli spettatori sottostanti. Forse un po’ limitato dalle ridotte dimensioni del palco, il combo polacco ha offerto una prova di assoluta qualità interpretativa, incorniciata ad arte da dei suoni pressoché perfetti. Le urla di Piotr Paweł Wiwczarek sono atterrate come pesanti macigni sulle teste dedite all’ headbanging delle prime file in tumulto, veri e propri “toccasana” per la grande voglia di contatto del disordinato ammasso di carne e sudore che si scontra a pochi centimetri dal leader del gruppo. Bravi, nient’altro da aggiungere, bravi davvero!
Male: Marduk
Male non certo come qualità di esibizione, ma nella forma più squisitamente figurativa del termine. I Marduk hanno portato una ventata di gelido, tetro e cupo vento sulla folla adorante. Laidi demoni e spiriti di guerra aleggiano sul palco già dall’intro, pronti ad esplodere in una rabbia fatta di nera frustrazione già alle prime incalzanti e ossessive ritmiche dei blackster svedesi. Il vaso di pandora è stato aperto, a Mortuus il compito di traghettare – in un metaforico paragone con Caronte – gli ascoltatori nel fiume di odio e di bieca violenza di quella che resta una delle punte di diamante del black metal mondiale. Immobili, concentrati nello sciorinare all’ascoltatore urli strazianti bissati da ritmiche cicliche, ossessive al limite della cacofonia.
Piccole sbavature a margine di una prestazione sopra le righe (il microfono di Mortuus non ha retto cedendo nel bel mezzo dell’esibizione, sostituito in tempi record) che ha visto ripercorrere tutta la carriera del gruppo con un occhio di riguardo alla normale promozione del nuovo album Wormwood, supportato da brani come “Still fucking dead”, “Baptism By Fire” e “Materialized in Stone”.
Come ad ogni buon funerale che si rispetti, alle folle appena catechizzate bisogna dare il giusto commiato: Panzer Divison Marduk, suonata a velocità oggettivamente stellare, appare come la giusta conclusione di questa battaglia dove gli assoluti protagonisti sono stati, indiscutibilmente, quattro demoni venuti dal Nord.
Daniele Peluso
Foto a cura di Daniele Peluso.
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Foto a cura di Valeria Biagini
Vista la scarsità, da un po' di tempo a questa parte, di concerti estremi di un certo livello nella terra di Toscana, non potevo certo permettermi di mancare a questa gustosa occasione. Rifornita l'automobile di benzina e cibi vari, sabato 30 Gennaio siamo quindi partiti alla volta del Siddharta di Prato, in modo da assistere a una delle due tappe italiane del Vengeful Scapegoat Tour capitanato dagli Incantation.
La nostra mezzora abbondante di anticipo è stata prontamente ripagata dall'annuncio di un'ora e mezza di ritardo sulla tabella di marcia causa maltempo. Alle 19:30 mancavano ancora la maggior parte dei gruppi e la backline: cosa che si è ripercossa, poi, sulla durata effettiva dei concerti, forzatamente accorciati in modo da terminare intorno alla mezzanotte.
Ad ogni modo, una volta entrati è avanzato giusto il tempo per un veloce sguardo alle distro presenti prima di partire con il primo show della serata, ovvero quello dei genovesi Nerve. I quattro sono partiti convinti e affiatati, mettendo sul piatto un'ottima tecnica e una bella tenuta di palco. Purtroppo il difficile compito di opener e il genere proposto – un death metal groovy e melodico, parecchio influenzato dall'hardcore – non proprio in linea con il resto dei gruppi, ha impedito al pubblico presente di partecipare attivamente alla performance, la quale resta comunque decisamente sopra le righe. Belli i pezzi, specie quelli del nuovo album uscito a Gennaio chiamato Hate Parade, che dimostrano ormai la piena maturità raggiunta dal combo.
Alla fine veniamo a sapere che i Noctem, secondi in scaletta, sono probabilmente sperduti in qualche paesino coperto dalla neve del nord, e che quindi potevamo scordarci la loro esibizione. In compenso, questa defezione ha lasciato subito il turno al gruppo veramente “kvlt” della serata: i Divine Eve. Con una discografia che conta al momento solo un EP, uscito nel '93 sotto la ancora giovane Nuclear Blast, un paio di demo e un nuovo mini fresco fresco, non sono mai riusciti ad uscire dal circuito underground e a pubblicare un vero e proprio full length. Tuttavia, fin dalle prime battute il pubblico si è avvicinato, ha cominciato a scaldarsi e a poco a poco il death old school e un po' doomy dei nostri, di chiara scuola Asphyx e Autopsy, ha conquistato letteralmente i presenti. Sono cominciate le prime avvisaglie di pogo, mentre si sono susseguite sia tracce provenienti da As The Angels Weep, sia da Vengeful and Obstinate. Proprio con la title track del primo EP si è raggiunto l'apice della partecipazione, specialmente quando la stessa è esplosa letteralmente dopo il primo momento doom ed è scivolata in una cavalcata di tupatupa selvaggio, capace di trascinare nel mattatoio le prime file. Forti anche della presenza, dietro le pelli, di Kyle Severn (batterista degli Incantation) come turnista d'eccezione, i Divine Eve hanno convinto in pieno e hanno dato vita a una delle performance migliori della serata, come dimostrato dagli abbondanti applausi a loro dedicati.
Un veloce cambio di strumenti ed ecco che il sipario si apre sugli Hate, i secondi “Big” della serata.
Look in stile Behemoth, con corpsepaint e vesti lunghe ed elaborate e due omega rosso fuoco su entrambe le casse della batteria, a mo di avvertimento per il caos che da li a poco avrebbe spazzato il locale. Purtroppo non è mancato un degno rappresentante della stupidità umana, il quale, dal centro della sala, ha accolto a gran voce il gruppo con offese e gesti ben poco incoraggianti per poi sparire subito dopo. Una parentesi patetica che non ha impedito ai polacchi di devastare tutto con un concerto praticamente perfetto, con suoni relativamente puliti e un'esecuzione impeccabile. Velocità a vagonate con quintali di blastbeat, headbanging circolare e groove non sono mancati, con il pubblico che ha preferito seguire attentamente la performance piuttosto che pogare. Va segnalata comunque un po' di freddezza da parte di tutti i componenti del gruppo, causata probabilmente dal simpatico umorista sopracitato. In ogni caso, sia i vecchi pezzi più brutali, sia la maggior complessità e ricercatezza delle tracce estratte dagli ultimi Anaclasis e Morphosis hanno fatto breccia nei presenti, i quali non si sono risparmiati dal riservargli un caloroso saluto.
Altro cambio, questa volta l'ultimo, a favore del piatto forte della serata. Il vero e proprio timewarp per tornare ai tempi dei pionieri del death metal americano: è il turno degli storici Incantation.
Accolti a gran voce dai presenti, i veterani americani hanno spaccato subito tutto con il loro stile classico che più classico non si può, scatenando nel pubblico la prima, vera dimostrazione di pogo feroce della serata. I suoni erano un po' impastati, complice anche il non aver potuto effettuare un vero e proprio soundcheck a causa dei ritardi, ma la proposta è trascinante indipendentemente da tutto, a dimostrazione che la vera dimensione di questo tipo di sonorità è quella puramente live. Grande la prova vocale di John McEntee, che sembrava quasi senza voce quando dialogava con il pubblico, mentre invece devastava tutto con il suo basso growl sibilante e ruvido quando “cantava” nelle tracce. Gente che vola, gente che frulla viva dentro al pit durante le sfuriate di Kyle Severn, gente che segue con la testa tutti i tempi cadenzati delle parti più doom-oriented, gente che urla con John: quasi nessuno è impassibile nel locale ormai pieno. Un concerto in qualche modo lineare, senza cadute di tono, con la vetta forse in Dying Divinity del recente ma non troppo Decimate Christendom. Performance che non delude se non nella durata, visto il rigido orario a cui tutti hanno dovuto sottostare.
Alla fine, dieci euro di ingresso per quattro ottimi gruppi, di cui uno di culto, uno di altissimo livello e uno addirittura storico, sono senz'altro un affare alla portata di tutti. Rimane da augurarsi che il Vengeful Scapegoat Tour abbia risvegliato un po' di voglia di incrementare i concerti di questo tipo in Toscana. Del resto, il locale satollo dovrebbe fungere da efficace cartina tornasole.
Sold out! E' questo il risultato di anni di attesa per Roma e per una buona parte della penisola per poter rivedere una band con un nome altisonante come quello dei Megadeth. Accompagnati da due formazioni italiane di grande prestigio come Labyrinth e Sadist, che peraltro stanno vivendo entrambe, per motivi diversi, un momento di grande rilancio nelle rispettive carriere, Dave Mustaine e soci sbarcano nella capitale per la seconda data italiana del loro Endgame Tour: un tour estenuante che li vedrà girare l'Europa in lungo e in largo fino ad ottobre.
Foto e report a cura di Francesco Sorricaro
Sono le 20.00 in punto quando, con puntualità svizzera e dopo controlli all'ingresso modello "aeroporto americano" che hanno alleggerito gli avventori dell'Atlantico di ogni tipo di ferraglia senza curarsi di qualsivoglia valore affettivo, i toscani Labyrinth attaccano gli strumenti per la loro esibizione di apertura. La power metal band che ha lanciato per prima il power tricolore nel panorama internazionale ha da poco ritrovato la sua formazione originaria, fatto salvo per il batterista, che questa sera, è Alessandro Bissa dei Vision Divine e per il bassista che è nientedimeno che il buon Sergio Pagnacco dei Vanexa. E' di nuovo Olaf Thorsen, dunque, l'ascia principale che, in attesa di presentare con i dovuti onori il tanto atteso seguito di Return to Heaven Denied, in uscita il 21 giugno, guida i Labyrinth in questo minitour di spalla alla band americana. C'è da dire subito che la prova dei 6 risulterà superlativa. Nonostante il settaggio dei suoni non sia ottimale, penalizzando soprattutto la tastiera di Andrea De Paoli, brani come In the shade, New Horizons e la celeberrima Moonlight vengono proposti con un coinvolgimento ed una perizia inappuntabili, con un Roberto Tiranti in forma strepitosa ed i divertenti duelli della coppia Thorsen/Cantarelli ad infiammare un pubblico che non solo si dimostra ben disposto alla loro proposta musicale ma che, anzi, è carico a livelli probabilmente inattesi finanche dal gruppo stesso. Non manca di sottolinearlo difatti il buon Roberto, che non dimentica, prima di lasciare il palco, di annunciare nuovi appuntamenti romani in vista del nuovo disco, di cui è stato pure suonato un gustoso antipasto.
Cambio palco e cambia anche la musica perchè è il turno dei genovesi Sadist che presentano il nuovo ottimo disco Season in Silence. L'esibizione del quartetto è apparsa purtroppo un po' incolore. Certamente il fatto di suonare per secondi non li ha certo aiutati da un punto di vista tecnico, ma quello che è sembrato mancare in questa prova è proprio la carica e lo scambio emotivo con l'audience che hanno sempre contraddistinto Trevor e soci. I brani che si sono susseguiti sono stati eseguiti in maniera inappuntabile, come sempre, ma mancavano un po' di sale insomma. Una scaletta concentrata in larga parte sulle ultime uscite, poi, non ha forse contribuito all'attenzione di un pubblico che, bisogna dirlo, anche se solo in parte, era partito già prevenuto, acclamando sin dal primo pezzo eseguito il nome dei Megadeth. Il furioso death metal dei Sadist con i suoi virtuosismi ipertecnici forse questa sera non ha trovato il teatro o la serata giusta per strabordare come al solito. Sarà per la prossima volta.
Quando i Sadist lasciano il palco è tutto un susseguirsi di fragorosi boati da parte del pubblico trepidante, il più grosso dei quali sale contemporaneamente al grosso telo raffigurante il gigantesco logo dei Megadeth. Mancano 5 minuti alle 22 quando parte l'intro di Endgame ed entrano in scena uno dopo l'altro i quattro musicisti per attaccare Dialectic Chaos. La strumentale di apertura dell'ultimo lavoro si porta dietro immancabilmente anche This Day We Fight!, per una doppietta tremenda che esalta il moshpit sempre più selvaggio. La band è in forma e spara cartucce senza dire una parola. Giunge subito il momento di Wake Up Dead, e si fa un tuffo nel passato fino al capolavoro Peace Sells... But Who's Buying?. Il pubblico urla a squarciagola le parole del testo, l'adrenalina è alle stelle quando finalmente, al termine del pezzo, il rossocrinito Dave decide di rivolgersi decisamente al pubblico, ma solo per annunciare brevemente che si festeggiano i 20 anni dalla pubblicazione di un certo album.... Come se non si sapesse.... Ma non fa in tempo a ricevere una risposta che l'inconfondibile, tagliente riff di Holy Wars... The Punishment Due squarcia il fragore della sala. Certamente stasera si è capito che ci saranno ben poche parole da parte degli americani, ma che fatti! Holy Wars per me resta sempre il brano thrash più devastante della storia, e questa sera viene eseguito con una violenza ed una velocità davvero fantastiche. Il pit esplode, mentre i quattro gli sparano contro uno ad uno tutti i brani di quello splendido disco che è Rust in Peace: Hangar 18, Take No Prisoners, Tornado of Souls, Lucretia...è sempre un grande piacere poterne godere dal vivo. Il figliol prodigo David Ellefson si muove molto e sembra divertirsi come un tempo; Chris Broderick è un autentico mostro nel riproporre alla perfezione le parti di un certo Marty Friedman e aggiungendoci anzi, il più delle volte, dell'ottima farina del suo sacco; Shawn Drover è semplicemente impeccabile dietro le pelli, mentre il silenzioso Mustaine col trascorrere del tempo fa trasparire non pochi limiti vocali; ci sono stati momenti in cui sembrava addirittura fare il pesce, come si dice in gergo. E' evidente che le sue corde vocali non siano proprio in forma smagliante. Tant'è che il concerto prosegue senza troppi fronzoli ma con tanta sostanza che risponde al nome di Head Crusher, Sweating Bullets, Symphony of Destruction, finanche una Trust dal discusso Cryptic Writings. Nel mezzo l'ammancabile ballad A Tout le Monde cantata in coro con tutto l'Atlantico munito di accendini. La chiusura è affidata ad una un po' frettolosa Peace Sells che termina riprendendo il finale di Holy Wars. I nostri si spendono ora nei saluti di rito, con Dave Mustaine che si trattiene un paio di minuti in più per ringraziare come merita un pubblico che non ha smesso di osannarlo nonostante il suo atteggiamento, durante la serata, non sia stato così cordiale ed empatico come forse ci si augurava.
In ogni caso, dal punto di vista professionale e della carica emotiva riversata nella musica, i Megadeth di questa sera hanno offerto una prova maiuscola nonostante i sopra citati problemini vocali di cui probabilmente in pochi si saranno accorti. Il paragone con qualche altra band del passato, magari più di grido, come gli alter ego Metallica del Palalottomatica, per quanto riguarda la tenuta dal vivo, oggi come oggi appare addirittura impietoso. Qui a Roma si è assistito ad un'ora e mezza di puro concentrato thrash metal dopo la quale in pochissimi si sono lamentati, ma solo perchè ne volevano ancora. A buon intenditor, poche parole....
Francesco 'Darkshine' Sorricaro
Setlist
Dialectic Chaos
This Day We Fight!
Wake Up Dead
Holy Wars... The Punishment Due
Hangar 18
Take No Prisoners
Five Magics
Poison Was the Cure
Lucretia
Tornado of Souls
Dawn Patrol
Rust in Peace... Polaris
Headcrusher
Sweating Bullets
A Tout Le Monde
Symphony Of Destruction
Trust
Peace Sells